Musei di San Domenico
Piazza Guido da Montefeltro, 12
Forlì (FC)
Palmezzano Marco
1455-1463/ 1539
dipinto
Pala Ostoli

tavola/ pittura a tempera grassa
cm. 154 (la) 174 (a)
sec. XV (1496 - 1497)
n. 39
Sant'Antonio Abate con il libro in mano ( le pagine sono rivolte verso l'esterno) e la destra rivolta verso l'alto, è in trono, entro una volta architettonica. Ai lati San Sebastiano e San Giovanni Battista.

Quest'opera vene eseguita per una cappella della Chiesa di Santa Maria del Carmine a Forlì di iuspatronato degli Ostoli. Di questa famiglia forlivese faceva parte un Antonio che, come narra la "Cronaca Albertina", beneficò largamente la chiesa e fu probabilmente il committente di questo dipinto, con il quale intendeva onorare il santo suo omonimo (Viroli 1980). Il testo dell'iscrizione è tratto dalla "Leggenda Aurea": sono le parole di lamento che pronuncia il santo eremita quando viene tentato dal demonio. La raffinatezza di esecuzione del Sebastiano indusse il Venturi a ipotizzare che il pittore potesse essersi servito per questa figura di quel cartone del Melozzo con tale soggetto, che è ricordato nell'invetario degli oggetti dello studio di Ancona a lui appartenenti. Nella parte anteriore della base del trono, lo stemma della famiglia Ostoli è sormontato da un cartellino dipinto illusivamente che reca la firma del pittore: questa iscrizione fu ritenuta a lungo di Melozzo e dette origine alla falsa onomoastica di Marco Melozzo. A questo proposito il Grigioni scrive: "Ma poiché le notizie della "Cronaca Albertina" fanno ritenere che quest'opera sia del periodo 1496-97, cioè di almeno due anni posteriore alla morte di Melozzo, è evidente che a quella segnatura si deve dare un'altra interpretazione che è suggerita anche da quel "de", che altrimenti sarebbe pleonastico, cioè "Marco di Melozzo" (si capisce che bisogna passare sopra alla sgrammaticatura), vale a dire "Marco scolaro di Melozzo". Il Grigioni ritiene convincente il biennio indicato come datazione dell'opera, oltreché per il melozzismo della figura del Battista, anche per la vicinanza formale del S. Giovanni Battista alla figura dello stesso santo nella "Sacra Conversazione" di Brera che è del 1493, nonché per il particolare decorativo delle zampe leonine desinenti in foglie di acanto, nel sostegno del seggio del S. Antonio Abate, simili a quelle che reggono il trono della Madonna nella tavola braidense. Dei vari studiosi che si sono occupati dell'opera, il Cavalcaselle fu il primo ad assegnarla a Marco Palmezzano. Heinemann (1962) definisce "belliniano" il San Giovanni Battista: certi echi della scuola veneta, specialmente di Bellini e CIma, sono presenti nelle opere del pittore forlivese, insieme ad elementi romagnoli e ferraresi. Tanto più che è documentato un soggiorno veneziano del pittore "non breve e quasi certamente ripetuto" (Grigioni 1956).