Museo Internazionale e Biblioteca della Musica
Strada Maggiore, 34
Bologna (BO)
ambito italiano
tiorba

legno di conifera/ verniciatura,
legno di noce/ impiallacciatura parziale,
legno di bosso,
legno di acero/ verniciatura,
pergamena,
ottone,
ferro,
metallo,
legno dorato
mm
Lu. totale 1585//lu. della tavola 149//distanza tra l'estremità inferiore della cassa e il bordo anteriore del listello d'attacco 70//il bordo anteriore del ponticello 81//il centro delle rosette 113//la. massima della tavola 360//h. della cassa 26//diame,
952//3: 1032//4: 1114//5: 1196//6: 1276//7: 1355//8: 1432
secc. XVI/ XVII (1590 - 1610)
n. 1745
Lo strumento è composto di tre parti. La prima parte consta di: 1) riccio di conifera dorata, attaccato con un cavicchio ligneo a 2) cavigliere superiore, allo stesso tempo tratta, 3) cavigliere inferiore, 4) manico e 5) supporto dietro l'asse centrale e il giogo della parte seconda. Questa prima parte è di conifera, le sezioni 2, 3 e 4 con un'impiallacciatura di noce. Il cavigliere superiore, allo stesso tempo tratta (sez. 2), contiene otto caviglie cordiformi posteriori di ottone per i bordoni. Di queste, sette si trovano dal lato che forma la continuazione del cavigliere inferiore, e una è immessa dal lato opposto. Le corde attaccate alle sette caviglie sopra il cavigliere inferiore posano su un capotasto di acero tinto nero; la corda attaccata alla caviglia dal lato opposto non ha capotasto. Il cavigliere inferiore (sez. 3), aperto davanti, contiene sei caviglie cordiformi laterali di ottone per le corde tastabili, tutte dal lato sinistro, visto da chi suona. Sul manico (sez. 4) l'impiallacciatura di noce, piatta davanti, ha la funzione di tastiera. Manico e tastiera sono assai larghi: sopra queste parti si trovano non solo le corde tastabili, ma anche i bordoni, che normalmente non sono tastati. Nel manico sono infissi di dietro un anello entro un occhiello, entrambi di ferro, e davanti un capotasto e otto tasti. Il capotasto è di ottone con sei tacche. Ognuno degli otto tasti consiste in una lamina di ottone, fermata da una striscia di acero tinto nero.
La seconda parte dello strumento contiene le braccia e il giogo della kithára e un asse centrale scannellato davanti. Questa parte è di noce. Le braccia e il giogo sono intagliati con quattro volute e motivi vegetali che sono dorati, mentre gli avvallamenti sono dipinti di azzurro. L'asse centrale non è dipinto. La terza parte dello strumento è la cassa saldata alla seconda parte con quattro tasselli di conifera. Il fondo è di conifera tinta marrone; le fasce sono ricavate da un pezzo di conifera; la tavola è dello stesso legno e ha un bordo dipinto nero. Ai due lati della tavola è inserita una piccola rosetta geometrica su base esagonale; le due rosette sono di legno su pergamena e dorate. Sotto la tavola c'è, all'altezza dei centri delle rosette, una catena di conifera. All'estremità inferiore ci furono in origine due bottoni torniti di bosso; ora c'è ancora l'avanzo d'uno. Le corde erano fissate a un ponticello assai grossolano e non originale, mentre sulla tavola c'erano tracce d'un listello d'attacco sotto il ponticello. In occasione del restauro negli anni 1979-83 furono copiati il ponticello e, sotto di questo, il listello d'attacco dello strumento analogo a Vienna. Adesso il ponticello e il listello d'attacco, entrambi di noce tinto nero, hanno baffi.
Le corde erano e sono di metallo.

Le cetre in senso generico sono cordofoni semplici. Le altre categorie dei cordofoni sono tutte in qualche maniera composite. Una di queste categorie è formata dai liuti in senso generico, i quali, oltre la cassa, hanno per lo meno un manico. Le corde si trovano a breve distanza dalla cassa e dal manico e corrono parallele a questi. Strumenti appartenenti a questa categoria sono ad esempio il violino, la chitarra, il mandolino napoletano.
Sul manico le corde possono essere raccorciate anche senza una tastiera speciale, ma in tal caso è difficile raccorciarle oltre il manico sulla tavola armonica della cassa. In certi casi le corde vengono raccorciate anche oltre il manico, sulla tavola armonica della cassa. In questi casi è sovrapposta al manico una tastiera che si estende sopra la tavola della cassa. Si pensi alle chitarre e ai mandolini dal secolo XIX in poi, alle cetere, e a quasi tutti gli strumenti ad archetto (le pochettes, le lire da braccio e da gamba, le viole da gamba, le viole d'amore e le viole da braccio, tra cui è noto soprattutto il violino). Un caso intermedio è da registrare ad esempio in molti liuti anche senza tastiera speciale. Tali strumenti possono avere alcuni tasti fissi (si veda sotto) oltre il manico sulla tavola armonica.
Dove devono essere raccorciate le corde sul manico o sulla tastiera per ottenere determinate note? In certi casi non c'è sul manico o sulla tastiera alcuna indicazione di dove raccorciare, ed è la pratica del suonatore che gli fa mettere le dita nelle posizioni giuste. Tali casi sono ad esempio la viola d'amore e il violino. In altri casi le posizioni in cui le corde devono essere raccorciate per la produzione di determinate note sono indicati sul manico o sulla tastiera per mezzo di tasti. Questi possono essere di minugia e in tal caso legati attorno al manico o alla tastiera. Allora si chiamano legacci, che incontriamo ad esempio nei liuti, nella maggior parte dei mandolini del vecchio tipo, nelle chitarre prima della seconda metà del secolo XVIII, nelle lire da gamba, nelle viole da gamba. I tasti possono anche essere d'un materiale poco elastico (metallo, legno, avorio), e allora essere inseriti nel manico o nella tastiera, come nelle chitarre più recenti, nelle chitarre battenti, nei mandolini napoletani, nelle cetere.
La tastiera è un elemento che s'incontra anche nelle cetre in senso generico (monocordi, cetre in senso specifico), ma in tali casi si tratta sempre dell'adozione d'un elemento di per sé tipico per i liuti in senso generico.
Sino al tardo Medioevo non è sempre possibile distinguere nettamente tra strumenti a corde pizzicate, e strumenti a corde strofinate. A partire dal secolo XVI si sviluppano tipi specifici nel quadro delle due categorie. Pertanto facciamo qui la distinzione netta tra:
1. liuti in senso generico a corde pizzicate;
2. liuti in senso generico a corde strofinate.
Nella categoria dei liuti in senso generico a corde pizzicate sono da distinguere per lo meno nove tipi. In questa sede trascuriamo gli strumenti assai rari che ad ogni modo non sono rappresentati in questa collezione (la pandora, il penorcon, l'orpharion, il colascione) e ci limitiamo a trattare i gruppi seguenti:
- liuti in senso specifico;
- mandolini del vecchio tipo,
- chitarre e le chitarre battenti;
- mandolini napoletani;
- cetere.
I liuti in senso specifico almeno per due secoli e mezzo sono stati strumenti di assai grande importanza, persino gli strumenti a pizzico più importanti e usati. Nel corso di questo periodo (i secoli XVI, XVII e la prima metà del secolo XVIII) risulta una differenziazione molto ramificata, ma generalmente tutti questi differenziati strumenti hanno due caratteristiche in comune: sono composti d'un guscio e d'un manico con cavigliere, e hanno corde attaccate al ponticello. In casi molto rari si trovano liuti in senso specifico con corde attaccate all'estremità inferiore della cassa, e liuti senza guscio con elementi della kithàra.
Le lire in senso generico formano una categoria separata entro il gruppo dei cordofoni. Le lire in senso generico sono composte d'una cassa, due braccia più o meno parallele e un giogo che collega le estremità superiori delle braccia. Le corde corrono parallele alla tavola e sono attaccate al giogo. Sino alla fine dell'antichità la regione in cui venivano usate lire di varie forme fu piuttosto ristretta: strumenti di questa categoria hanno i loro albori nell'Iraq attuale, dove sono documentate già nel quarto millennio avanti l'era volgare. Nei secoli seguenti lo strumento si estese all'Iran attuale, all'Egitto, agli Ebrei (il kinnor del re Davide non fu un'arpa, ma una lira), a Creta, ai Greci, Etruschi e Romani. Più tardi si trova in Siria e in Arabia, e ancora oggi sopravvive in Africa dalla Somalia, via Abissinia, sino all'Uganda.
Nei casi menzionati le lire di varie forme furono o sono strumenti a corde pizzicate. In Europa la storia della lira è assai strana. Come s'è già detto, nell'antichità lo strumento è documentato in Europa presso i Greci, gli Etruschi e i Romani. Nell'area di queste culture la lira sparisce all'inizio del Medioevo. Dopo questo periodo lire, anche di forme diverse che differiscono in dettagli dai modelli dell'antichità, s'incontrano solo a nord delle Alpi: una lira fu trovata in una tomba alemanna del secolo V, inoltre lo strumento fu suonato in Britannia, Irlanda (secolo VI), nelle regioni scandinave e nei paesi baltici. Dopo il primo millennio le lire non sono più pizzicate, ma strofinate con un archetto. Dopo la fine del Medioevo le lire ad archetto spariscono quasi ovunque. Gli ultimi baluardi dello strumento furono il Galles, dove il crwth sparì nel secolo XVIII, e l'Estonia, dove gli Svedesi che vi abitavano la suonavano sino alla loro espulsione, nel 1939.
Come s'è già detto, le parti della lira sono la cassa, le braccia e il giogo. Una vera lira non ha mai un manico ed eventualmente una tastiera. Nonostante ciò s'incontrano nel Medioevo raffigurazioni di lire con un manico. Le prime illustrazioni di tale strumento si trovano nel salterio di Utrecht realizzato intorno al 900. E' possibile che in questo caso si tratti d'un ricorso a uno strumento dell'antichità tipico per il rinascimento carolingio. Probabilmente l'artista non conosceva le lire ancora in uso nelle regioni marginali dell'Europa, non capiva come doveva funzionare una lira, e aggiunse un manico spontaneamente. E' anche possibile che già all'epoca della realizzazione del salterio di Utrecht esistessero lire col manico. Ad ogni modo, le ultime lire superstiti, il crwth del Galles e la lira ad archetto dell'Estonia, avevano un manico. Con l'introduzione di questo elemento nacque un ibrido: una lira con un elemento preso dal liuto in senso generico. Geneticamente lo strumento è una lira, in cui è stato introdotto il manico come elemento del liuto.
Nel rinascimento propriamente detto ci fu un ricorso all'antichità molto più intensivo che nel rinascimento carolingio. Tale archeologia di strumenti musicali - spesso fantasiosa e con interpretazioni sbagliate - la troviamo ad esempio in opere pittoriche di Filippino Lippi, Piero di Cosimo, Lorenzo Costa e persino Raffaello (Parnaso nella Stanza della Segnatura in Vaticano) (Winternitz 1 952-1 954, 1956 e 1965). Inoltre, furono costruiti strumenti con dettagli di strumenti dell'antichità in certi casi forse interpretati in maniera sbagliata. A questo proposito si può pensare a due strumenti simili tra loro in quasi tutti i dettagli. Uno di questi strumenti si trova nella Collezione di Strumenti Musicali del Kunsthistorisches Museum a Vienna (Schlosser 1920, pp. 61-62, n. 66), l'altro è lo strumento del Museo Civico Medievale di Bologna, qui descritto. Lo strumento di Vienna proviene dalla collezione dell'arciduca Ferdinando del Tirolo (morto nel 1596) ad Ambras presso Innsbruck. Riguardo a questo strumento, già lo Schlosser, e dopo di lui il Winternitz (1956) formularono l'ipotesi che si tratti d'un oggetto di attrezzeria teatrale per rappresentazioni o intermedi del tardo rinascimento. Questa ipotesi sembra verosimile, e può valere anche per lo strumento di Bologna.
La tiorba romana fu creata probabilmente da Antonio Naldi a Firenze poco prima del 1586. Intorno allo stesso periodo furono creati i due strumenti di Vienna e di Bologna, entrambi con sei corde tastabili e otto bordoni. La somiglianza con la tiorba romana è evidente: quest'ultima poteva anche avere sei corde singole tastabili e otto bordoni pure singoli. Le dimensioni degli strumenti di Vienna e di Bologna sono tali che a essi si potrebbe applicare la stessa accordatura della tiorba romana.
Questi due strumenti hanno dunque - indubbiamente nell'ambito dell'archeologia musicale - elementi d'una lira o kitáhra dell'antichità: sulla cassa si trovano due braccia e una specie di giogo, che formano, però, un insieme piuttosto basso, molto più basso che nella lira o nella kithára antica. Tra le braccia c'è una lista che è continuata come manico con due caviglieri. Essenzialmente si tratta dunque d'una specie di liuto (d'una tiorba romana), a cui sono stati applicati elementi della kitáhra. Questa genesi è dunque opposta a quella delle lire col manico, queste ultime essenzialmente lire in senso generico, a cui è applicato un elemento del liuto (il manico). Negli strumenti di Vienna e di Bologna il manico ha tasti di metallo, dal che si può concludere che i due strumenti avevano sempre corde di metallo.
Gli strumenti di Vienna e di Bologna sembrano kithárai grandi. E probabile che in origine a questi strumenti fosse dato il nome di chitarrone, una kithára grande. La disposizione delle corde e l'accordatura di questi strumenti sono molto simili alla tiorba romana e furono forse prese da essa. Così potè succedere che il termine chitarrone fosse trasferito alla tiorba romana (Praetorius, 1619; Piccinini, Bologna, 1623). Fu sopratutto tramite Praetorius che il termine chitarrone, specialmente nella letteratura tedesca, fu applicato alla tiorba romana. Per evitare confusione, e anche perché il termine chitarrone non fu più usato dopo il 1650, mentre le tiorbe romane vengono costruite ancora nella prima metà del secolo XVIII, è meglio non usarlo per la tiorba romana, ma solo per il tipo di strumento, di cui sono conservati gli esemplari di Vienna e di Bologna.