Bernardoni Pinuccia
Bientina (PI) 1953/ vivente
scultura
lamiera di ferro lavorata a spazzola/ ruggine
cm 300 (la) 215 (a) 38 (p)
(1990 - 1990)
Trittico è un’opera realizzata da Pinuccia Bernardoni nel 1990, in una fase della sua ricerca in cui l’artista esplora le possibilità espressive della lamiera di ferro. I lavori di questo periodo nascono dall’esigenza di Bernardoni di uscire dall’elemento carta, utilizzato nella fase precedente del suo percorso, iniziando dapprima a impiegare ferro e carta, per poi arrivare alle prime forme completamente di ferro. Se nelle opere in carta e ferro Bernardoni ricercava le corrispondenze tra pelle e ossatura, tra la componente morbida della carta e la componente dura del ferro sul quale la carta si piega, approdando all’uso del ferro la sua riflessione cambia e si concentra sui valori che questo materiale è in grado di evocare; il ferro nega la sua stessa pesantezza e acquisisce un senso di leggerezza, svuotandosi e ripiegandosi su se stesso, attraverso un processo frutto di una precisa progettualità che la avvicina alla Process Art e in particolare a Eva Hesse.


Il processo di realizzazione si basa su un attento lavoro di progettazione, dal disegno ai piccoli modellini di carta, fino al modello in cartoncino a grandezza reale, poi tradotto in fabbrica nel metallo finale, dove l’artista assume il pieno controllo dell’esecuzione, indicando fino a che punto piegare le lamiere. Nel periodo del ferro, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, Pinuccia Bernardoni sceglie spesso la lamiera forata, evocatrice dei valori di leggerezza della forma, o ancora interviene innescando un processo alchemico di trasformazione della materia, che si modifica all’interno di se stessa attraverso l’azione della ruggine o dei bagni catalitici capaci di conferire al metallo nuovi colori permanenti. Come già evidenziato da Claudia Collina, si tratta di un’“antiscultura”, caratterizzata da un senso alchemico della materia, dove il ferro viene impiegato da Pinuccia Bernardoni per le sue possibilità di levità e di trasparenza: “forme naturalistiche, organiche, che nel caso dell’‘antiscultura’ perseguita dalla Bernardoni assumono significato e significante rinnovati attraverso un sentito senso alchemico della materia. Ecco che carte, colori, metalli, fili di ferro e rame prima, lastre di ferro, lastre metalliche forate poi, denunciano l’eredità della sua formazione, avvenuta a Firenze con lo scultore Quinto Ghermandi ed interprete di una poetica mantenuta in equilibrio tra stilizzazione segnica, informale e teorie concettuali sintetizzate esemplarmente da opere come Largo gesto per un massimo spazio (1969), il cui processo artistico, riassunto dal titolo, potrebbe essere considerato come uno degli archetipi dell’operatività di Pinuccia, cresciuta in diverse, evidenti, direzioni; tropi già evidenziati da Elena Pontiggia e da Mario Bertoni come sollecitazioni di materiali diversi reagenti al processo mnemonico attraverso la ragione, cui si associa l’estetica del caso, l’imprevisto che contraddistingue la progettualità in/conscia dell’artista. Ed ecco che Pinuccia ricerca nel ferro possibilità di trasparenza e lievità della materia: la ‘materializzazione’ avviene tramite lastre forate piegate, e sfumate da bagni galvanici e diverse bruniture, dando corso alla decisione di spostare la leggera pesantezza della sostanza artistica dalla parete a terra, cedendo alla forza di gravità, e originando sculture come Amaltea, La germinazione violenta ha un suono (1991), Il Disegno, il Colore, il Genio, la Composizione [Omaggio ad Angelica Kauffmann] (1992); si tratta di opere che evidenziano la passione dell’artista per poetiche più enunciate da forme primarie ed astratte, concettualmente sintetizzate rispetto a correnti più propriamente narrative, come il frequentemente denunciato amore per la scultura costruttivista di Vladimir Yevgrafovich Tatlin, ma soprattutto le ispirazioni tratte dalla coeva arte povera” (C. Collina 2006). (APL)