dipinto
carta di riso riportata su tela/ pittura ad acquerello
cm 130 (la) 70 (a)
sec. XXI (2006 - 2006)
n. 3357

Quale differenza, se non l'evoluzione di un medesimo, coerente discorso, esiste tra le opere realizzate da Davide Benati negli anni Ottanta, come "D'oppio sogno" (1982), "Paese calmo del mattino" (1984-85), "Terra d'ombra" (1985-86), "Infinite gradazioni di buio" (1986-87), altre degli anni Novanta come "Silenzio, vento" (1991), "Affiora" (1992) e i "Chiariscuri" (1994) e quelle presentate nel 2006 a Montecarlo, dedicate all'elemento dell'aria, e di cui "Zafferano" fa parte? Un'evoluzione di "Zafferano" del 1990, del 'doppio luogo' in cui Benati coniugava al contempo l'astrazione naturalistica e pittorica a quella segnica e scultorea, è sicuro. Ma se Massimo Cacciari, nel 1986, proprio riferendosi al ciclo di Terre d'ombra, alludeva alla difficoltà di restituire con la pittura la variazione dell'attimo nel suo mutare e alla necessità della ricerca di questo - "può una sola nota essere segno di due, anzi di molti? Può il disparato molteplice risuonare come quell'unica via che la nebbia rivela e nasconde tra la valle e le cime dei monti? " - si può dire che, oggi, Davide Benati tutto ciò l'ha raggiunto nelle ultime sue opere che racchiudono, in un'unica soluzione di flagranza, lo spazio, il tempo, l'emozione, il suono e il mistero della variazione, e il suo opposto che la rileva, il nulla. Oggi, del ciclo "Air", si può dire che sì, può una sola nota essere il segno di due e che Benati ci ri/vela quella possibile via che la nebbia della quotidianità ci impedisce di vedere tra la valle e la cima dei monti. Una via che appartiene alla variazione di un attimo. Quello dello stato d'animo, materiato in forma e colore attraverso la coniugazione di simboli e segni. E' la foglia di ginko biloba di "Tenebrocuore" (1983) che ha scandito i movimenti, con un ritmo veloce e lento al contempo è stata portata a unire i colori primari puri che, rifluendo con continuità l'uno nell'altro senza elidersi, come yin e yang del Tao, tracciano in trasparenza una via di segni di luce che appaiono evidenti in "Azzorre" e traspaiono culminanti in "Cantico".
Artista incodificabile, in particolare nella post modernità a cui lo si è voluto tangente all'inizio degli anni Ottanta, Davide Benati appartiene, a mio avviso, a ciò che io interpreto come naturalismo-concettuale, ossia una koinè emiliana che, sulla scorta di un'ipotesi di sviluppo attuale dell'ultimo naturalismo arcangeliano, si avvalora dell'esperienza concettuale svolgendosi in un'odierna sinestesia, di tipo sintattico, che accomuna la ricerca di Benati a quella di Pinuccia Bernardoni, a quella più recente di Nanni Menetti, alle "Arpe d'erba" di Germano Sartelli e al ciclo dell'"Albero della ruggine" di Maurizio Bottarelli: artisti che partendo da un dato di natura lo astraggono e lo rielaborano teoreticamente a nuove forme e significati, mantenendo il dato di natura quale codice simbolico e pattern sintattico all'interno di lavori che aprono a rinnovata semantica. Forme naturalistiche, organiche che, nel caso della pittura di Benati, assumono significato e significante rinnovati attraverso un sentito senso olistico, orientale e per cui amato dall'artista, di movimento e materia che per l'osmotica interdipendenza tra gli elementi che compongono tutto l'esistente, aria, acqua, fuoco, spazio, terra, sfiora gli antichi testi indiani dei Veda e l'antico pensiero cinese, ancora ignavo dell'esistenza degli atomi, ed approda ad una rilettura astratta delle "Ninfee" di Claude Monet. E per dirla con Francesco Poli "i fiori e le foglie diventano un puro organismo pittorico, un microcosmo abitato da delicati e meravigliosi giochi cromatici, da ampie stesure tonali, da spazialità appena adombrate, in cui lo sguardo dello spettatore viene invitato ad entrare per smarrirsi nell'incanto impalpabile della superficie", che acquista profondità ed atmosfera nella stesura di reiterate sovrapposizioni di liriche trasparenze cromatiche su carta orientale incollata su tela.
L'andamento tròpico della simbologia concettuale di Benati suggerisce l'emozione che ha guidato l'artista a realizzare il dipinto, membrana osmotica tra il sé e il mondo che la guarda, con nuove o similari emozioni suggerite anche dai titoli, narrativi la memoria della natura, della vita, dei sensi e del pensiero; evocativi raffinata letteratura. "Zafferano" è allora l'aroma mentale, la similitudine dell'oro, la tintura dei tessuti preziosi, il colore gettato sul bianco delle cupole degli stupa nepalesi con un rito, è il giallo di Van Gogh.Pittura e letteratura: in comune lo stesso supporto, la carta a cui consegnare il proprio messaggio in lotta inquieta e perpetua alla ricerca di armonia con la materia; acquerello come inchiostro per dipingere e scrivere, 'dalla penombra', con il proprio segno, 'il luogo dello spazio dell'anima' (Benati) disegnato dal filtro della memoria e con l'inganno della fantasia e dei sogni che passano attraverso gli occhi, sino a coagularsi in solo colore: "è il malva del mattino sull'altopiano, è lo zafferano dei campi, è l'indaco di una notte di settembre" (Tabucchi). 'ut pictura poesis': Davide Benati come Antonio Tabucchi?