Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
Barbiani Andrea
1708/ 1779
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 147 (la) 220 (a)
sec. XVIII (1776 - 1776)
n. 302083
San Pier Damiani è ritratto di scorcio, a figura intera, seduto su un alto seggiolone rivestito di velluto rosso. Sostiene con la mano sinistra un libro che poggia sulla gamba sinistra. In alto a sinistra compaiono due cherubini in volo; alla destra è una fornita libreria con i titoli dei libri in evidenza. In basso, posati sul pavimento, sono una mitria, altri libri ed un galero rosso. Più al centro si apre un vano scansito da semipilastri concavi e da un fornice semicoperto dalla libreria.

Il dipinto raffigurante San Pier Damiani è stato analizzato per la prima volta da Viroli (1991) che ha anche risolto la questione attributiva: è sicuramente opera di Andrea Barbiani pittore ad oggi sostanzialmente sconosciuto ma degno rappresentante della ritrattistica Settecentesca tout cour (a Ravenna, dopo il grande Luca Longhi, per circa due secoli non si era registrata la presenza di un grande ritrattista). A supporto di quella attribuzione giunge anche un documento datato 1776 (ASCRA, Contabilità , vol. 123) individuato da un funzionario della Biblioteca Classense in anni recenti, relativo al pagamento di "Scudi Trenta" ad Andrea Barbiani per l'esecuzione del "Ritratto di S. Pietro Damiano".
Luisa Faenzi nel Dizionario biografico degli Italiani (vol VI, 1964) fa dei brevi cenni biografici dell'artista che viene ricordato per l'esecuzione di cinque ritratti e di tele inerenti unicamente oggetti sacri riconducibili per lo più alla tradizione bolognese vicina alla cultura del Cignani. Nella ritrattistica, come si può notare nel dipinto in esame ma soprattutto nella tela che raffigura l'Arcivescovo Guiccioli, sempre alla Classense (cfr. scheda n. 00000077), Barbiani si esprime in maniera molto convincente e con estremo vigore. L'opera, che non è ricordata in alcuna guida locale o in altra pubblicazione, è da collocarsi intorno alla metà del Settecento, parendo contigua alla pala di Barbiani con i Santi Apollinare e Romualdo collocata nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Ravenna. Nella tela in esame San Pier Damiani è raffigurato con un vestito bianco sul quale è una candida cotta merlettata e con la mozzetta sempre bianca ma dal risvolto scarlatto su cui spiccano i numerosi bottoni rossi. Il volto pensieroso, che esprime seriosità e che pare intento ad ascoltare i suggerimenti che arrivano dai due cherubini rappresentati nell'estremo lembo sinistro del dipinto, presenta un incarnato rossastro ed è solidamente impostato quasi fosse una scultura: impressionante la fissità degli occhi rivolti all'insù, accentuata anche dalla luce emanata da sinistra che evidenzia solo una parte del volto. Complessivamente la composizione è di buon livello, impreziosita com'è anche dall'anello nella mano destra e dalla croce che il prelato indossa sul collo; l'unica incertezza rilevabile si riscontra nella non troppo felice esecuzione della mano sinistra. A Ravenna vi sono altre rappresentazioni del santo fra le quali si segnalano la sua proto-immagine del cosiddetto "Maestro di San Pier Damiano" alla Pinacoteca Civica (cfr. Barbieri 1988, pp. 108-109. fig. 19) e un ritratto inedito di anonimo del secolo XVIII (olio su tela, 134x97,5) anch'esso conservato presso la Classense (cfr. scheda n. 00000120). San Pier Damiani, nato a Ravenna nal 1007, fu uno dei maggiori scrittori del suo tempo oltreché forte propugnatore della riforma pre-gregoriana. Entrò nel 1035 nell'eremo di Fonte Avellana da dove espresse fin da subito le sue qualità oratorie al punto che fu chiamato a dispensare questa sua facoltà anche presso altri monasteri. Nel 1043 tornò ad Avellana e fu eletto priore dando così impulso al mirabile fiorire di quest'eremo. Propagò l'apertura di altre sedi in altre regioni italiane dando vita alla Congregazione di Santa Colomba, vicina ai Camaldolesi. Santo monaco, maestro di vita eremitica, Pier Damiani, Dottore della Chiesa, fu insignito del titolo cardinalizio che comunque non riusci a sopprimere la sua vocazione eremitica. Ci ha lasciato un ricco epistolario (Epistole) ed una vasta produzione letteraria annoverante i Carmina ed una Vita di San Romualdo dalla quale traspare tutta la sua attitudine di riformatore morale, facendo toccare con mano, più che leggere, le virtù del padre dei Camaldolesi. Ai suoi funerali, un'apoteosi, fu canonizzato a furor di popolo. Purtroppo il suo Ordine, rimpicciolitosi nei secoli, veniva unito nel 1569, da Pio V ai Camaldolesi (cfr. Palazzini 1968, coll. 554-574).