Pinacoteca Comunale di Cesena
Via Aldini, 26
Cesena (FC)
Bitino da Faenza
notizie 1398/ 1427
dipinto

tavola/ pittura a tempera
cm. 42 (la) 48 (a)
sec. XV (1410 - 1430)
n. 1
La Vergine, che ha una tunica rosa, un velo bianco sul capo ed un mantello verde scuro, è in piedi, di lei vediamo solo il busto, porge con la mano sinistra una pera al Figlioletto che sostiene con il braccio destro. Il Bambino, vestito con un abitino giallo e dai capelli biondi, tende le mani e rivolge lo sguardo verso il frutto. Il fondo e dorato e riccamente decorato con motivi realizzati tramite quattro punzoni in modo da creare le aureole ed una cornice introno al perimetro della tavola. Infine si deve ricordare la presenza di due angeli, di piccole dimensioni, visti di profilo e posti in alto agli angoli superiori della tavola.

Appartiene al primo nucleo di dipinti che alla fine dell'Ottocento costituirono la Pinacoteca di Cesena e proviene dalla collezione di Alfredo Protti (1883). La prima menzione si deve ad Adolfo Venturi (1911) che assegna la tavola ad un anonimo seguace di Gentile da Fabriano e così Van Marle (1927), mentre Buscaroli (1931) vi nota oltre ai caratteri gentileschi, elementi romagnoli legati a Bitino da Faenza. La Becherucci (1938), presentando il dipinto alla mostra forlivese su Melozzo, lo attribuisce ad uno sconosciuto pittore romagnolo del primo decennio del XV secolo, pur riscontrando affinità con le Storie di S. Lucia di Fermo realizzate dal marchigiano Jacobello del Fiore. Servolini (1944) ribadisce questo aggancio, ma attribuisce la tavola alla scuola veneta. Dradi Maraldi (1962) torna a parlare di ambiente romagnolo, intorno al 1430, e Piraccini (1980) estende la definizione all'ambito romagnolo-marchigiano della prima metà del XV secolo. Spetta alla Tambini (1982) la proposta che sintetizza tutti i caratteri emersi dall'analisi dell'opera: l'autore sarebbe un pittore romagnolo dei primi anni del '400 vicino a Bitino, come lui aggiornato sull'arte veneta e allo stesso tempo radicato nella cultura locale. In seguito Piraccini (1984) l'attribuisce a Bitino da Faenza, mentre la Tambini tornata sull'argomento (1987) respinge questa ipotesi per motivi stilistici pur osservando una vivacità espressiva riscontrabile anche nel polittico di S. Giuliano dipinto da Bitino per la chiesa omonima di Rimini. Per questi motivi Marchi arriva alla conclusione (1988) che la tavola sia stata prodotta nella bottega di Bitino da Faenza, artista aggiornato sulla pittura veneta, in particolare di Jacobello del Fiore, intorno al 1410. Marina Cellini (1998)crede plausibile assegnare l'opera al cosidetto Maestro di Ceneda (attivo a Venezia dal II al IV decennio del '400), seguace di Jacobello del Fiore, che l'avrebbe eseguita, a suo giudizio, nel terzo decennio del '400.
Il dipinto è stato realizzato per la devozione privata ed appare ispirato all'assai venerata Madonna della pera ideata da Paolo Veneziano nel 1347 forse per un oratorio del Monte Borattini ed ora conservata presso il Vescovado di Cesena. Per questo motivo, secondo la Cellini, la tavola fin dall'origine dovette trovarsi in territorio cesenate. Il frutto simboleggia l'amore che Dio nutre per l'umanità ed è correlata al frutto della mela simbolo del peccato originario che Gesù ha riscattato sulla croce. Il Bambino che afferra la pera si rende disponibile al sacrificio. Il fondo dorato e decorato con motivi ottenuti dall'uso di quattro diversi punzoni fa pensare che l'opera sia uscita da una bottega affermata. Le aureole appaiono riccamente decorate. Anche le vesti della Vergine e del Bambino in origine erano ornate in oro per accrescerne la sontuosità, ed inoltre la piccola pera- giocattolo è essa stessa un oggetto prezioso poiché il pittore l'ha dorata. Quest'opera, per la ricercata eleganza formale e per l'espressività soprattutto del volto del Bambino, è un esempio di pittura tardogotica tra i più gradevoli dell'area romagnola a noi pervenuti.