Roccabianca

Castello Rossi
Roccabianca

Castello Rossi, su gentile concessione dell'Associazione Castelli del Ducato di Parma e Piacenza
piazza Garibaldi, 14
Roccabianca (PR)
tel 0521 374596, 0521 374004, 339 2328395
Nella bassa pianura parmense prospiciente il territorio di Cremona, Roccabianca è incastonata tra le anse della sinistra Taro e il Po.

Tra i Pallavicino e i Rossi
Confinanti con l’oltrepo sottoposto alla diocesi cremonese, le terre di Fossa e Stagno – situate nei pressi dell’antica direttrice che univa Parma a Cremona, parte poi dei percorsi francigeni - vennero assegnate nel 894 dal re d’Italia al vescovo di Parma, che le lasciò in eredità al capitolo della cattedrale.
Rezinoldo o Arzenoldo, la futura Roccabianca, venne infeudata nel 1189 dall’imperatore agli obertenghi Pallavicino, signori ghibellini di vasti possedimenti fra il Taro e l’Arda, che nel 1249 ottennero anche la vicina Zibello con Polesine e Busseto, consolidando il loro controllo del medio corso del Po di fronte a Cremona. A difesa dei commerci cittadini, il vescovo di Parma impiantò nel 1284 sulla linea di confine una rete di torri di guardia, una delle quali venne posta sul ponte di Rezinoldo.
Nella seconda metà del Trecento - in un quadro politico condizionato dall’egemonia imposta da Milano sulla pianura padana occidentale - il potere dei Pallavicino in questa area venne minacciato dai guelfi Rossi, loro avversari anche nelle lotte fazionarie a Parma. La conquista nel 1331, insieme al titolo di conti di Berceto, dell’importante pieve di Ottoville grazie a Giovanni re di Boemia, e l’acquisto dalla diocesi parmense di San Secondo e della villa del Pizzo verso Rezinoldo nel 1365 furono tappe di una più ampia politica espansionistica che portò in breve tempo i Rossi a controllare le valli tra il Parma e il Taro, dal Po agli appennini, e le vie di comunicazione tra Lombardia, Toscana e Liguria.
Attorno al 1375, il contemporaneo acquisto da parte dei Rossi e dei Pallavicino delle terre detenute in questa area fin dal secolo XI dalla famiglia cremonese da Borgo aprì una disputa tra i due casati che si sarebbe trascinata per oltre un secolo e mezzo tra liti giudiziarie e scontri armati. La conferma imperiale di Rezinoldo ai Rossi nel 1413 scatenò la violenta reazione dei Pallavicino, che lanciarono una serie di sanguinose scorrerie contro le fortificazioni rossiane.

La Roccabianca di Pier Maria Rossi
A metà Quattrocento il celebre condottiero Pier Maria II Rossi, avuta conferma dei suoi diritti dal duca di Milano Francesco Sforza, avviò a Rezinoldo la costruzione su progetto di Giacomo dal Miglio e Giacomo Lanzo di una possente rocca, dotata di doppia cinta muraria e doppio fossato, completata negli anni Sessanta. Nel suo testamento del 1464, poi con atto notarile, Pier Maria donò il castello all’amata Bianca Pellegrini, alla quale aveva dedicato anche Torrechiara.
Roccabianca - così rinominata forse dalla stessa Bianca o dal colore dei paramenti murari - divenne sede di una delle podesterie dello ‘stato’ rossiano e suo importante centro di potere nella bassa pianura.
La posizione al confine con i territori pallavicini di Zibello fece della rocca, allestita come lussuosa residenza invernale per Bianca, anche un importante baluardo contro le perduranti pretese del casato avversario sulle terre circostanti. Pretese riemerse a fine anni Cinquanta con una disputa sui boschi di Ragazzola, e vent’anni dopo con l’acquisto di Stagno e Tolarolo da parte dei Pallavicino, appoggiati dal nuovo duca Ludovico il Moro, che provocò il trasferimento a Roccabianca degli abitanti attratti dalla promessa di un migliore regime fiscale.

Il ritorno dei Pallavicino
L’infinita controversia venne risolta dall’infausto esito della guerra che nei primi anni Ottanta oppose Pier Maria al Moro, ribaltandone la precedente politica filo-milanese. Potenziata nelle sue difese, Roccabianca poté resistere ai ripetuti bombardamenti nemici, arrendendosi come altre fortificazioni rossiane solo dopo un lungo assedio nel 1483, nella fase finale del conflitto.
La vittoria sui Rossi consentì al Moro di assegnare Roccabianca e Fontanelle al suo alleato Gianfrancesco I Pallavicino, signore di Zibello, ignorando le ultime volontà di Pier Maria, morto l’anno precedente, che dopo la scomparsa di Bianca aveva destinato Roccabianca, con San Secondo e altri possedimenti, al figlio Guido.
I Pallavicino di Zibello riuscirono a conservare Roccabianca anche dopo la sconfitta inflitta a fine secolo al Moro dal re di Francia, che nel 1502 concesse loro anche un altro caposaldo rossiano come Torrechiara, nonostante le pretese avanzate sull’antico ‘stato’ di Pier Maria da due rami contrapposti dei Rossi, che portarono alla costituzione del marchesato, poi contea, di San Secondo.

La signoria Rangoni
A seguito di una complicata vicenda successoria intrisa di motivi politici, alla fine degli anni Venti del Cinquecento Roccabianca e Zibello furono occupate con l’aiuto delle truppe papali da Ludovico Rangoni dei signori di Spilamberto, consorte dell’erede di Roccabianca e fratello di Guido che aveva impalmato una Pallavicino di Zibello. L’evento riaccese le ambizioni su Roccabianca del ramo sansecondino dei Rossi, innescando una lunghissima lite giudiziaria nota come causa Parmensis status, che ebbe un primo esito nel 1546 con l’assegnazione ai figli di Ludovico dei due feudi da parte del primo duca di Parma Pier Luigi Farnese.
La guerra che pochi anni dopo oppose Ottavio Farnese al papato e all’impero vide la rocca resistere un’ultima volta, nel 1551, all’assedio delle truppe nemiche; il trattato di Gand che nel 1556 confermò al duca i suoi possessi emiliani comportò infatti la distruzione di molte sue fortificazioni, comprese quelle di Roccabianca, la cui seconda cinta muraria venne atterrata.
La pax farnesiana ridimensionò le ambizioni dei signori locali e le funzioni militari dei loro castelli: sotto la signoria Rangoni anche Roccabianca venne trasformata in un palazzo signorile, riccamente decorato e arredato. Di particolare rilievo furono gli interventi promossi nella seconda metà del Seicento da Guido III, che accusato dell’assassinio di un Montecuccoli si era ritirato nei suoi dominii parmensi, lasciando al figlio i possedimenti modenesi. Appassionato cultore delle arti, Guido realizzò a Roccabianca le decorazioni di diversi ambienti e un teatrino affrescato e dotato di cinque diversi fondali, come già aveva fatto su più grande scala a Spilamberto. Fu lui a siglare nel 1695, poco prima di morire, l’accordo che chiudeva la causa Parmensis status, recependo la sentenza che trent’anni prima aveva restituito Zibello ai Pallavicino e confermato Roccabianca ai Rangoni, imponendone però la restituzione ai primi in caso di estinzione del casato modenese.

Il (secondo) ritorno dei Pallavicino
I Rangoni si estinsero nel 1762; le loro proprietà parmensi vennero avocate dalla camera ducale, che nel 1786 riassegnò secondo sentenza Roccabianca ai Pallavicino di Zibello. Solo venti anni dopo, il governo filonapoleonico sancì l’abolizione dei feudi che toglieva ai Pallavicino ogni diritto giurisdizionale, lasciando però loro il possesso della rocca.
Con la Restaurazione, scomparso nel 1831 l’ultimo rappresentante del casato, la duchessa Maria Luigia incamerò la rocca, concedendone l’usufrutto al suo ciambellano Giuseppe Pallavicino, discendente di un altro ramo della famiglia.

Tra Otto e Novecento: dal degrado alla valorizzazione
Dopo l’Unità d’Italia, le politiche urbanistiche e sanitarie portarono nel 1890 a colmare il fossato esterno del castello. Quello interno era ancora invaso d’acqua all’inizio del Novecento, quando l’edificio fu ceduto alla famiglia bresciana Facchi; risale a questa epoca il distacco e la vendita degli affreschi quattrocenteschi del ciclo di Griselda, poi confluiti attraverso il mercato antiquario ai musei del Castello Sforzesco di Milano, come accadde nello stesso periodo alla Camera d’Oro di Torrechiara.
Alla fine degli anni Sessanta la rocca venne acquistata dall’imprenditore Mario Scaltriti, che dopo averne fatto la sede della propria distilleria promosse negli anni Novanta un importante restauro dell’edificio. Con il recupero di diversi ambienti e delle loro decorazioni, la rocca è stata aperta al pubblico nel 2003, e destinata anche alla valorizzazione di alcune produzioni alimentari tipiche.

VISITA
Situato al centro del borgo e prospiciente sulla settecentesca piazza porticata, il castello di forma rettangolare è delimitato dal tracciato del fossato esterno colmato a fine Ottocento.
Il carattere difensivo dell’edificio, che è preceduto dai resti dell’antica cinta muraria in parte inglobata da abitazioni, emerge nelle spesse cortine murarie con base a scarpa in parte intonacate di bianco, nei possenti speroni angolari e nel mastio centrale, raro esempio di torre a doppio dado, dalla cui cima si ammira un ampio panorama che corre dalla Bassa fino al Torrazzo di Cremona.
Dal portale d'accesso sormontato da un medaglione marmoreo con lo stemma dei Rangoni-Pallavicino si giunge al quattrocentesco cortile porticato e decorato con gli stemmi di Pier Maria Rossi e Bianca Pellegrini, riscoperti durante i restauri, inseriti in intrecci di motivi vegetali e parzialmente occultati da quelli dei Pallavicino.
Nella Sala di Griselda, risalente all’epoca della costruzione del castello, è la ricostruzione tardo-novecentesca del ciclo di affreschi di metà Quattrocento che illustrava la centesima novella del Decamerone, trasferito nel XIX secolo al Castello Sforzesco di Milano. Gli elementi astrologici nella volta sono stati associati all’oroscopo di Pier Maria Rossi o a una mappa astrologica di origine mesopotamica.
Risalgono alla signoria Rangoni gli ambienti al piano terreno con dipinti e arredi realizzati tra Cinque e Settecento: la sala dei Feudi, con vedute dei possedimenti del casato, quella dei Paesaggi e quella dei Quattro Elementi, con l’allegoria della Fama che regge lo stemma rangone. Sempre al piano terreno, la Sala Rangoni venne decorata tra fine Sei e inizio Settecento con affreschi paesaggistici a trompe l’oeil che richiamano un loggiato aperto su un giardino e stucchi di conchiglie, il simbolo della famiglia che si ritrova anche nella vicina parrocchiale, edificata nel 1576; sopra la finestra è una Madonna con bambino di pieno Settecento. Tra gli ambienti del piano nobile è il salone del Camino, che ospitava un tempo il teatrino.
Completano la visita l’acetaia, la sala dei tini già sede della distilleria dei nuovi proprietari, la cantina del mastio che ospita la stagionatura di culatelli e salumi e la sala di degustazione di infusi vegetali tipici della tradizione locale.


Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Taro,
delta e valle Po,
via Cremonese-Parmense
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Pallavicino,
Rossi
Arte e Architettura

Stili architettonici e decorativi nel castello:

Rinascimento e Manierismo,
Barocco e Rococò
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

L'Oltrepo cremonese
Bibliografia
piazza Garibaldi, 14
Roccabianca (PR)
tel 0521 374596, 0521 374004, 339 2328395
Nella bassa pianura parmense prospiciente il territorio di Cremona, Roccabianca è incastonata tra le anse della sinistra Taro e il Po.

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Tra i Pallavicino e i Rossi
Confinanti con l’oltrepo sottoposto alla diocesi cremonese, le terre di Fossa e Stagno – situate nei pressi dell’antica direttrice che univa Parma a Cremona, parte poi dei percorsi francigeni - vennero assegnate nel 894 dal re d’Italia al vescovo di Parma, che le lasciò in eredità al capitolo della cattedrale.
Rezinoldo o Arzenoldo, la futura Roccabianca, venne infeudata nel 1189 dall’imperatore agli obertenghi Pallavicino, signori ghibellini di vasti possedimenti fra il Taro e l’Arda, che nel 1249 ottennero anche la vicina Zibello con Polesine e Busseto, consolidando il loro controllo del medio corso del Po di fronte a Cremona. A difesa dei commerci cittadini, il vescovo di Parma impiantò nel 1284 sulla linea di confine una rete di torri di guardia, una delle quali venne posta sul ponte di Rezinoldo.
Nella seconda metà del Trecento - in un quadro politico condizionato dall’egemonia imposta da Milano sulla pianura padana occidentale - il potere dei Pallavicino in questa area venne minacciato dai guelfi Rossi, loro avversari anche nelle lotte fazionarie a Parma. La conquista nel 1331, insieme al titolo di conti di Berceto, dell’importante pieve di Ottoville grazie a Giovanni re di Boemia, e l’acquisto dalla diocesi parmense di San Secondo e della villa del Pizzo verso Rezinoldo nel 1365 furono tappe di una più ampia politica espansionistica che portò in breve tempo i Rossi a controllare le valli tra il Parma e il Taro, dal Po agli appennini, e le vie di comunicazione tra Lombardia, Toscana e Liguria.
Attorno al 1375, il contemporaneo acquisto da parte dei Rossi e dei Pallavicino delle terre detenute in questa area fin dal secolo XI dalla famiglia cremonese da Borgo aprì una disputa tra i due casati che si sarebbe trascinata per oltre un secolo e mezzo tra liti giudiziarie e scontri armati. La conferma imperiale di Rezinoldo ai Rossi nel 1413 scatenò la violenta reazione dei Pallavicino, che lanciarono una serie di sanguinose scorrerie contro le fortificazioni rossiane.

La Roccabianca di Pier Maria Rossi
A metà Quattrocento il celebre condottiero Pier Maria II Rossi, avuta conferma dei suoi diritti dal duca di Milano Francesco Sforza, avviò a Rezinoldo la costruzione su progetto di Giacomo dal Miglio e Giacomo Lanzo di una possente rocca, dotata di doppia cinta muraria e doppio fossato, completata negli anni Sessanta. Nel suo testamento del 1464, poi con atto notarile, Pier Maria donò il castello all’amata Bianca Pellegrini, alla quale aveva dedicato anche Torrechiara.
Roccabianca - così rinominata forse dalla stessa Bianca o dal colore dei paramenti murari - divenne sede di una delle podesterie dello ‘stato’ rossiano e suo importante centro di potere nella bassa pianura.
La posizione al confine con i territori pallavicini di Zibello fece della rocca, allestita come lussuosa residenza invernale per Bianca, anche un importante baluardo contro le perduranti pretese del casato avversario sulle terre circostanti. Pretese riemerse a fine anni Cinquanta con una disputa sui boschi di Ragazzola, e vent’anni dopo con l’acquisto di Stagno e Tolarolo da parte dei Pallavicino, appoggiati dal nuovo duca Ludovico il Moro, che provocò il trasferimento a Roccabianca degli abitanti attratti dalla promessa di un migliore regime fiscale.

Il ritorno dei Pallavicino
L’infinita controversia venne risolta dall’infausto esito della guerra che nei primi anni Ottanta oppose Pier Maria al Moro, ribaltandone la precedente politica filo-milanese. Potenziata nelle sue difese, Roccabianca poté resistere ai ripetuti bombardamenti nemici, arrendendosi come altre fortificazioni rossiane solo dopo un lungo assedio nel 1483, nella fase finale del conflitto.
La vittoria sui Rossi consentì al Moro di assegnare Roccabianca e Fontanelle al suo alleato Gianfrancesco I Pallavicino, signore di Zibello, ignorando le ultime volontà di Pier Maria, morto l’anno precedente, che dopo la scomparsa di Bianca aveva destinato Roccabianca, con San Secondo e altri possedimenti, al figlio Guido.
I Pallavicino di Zibello riuscirono a conservare Roccabianca anche dopo la sconfitta inflitta a fine secolo al Moro dal re di Francia, che nel 1502 concesse loro anche un altro caposaldo rossiano come Torrechiara, nonostante le pretese avanzate sull’antico ‘stato’ di Pier Maria da due rami contrapposti dei Rossi, che portarono alla costituzione del marchesato, poi contea, di San Secondo.

La signoria Rangoni
A seguito di una complicata vicenda successoria intrisa di motivi politici, alla fine degli anni Venti del Cinquecento Roccabianca e Zibello furono occupate con l’aiuto delle truppe papali da Ludovico Rangoni dei signori di Spilamberto, consorte dell’erede di Roccabianca e fratello di Guido che aveva impalmato una Pallavicino di Zibello. L’evento riaccese le ambizioni su Roccabianca del ramo sansecondino dei Rossi, innescando una lunghissima lite giudiziaria nota come causa Parmensis status, che ebbe un primo esito nel 1546 con l’assegnazione ai figli di Ludovico dei due feudi da parte del primo duca di Parma Pier Luigi Farnese.
La guerra che pochi anni dopo oppose Ottavio Farnese al papato e all’impero vide la rocca resistere un’ultima volta, nel 1551, all’assedio delle truppe nemiche; il trattato di Gand che nel 1556 confermò al duca i suoi possessi emiliani comportò infatti la distruzione di molte sue fortificazioni, comprese quelle di Roccabianca, la cui seconda cinta muraria venne atterrata.
La pax farnesiana ridimensionò le ambizioni dei signori locali e le funzioni militari dei loro castelli: sotto la signoria Rangoni anche Roccabianca venne trasformata in un palazzo signorile, riccamente decorato e arredato. Di particolare rilievo furono gli interventi promossi nella seconda metà del Seicento da Guido III, che accusato dell’assassinio di un Montecuccoli si era ritirato nei suoi dominii parmensi, lasciando al figlio i possedimenti modenesi. Appassionato cultore delle arti, Guido realizzò a Roccabianca le decorazioni di diversi ambienti e un teatrino affrescato e dotato di cinque diversi fondali, come già aveva fatto su più grande scala a Spilamberto. Fu lui a siglare nel 1695, poco prima di morire, l’accordo che chiudeva la causa Parmensis status, recependo la sentenza che trent’anni prima aveva restituito Zibello ai Pallavicino e confermato Roccabianca ai Rangoni, imponendone però la restituzione ai primi in caso di estinzione del casato modenese.

Il (secondo) ritorno dei Pallavicino
I Rangoni si estinsero nel 1762; le loro proprietà parmensi vennero avocate dalla camera ducale, che nel 1786 riassegnò secondo sentenza Roccabianca ai Pallavicino di Zibello. Solo venti anni dopo, il governo filonapoleonico sancì l’abolizione dei feudi che toglieva ai Pallavicino ogni diritto giurisdizionale, lasciando però loro il possesso della rocca.
Con la Restaurazione, scomparso nel 1831 l’ultimo rappresentante del casato, la duchessa Maria Luigia incamerò la rocca, concedendone l’usufrutto al suo ciambellano Giuseppe Pallavicino, discendente di un altro ramo della famiglia.

Tra Otto e Novecento: dal degrado alla valorizzazione
Dopo l’Unità d’Italia, le politiche urbanistiche e sanitarie portarono nel 1890 a colmare il fossato esterno del castello. Quello interno era ancora invaso d’acqua all’inizio del Novecento, quando l’edificio fu ceduto alla famiglia bresciana Facchi; risale a questa epoca il distacco e la vendita degli affreschi quattrocenteschi del ciclo di Griselda, poi confluiti attraverso il mercato antiquario ai musei del Castello Sforzesco di Milano, come accadde nello stesso periodo alla Camera d’Oro di Torrechiara.
Alla fine degli anni Sessanta la rocca venne acquistata dall’imprenditore Mario Scaltriti, che dopo averne fatto la sede della propria distilleria promosse negli anni Novanta un importante restauro dell’edificio. Con il recupero di diversi ambienti e delle loro decorazioni, la rocca è stata aperta al pubblico nel 2003, e destinata anche alla valorizzazione di alcune produzioni alimentari tipiche.

VISITA
Situato al centro del borgo e prospiciente sulla settecentesca piazza porticata, il castello di forma rettangolare è delimitato dal tracciato del fossato esterno colmato a fine Ottocento.
Il carattere difensivo dell’edificio, che è preceduto dai resti dell’antica cinta muraria in parte inglobata da abitazioni, emerge nelle spesse cortine murarie con base a scarpa in parte intonacate di bianco, nei possenti speroni angolari e nel mastio centrale, raro esempio di torre a doppio dado, dalla cui cima si ammira un ampio panorama che corre dalla Bassa fino al Torrazzo di Cremona.
Dal portale d'accesso sormontato da un medaglione marmoreo con lo stemma dei Rangoni-Pallavicino si giunge al quattrocentesco cortile porticato e decorato con gli stemmi di Pier Maria Rossi e Bianca Pellegrini, riscoperti durante i restauri, inseriti in intrecci di motivi vegetali e parzialmente occultati da quelli dei Pallavicino.
Nella Sala di Griselda, risalente all’epoca della costruzione del castello, è la ricostruzione tardo-novecentesca del ciclo di affreschi di metà Quattrocento che illustrava la centesima novella del Decamerone, trasferito nel XIX secolo al Castello Sforzesco di Milano. Gli elementi astrologici nella volta sono stati associati all’oroscopo di Pier Maria Rossi o a una mappa astrologica di origine mesopotamica.
Risalgono alla signoria Rangoni gli ambienti al piano terreno con dipinti e arredi realizzati tra Cinque e Settecento: la sala dei Feudi, con vedute dei possedimenti del casato, quella dei Paesaggi e quella dei Quattro Elementi, con l’allegoria della Fama che regge lo stemma rangone. Sempre al piano terreno, la Sala Rangoni venne decorata tra fine Sei e inizio Settecento con affreschi paesaggistici a trompe l’oeil che richiamano un loggiato aperto su un giardino e stucchi di conchiglie, il simbolo della famiglia che si ritrova anche nella vicina parrocchiale, edificata nel 1576; sopra la finestra è una Madonna con bambino di pieno Settecento. Tra gli ambienti del piano nobile è il salone del Camino, che ospitava un tempo il teatrino.
Completano la visita l’acetaia, la sala dei tini già sede della distilleria dei nuovi proprietari, la cantina del mastio che ospita la stagionatura di culatelli e salumi e la sala di degustazione di infusi vegetali tipici della tradizione locale.


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