collage
carta/ collage/ tecnica mista
cm 34 (la) 34 (a)
(1990 - 1990)
Ultimi Verdi rappresenta una declinazione della ricerca scultorea di Luigi Mainolfi, tra i molti interessi del quale emerge anche la sperimentazione rivolta all'indagine della superficie, in una spazialità che diventa in questo caso concettuale. Mainolfi, che si è sempre definito scultore, non risulta smentito nemmeno dalle sue opere bidimensionali, dove si esaltano i valori epidermici della materia e che possono essere definite sculture piatte.


“Luigi Mainolfi è tra quei pochi artisti che alla fine degli anni Settanta si è reso conto che la grande pianta della scultura, quella che era cresciuta nei secoli senza soluzioni di continuità come un solido tronco con innumerevoli rami, e con radici profondissime, non poteva essersi di colpo seccata, vivendo solo più attraverso persistenze culturalmente arretrate e fenomeni marginali. Ritrovare e rilanciare la vitalità di questo linguaggio innestandolo in terreno immaginativo carico di nuove energie, di nuove tensioni plastiche: questa è stata la sfida vincente dell'artista. Si trattava di andare al di là delle esperienze della scultura dominate da criteri di matrice costruttiva e minimalista, oppure caratterizzate da modalità di assemblaggio o installazione ambientale di elementi e oggetti direttamente provenienti dalla realtà urbana o naturale (esperienze peraltro fondamentali), per riscoprire un'attitudine creativa e formale che sembrava ormai senza futuro, rimettendo così in gioco anche materiali classici considerati come esauriti dal punto di vista delle potenzialità espressive. Tutto questo, si badi bene, senza sottintesi concettuali e ammiccamenti citazionistici, e naturalmente senza nostalgie verso la tradizione accademica. Mainolfi c'è riuscito mettendo in atto uno straordinario cortocircuito estetico e culturale fra le ragioni profonde di una dimensione plastica carica di suggestioni mitiche e arcaiche, e una sensibilità contemporanea che non ha certo dimenticato i contributi più vitali delle ricerche degli ultimi decenni, come per esempio l'interazione organica fra lavoro artistico e spazio espositivo, o la funzione cruciale delle caratteristiche primarie dei materiali nella determinazione dell'identità specifica dell'opera. Le sue sculture, fin dall'inizio, hanno abbandonato i piedestalli per abitare libere nell'ambiente: si installano e proliferano sui pavimenti e sui muri; si sviluppano come organismi in articolate forme viventi e crescono come stalagmiti, colonne o pilastri, anche fino a congiungersi al soffitto; si raggruppano, più tranquillamente, sulla superficie di tavoli; mettono in scena una narrazione visiva, enigmatica e fantastica, che trasforma le normali coordinate spazio-temporali in una dimensione di silenzioso incanto. […] È proprio l'idea della scultura intesa come corpo organico, carico di energia fantastica pulsante, che presuppone una attenzione privilegiata e sensuale per la superficie della sua ‘pelle’, tale che in molti casi si arriva a enfatizzare quasi esclusivamente questo aspetto, dando vita a sculture piatte, vale a dire a pannelli a muro o a forme plastiche semplici in cui praticamente tutto si risolve a livello dello strato più esterno" (F. Poli 1995). (APL)