Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
Mancini Francesco
1679/ 1758
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 400 (la) 250 (a)
sec. XVIII (1713 - 1713)
n. 302149
Il monaco camaldolese Graziano, a sinistra, è in atto di offrire il libro dei Canoni, tenuto aperto da un putto, alla Giustizia, assisa sulle nubi. A destra, seduto è Papa Gregorio XI nell'atto di scrivere.

L'opera collocata nell'aula magna della biblioteca, al centro di una delle pareti minori, sopra gli scaffali e la ringhiera, fu commissionata a Francesco Mancini, contestualmente ad altra tela (nctn: 00000027) ed all'affresco centrale sul soffitto, nel 1711 da Pietro Canneti, l'erudito monaco fondatore della celebre istituzione classense. Circa la documentazione relativa alla commissione, che è estremamente dettagliata, si rinvia a Viroli (cfr. 1993, p. 112). Nel dipinto in esame è raffigurato il monaco camaldolese Graziano in atto di offrire il libro dei Canoni, tenuto aperto da un putto, alla Giustizia, assisa sulle nubi. A destra, seduto, è Papa Gregorio XI, del medesimo Ordine del monaco, intento a scrivere ed a contemplare la scena. Il dipinto quand'anche versi in pessime condizioni per via di ridipinture grossolane e alterazione dei colori, è comunque affascinante e spettacolare nella visione magistralmente sospesa fra terreno ed astratto. Un opportuno restauro renderà ancor più sorprendente un lavoro già così interessante.
I lavori giovanili (ravennati) di Francesco Mancini hanno goduto di fortune critiche alterne che vanno dall'esaltazione enfatica di Ippolito Zanelli nella sua Vita del Gran Pittore Carlo Cignani (Bologna, 1722, p. 61), passando per la scarsa considerazione di Enrico Filippini che, all'inizio del Novecento, li ritiene di scarso valore artistico. Torna invece ad apprezzarli Sestieri che di recente ha ravvisato in entrambe le tele della Classense, una maestosità di effetti che seppure imponente risulta storicamente credibile in entrambi gli episodi, per via di un'esposizione minimale ed austera. Lo studioso, quindi, ritiene come "già iniziata l'esperienza romana" (i documenti però certificano la datazione del dipinto). Una possibile lettura di tale maestria la fa Buscaroli Fabbri che ritiene, con A. Fucili Bartolucci (1986, p. 499), Mancini il maestro di tutta una generazione di artisti marchigiani che ha protratto la sua arte (e di riflesso quella ancor più importante del suo maestro Cignani) fino alle soglie dell'Ottocento, grazie ad un pittore notevole quale fu Gianandrea Lazzarini (1710-1801). Le opere ravennati costituirono il volano per l'artista marchigiano che vinse un decennio più avanti il concorso per la realizzazione delle storie di San Feliciano e Virtù nel Duomo di Foligno. Emblematici in tal senso gli elogi che Canneti scriveva e invitava a scrivere ai notabili folignati che dovevano occuparsi della questione, uno su tutti: il cardinale legato per la Romagna Gozzadini, che pregato da un notabile di Foligno si spertica in elogi samisurati per le opere di Mancini realizzate alla Classense.