Pinacoteca Nazionale di Ferrara
Corso Ercole I d'Este, 21
Ferrara (FE)
Scarsella Ippolito detto Scarsellino
1550 ca./ 1620
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 604 (la) 283 (a)
sec. XVI (1590 - 1599)
n. 142
Tela che raffigura, al centro, il Cristo che benedice gli otri presentatigli da un giovane in ginocchio. Attorno si accalca una grande folla con, a sinistra, un gruppo di musici. Sullo sfondo compare un'architettura che si apre sul paesaggio.

L'opera in origine era collocata nel refettorio del monastero di S. Benedetto. Alla sua chiusura fu trasferita nella sacrestia della chiesa della Certosa alla fine del XVIII secolo. Compare negli inventari della Pinacoteca dal 1846 (Scutellari) dopo che se erano perse le tracce nei primi decenni del secolo. Opera di grandi dimensioni e di elaborata composizione, è costantemente segnalata dalle fonti. La tela viene datata 1605 dal Magrini secondo un'indicazione del Brisighella relativa tuttavia alla "Cena" della chiesa di S. Guglielmo. Tale ipotesi non è accolta da Adolfo Venturi che data il gruppo delle opere eseguite dallo Scarsellino per S. Benedetto al 1580, per estensione della datazione assegnata dalle fonti al "San Carlo Borromeo". Si discosta da tale posizione la Novelli (1964) la quale sottolinea come questa pala non potesse essere stata eseguita prima del 1610, anno di canonizzazione del Borromeo.
Secondo un'indicazione del Guarini il dipinto venne posto in sostituzione di un'opera di analogo soggetto del Francia, sottratta con ogni probabilità durante la devoluzione; tale circostanza avvalla la datazione della Novelli all'ultimo decennio del Cinquecento.
Secondo il Baruffaldi le "Nozze di Cana" sarebbero state compiute, insieme al "San Carlo", l'"Assunta", "San Benedetto che risuscita un fanciullo", il "Martirio dei santi Placido e Flavia", la "Santa Caterina condotta al martirio" - tutte opere eseguite per S. Benedetto e andate distrutte nei bombardamenti del 1944 - durante i ventisei mesi di esilio volontario trascorsi dal pittore nel convento per sfuggire ad una falsa accusa di calunnia. Tale circostanza appare tutt'oggi poco verosimile.