Felino

Castello di Felino
Felino

Veduta aerea del castello di Felino
via al Castello, 14
Felino (PR)
tel 0521 336020
Sulle prime colline dell’appennino parmense, Felino occupa un’altura sulla riva destra del torrente Baganza, che poco più a nord, giunto alle porte del capoluogo, confluisce nel Parma.

I Ruggeri e le lotte fazionarie a Parma
La corte di Felino è citata in un documento imperiale dell’anno 870. Il castello è attestato una prima volta nel 1140, quando il monastero parmense di Sant’Alessandro ottenne i diritti su due chiese edificate nella sua area, poi nella seconda metà del secolo, quando Federico Barbarossa ne investì Guido dei Ruggeri di Parma.
L’importanza di Felino rimase a lungo legata alla sua posizione: posto a poca distanza da Parma a nord, e a ovest dalla via Francigena che attraverso la Cisa conduceva in Toscana e in Liguria, il castello controllava anche l’antica pedemontana Claudia che congiungeva il modenese al parmense.
Le guerre fazionarie che attraversarono Parma coinvolsero anche Felino: ancora sotto il dominio dei Ruggeri il castello resistette nel 1325 all’assedio dei ghibellini guidati da Azzo Visconti e Manfredo Pallavicino, e nel 1345 venne preso per breve tempo da Obizzo d’Este, che l’anno successivo avrebbe ceduto Parma ai Visconti, aprendo la lunga stagione dell’egemonia di Milano sulla città e il suo territorio.

Al centro dello ‘stato’ dei Rossi
In quello stesso 1346 Bonaccorso Ruggeri, morendo senza eredi maschi diretti, lasciò per testamento Felino e la sua giurisdizione ai due generi, membri della famiglia dei Rossi, preminente casato guelfo che in quei decenni stava ponendo le basi di un amplissimo dominio nel parmense e in parte dell’oltrepo cremonese, esteso dagli appennini al Po tra le valli del Parma e del Taro.
Gran parte dello ‘stato’ rossiano fu costruito grazie all’appropriazione di possedimenti della diocesi parmense, favorita dalla parentela con il vescovo Ugolino; ma significative acquisizioni vennero anche dai possedimenti di altre famiglie signorili, ottenuti con la forza o con transazioni economiche, o per il tramite di un’accorta politica matrimoniale, come appunto nel caso di Felino.
All’inizio del Quattrocento i Rossi, in lotta con Ottobuono Terzi per la supremazia su Parma, fortificarono ulteriormente Felino, trasformandolo in un’imprendibile fortezza inserita nella potente rete difensiva del loro stato. Grazie alla sua posizione tra pianura e appennino, Felino – la località più popolosa e luogo di mercato - divenne il centro amministrativo e politico dei dominii dei Rossi, sede non solo di una delle loro podesterie, ma anche della cancelleria e dell’archivio signorile. Valorizzato anche come residenza signorile, il castello venne eletto nei primi decenni del secolo a propria dimora principale dai titolari del feudo.

Il castello di Pier Maria
Il ruolo privilegiato di Felino non mutò nei decenni centrali del Quattrocento, quando il celebre condottiero Pier Maria Rossi diede vita a un ampio progetto di consolidamento dei suoi possessi fortificando i suoi castelli ed erigendovi splendide dimore signorili, come avvenne a Torrechiara, sede della corte, e a Berceto. Proprio la sua centralità potrebbe spiegarne, secondo lo storico Marco Gentile, l’assenza dagli affreschi della Camera d’Oro di Torrechiara, catasto visivo dei possessi di Pier Maria, dove Felino costituirebbe il punto di vista dal quale dominare l’ampio stato.
Il castello mantenne allora pienamente anche le proprie funzioni difensive, messe alla prova a metà secolo, quando Pier Maria sostenne Francesco Sforza nella conquista di Parma, poi nel corso della guerra ‘dei Rossi’ che nei primi anni ’80 lo oppose al nuovo duca di Milano Ludovico, alleato alle fazioni parmensi dei Pallavicino, Sanvitale e da Correggio. Il Moro poté conquistare e distruggere il castello solo nelle ultime fasi del conflitto, dopo la morte di Pier Maria, costringendo il figlio di questi, Guido, a cedergli Felino, Torrechiara e San Secondo.

Dopo le guerre d’Italia: Pallavicino e Sforza di Santa Fiora
La guerra d’Italia che oppose il ducato milanese alla Francia decise altrimenti dei tre feudi, che nel 1499 vennero assegnati dal re vittorioso al fedele Troilo de' Rossi, figlio di un figlio diseredato da Pier Maria deciso a rivendicare i suoi diritti, scavalcando le pretese avanzate sull’intero ‘stato’ rossiano dall’erede di Guido, Filippo, legato alla nemica Venezia.
La resistenza dei borghigiani di Felino e Torrechiara consentì però a Troilo di insediarsi solo a San Secondo – da lui integrato in seguito con l'acquisto di molti altri beni rossiani – inducendo il re a riassegnare gli altri due feudi a Pietro di Rohan. Nel 1502 Rohan li vendette ai Pallavicino di Busseto, discendenti degli acerrimi nemici di Pier Maria, che provvidero a riattare e munire militarmente il castello di Felino, messo sotto assedio nel 1513 da Filippo Rossi in un estremo tentativo di riconquista.
Nel 1545 Felino e Torrechiara passarono, grazie al matrimonio con una Pallavicino, al conte Sforza di Santa Fiora, nipote di papa Paolo III e cugino del duca di Parma Ottavio Farnese, che nel 1567 eresse a marchesato i due feudi insieme a Castell’Arquato.

Il breve dominio dei Masi e la congiura contro il duca
Nel 1599 il cardinale Francesco Sforza di Santa Fiora si impegnò a cedere Felino a Cosimo Masi, che aveva a lungo servito come segretario il duca di Parma Alessandro Farnese, seguendolo nella battaglia di Lepanto e assumendo al suo fianco importanti ruoli di governo dei Paesi Bassi, ottenendo nel 1591 in premio la contea di San Michele di Tiorre presso Felino, già feudo di Pier Maria.
Morto Cosimo nel 1600, l’acquisto fu portato a termine nel 1608 dal figlio Giovan Battista, che per saldare i debiti paterni fu però costretto a vendere il feudo di San Michele e a ricorrere alla garanzia del duca Ranuccio, cedendo in cambio alla camera parmense i canoni corrisposti dai contadini del feudo.
Legato per matrimonio e politicamente ai Torelli, conti di Montechiarugolo, sostenitore di tesi casuistiche contro la morale, la religione e la tirannia e implicato in un processo per stregoneria, Masi fu coinvolto due anni dopo nella congiura parmense ‘dei nobili’ contro il duca, guidata dai Sanseverino e dai Sanvitale. Accusato di aver messo a disposizione delle armate dei congiurati Felino come retroguardia della vicina Sala Baganza, feudo dei Sanvitale, venne decapitato nel 1612 dopo esser stato privato di tutti i suoi beni.

Un premio per i notabili della corte
Dopo la morte di Masi il castello, avocato dalla camera ducale, venne utilizzato per ricompensare i notabili della corte farnesiana, assumendo funzioni strettamente residenziali. Nel corso del Seicento il feudo venne così assegnato prima al generale Girolamo Rho, poi al ministro Giacomo Gaufridi marchese di Castelguelfo e nel 1650, dopo la caduta in disgrazia di questi, al segretario di Stato Pier Giorgio Lampugnani, la cui famiglia lo tenne per più di un secolo.
A metà Settecento il castello fu utilizzato come residenza di campagna dal ministro ducale Guillaume du Tillot, nominato nel 1764 marchese di Felino con diritti anche su San Michele, passando poi nel decennio successivo alla diocesi parmense che lo utilizzò per qualche tempo come residenza estiva del vescovo.

Il Novecento
Nel 1935 il complesso ormai in rovina fu ceduto alla famiglia Brian, proprietaria di una vicina villa, che adibì il castello ad abitazione dei propri contadini.
Negli anni Sessanta i Brian vendettero il castello ai conti Del Bono che lo trasformarono in albergo.
La nuova proprietà, subentrata nel 1974, avviò un restauro durato diversi decenni, che ha trasformato l’edificio in struttura ricettiva e sede di eventi.

VISITA
Posto su un colle boscoso ricco di castagni situato nei pressi del Parco naturale regionale dei Boschi di Carrega, l’imponente edificio a pianta quadrata è scandito da quattro torri angolari raccordate da cortine murarie; il poderoso mastio . Un ponte in muratura che sostituisce l’antico ponte levatio oltrepassa il fossato colmato conducendo all’ingresso con porta bronzea sormontata da un torricino.
Sulla corte d’onore con pozzo centrale si affacciano portici e ballatoi. Gli ambienti della torre sud-est conservano tracce di affreschi; nei sotterranei è l’antica cucina. Circonda l’edificio un prato terrazzato che si affaccia sulle colline e sulla pianura. Il castello ospita il museo del Salame, dedicato al celebre prodotto tipico del luogo.


Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Baganza (Parma),
via Pedemontana occidentale (Claudia o Pedrosa),
via Romea Francigena | Cisa
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Ruggeri,
Rossi,
Pallavicino,
Sforza di Santa Fiora,
Lampugnani
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

Parma 1611-1612: la congiura dei nobili
Bibliografia
via al Castello, 14
Felino (PR)
tel 0521 336020
Sulle prime colline dell’appennino parmense, Felino occupa un’altura sulla riva destra del torrente Baganza, che poco più a nord, giunto alle porte del capoluogo, confluisce nel Parma.

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I Ruggeri e le lotte fazionarie a Parma
La corte di Felino è citata in un documento imperiale dell’anno 870. Il castello è attestato una prima volta nel 1140, quando il monastero parmense di Sant’Alessandro ottenne i diritti su due chiese edificate nella sua area, poi nella seconda metà del secolo, quando Federico Barbarossa ne investì Guido dei Ruggeri di Parma.
L’importanza di Felino rimase a lungo legata alla sua posizione: posto a poca distanza da Parma a nord, e a ovest dalla via Francigena che attraverso la Cisa conduceva in Toscana e in Liguria, il castello controllava anche l’antica pedemontana Claudia che congiungeva il modenese al parmense.
Le guerre fazionarie che attraversarono Parma coinvolsero anche Felino: ancora sotto il dominio dei Ruggeri il castello resistette nel 1325 all’assedio dei ghibellini guidati da Azzo Visconti e Manfredo Pallavicino, e nel 1345 venne preso per breve tempo da Obizzo d’Este, che l’anno successivo avrebbe ceduto Parma ai Visconti, aprendo la lunga stagione dell’egemonia di Milano sulla città e il suo territorio.

Al centro dello ‘stato’ dei Rossi
In quello stesso 1346 Bonaccorso Ruggeri, morendo senza eredi maschi diretti, lasciò per testamento Felino e la sua giurisdizione ai due generi, membri della famiglia dei Rossi, preminente casato guelfo che in quei decenni stava ponendo le basi di un amplissimo dominio nel parmense e in parte dell’oltrepo cremonese, esteso dagli appennini al Po tra le valli del Parma e del Taro.
Gran parte dello ‘stato’ rossiano fu costruito grazie all’appropriazione di possedimenti della diocesi parmense, favorita dalla parentela con il vescovo Ugolino; ma significative acquisizioni vennero anche dai possedimenti di altre famiglie signorili, ottenuti con la forza o con transazioni economiche, o per il tramite di un’accorta politica matrimoniale, come appunto nel caso di Felino.
All’inizio del Quattrocento i Rossi, in lotta con Ottobuono Terzi per la supremazia su Parma, fortificarono ulteriormente Felino, trasformandolo in un’imprendibile fortezza inserita nella potente rete difensiva del loro stato. Grazie alla sua posizione tra pianura e appennino, Felino – la località più popolosa e luogo di mercato - divenne il centro amministrativo e politico dei dominii dei Rossi, sede non solo di una delle loro podesterie, ma anche della cancelleria e dell’archivio signorile. Valorizzato anche come residenza signorile, il castello venne eletto nei primi decenni del secolo a propria dimora principale dai titolari del feudo.

Il castello di Pier Maria
Il ruolo privilegiato di Felino non mutò nei decenni centrali del Quattrocento, quando il celebre condottiero Pier Maria Rossi diede vita a un ampio progetto di consolidamento dei suoi possessi fortificando i suoi castelli ed erigendovi splendide dimore signorili, come avvenne a Torrechiara, sede della corte, e a Berceto. Proprio la sua centralità potrebbe spiegarne, secondo lo storico Marco Gentile, l’assenza dagli affreschi della Camera d’Oro di Torrechiara, catasto visivo dei possessi di Pier Maria, dove Felino costituirebbe il punto di vista dal quale dominare l’ampio stato.
Il castello mantenne allora pienamente anche le proprie funzioni difensive, messe alla prova a metà secolo, quando Pier Maria sostenne Francesco Sforza nella conquista di Parma, poi nel corso della guerra ‘dei Rossi’ che nei primi anni ’80 lo oppose al nuovo duca di Milano Ludovico, alleato alle fazioni parmensi dei Pallavicino, Sanvitale e da Correggio. Il Moro poté conquistare e distruggere il castello solo nelle ultime fasi del conflitto, dopo la morte di Pier Maria, costringendo il figlio di questi, Guido, a cedergli Felino, Torrechiara e San Secondo.

Dopo le guerre d’Italia: Pallavicino e Sforza di Santa Fiora
La guerra d’Italia che oppose il ducato milanese alla Francia decise altrimenti dei tre feudi, che nel 1499 vennero assegnati dal re vittorioso al fedele Troilo de' Rossi, figlio di un figlio diseredato da Pier Maria deciso a rivendicare i suoi diritti, scavalcando le pretese avanzate sull’intero ‘stato’ rossiano dall’erede di Guido, Filippo, legato alla nemica Venezia.
La resistenza dei borghigiani di Felino e Torrechiara consentì però a Troilo di insediarsi solo a San Secondo – da lui integrato in seguito con l'acquisto di molti altri beni rossiani – inducendo il re a riassegnare gli altri due feudi a Pietro di Rohan. Nel 1502 Rohan li vendette ai Pallavicino di Busseto, discendenti degli acerrimi nemici di Pier Maria, che provvidero a riattare e munire militarmente il castello di Felino, messo sotto assedio nel 1513 da Filippo Rossi in un estremo tentativo di riconquista.
Nel 1545 Felino e Torrechiara passarono, grazie al matrimonio con una Pallavicino, al conte Sforza di Santa Fiora, nipote di papa Paolo III e cugino del duca di Parma Ottavio Farnese, che nel 1567 eresse a marchesato i due feudi insieme a Castell’Arquato.

Il breve dominio dei Masi e la congiura contro il duca
Nel 1599 il cardinale Francesco Sforza di Santa Fiora si impegnò a cedere Felino a Cosimo Masi, che aveva a lungo servito come segretario il duca di Parma Alessandro Farnese, seguendolo nella battaglia di Lepanto e assumendo al suo fianco importanti ruoli di governo dei Paesi Bassi, ottenendo nel 1591 in premio la contea di San Michele di Tiorre presso Felino, già feudo di Pier Maria.
Morto Cosimo nel 1600, l’acquisto fu portato a termine nel 1608 dal figlio Giovan Battista, che per saldare i debiti paterni fu però costretto a vendere il feudo di San Michele e a ricorrere alla garanzia del duca Ranuccio, cedendo in cambio alla camera parmense i canoni corrisposti dai contadini del feudo.
Legato per matrimonio e politicamente ai Torelli, conti di Montechiarugolo, sostenitore di tesi casuistiche contro la morale, la religione e la tirannia e implicato in un processo per stregoneria, Masi fu coinvolto due anni dopo nella congiura parmense ‘dei nobili’ contro il duca, guidata dai Sanseverino e dai Sanvitale. Accusato di aver messo a disposizione delle armate dei congiurati Felino come retroguardia della vicina Sala Baganza, feudo dei Sanvitale, venne decapitato nel 1612 dopo esser stato privato di tutti i suoi beni.

Un premio per i notabili della corte
Dopo la morte di Masi il castello, avocato dalla camera ducale, venne utilizzato per ricompensare i notabili della corte farnesiana, assumendo funzioni strettamente residenziali. Nel corso del Seicento il feudo venne così assegnato prima al generale Girolamo Rho, poi al ministro Giacomo Gaufridi marchese di Castelguelfo e nel 1650, dopo la caduta in disgrazia di questi, al segretario di Stato Pier Giorgio Lampugnani, la cui famiglia lo tenne per più di un secolo.
A metà Settecento il castello fu utilizzato come residenza di campagna dal ministro ducale Guillaume du Tillot, nominato nel 1764 marchese di Felino con diritti anche su San Michele, passando poi nel decennio successivo alla diocesi parmense che lo utilizzò per qualche tempo come residenza estiva del vescovo.

Il Novecento
Nel 1935 il complesso ormai in rovina fu ceduto alla famiglia Brian, proprietaria di una vicina villa, che adibì il castello ad abitazione dei propri contadini.
Negli anni Sessanta i Brian vendettero il castello ai conti Del Bono che lo trasformarono in albergo.
La nuova proprietà, subentrata nel 1974, avviò un restauro durato diversi decenni, che ha trasformato l’edificio in struttura ricettiva e sede di eventi.

VISITA
Posto su un colle boscoso ricco di castagni situato nei pressi del Parco naturale regionale dei Boschi di Carrega, l’imponente edificio a pianta quadrata è scandito da quattro torri angolari raccordate da cortine murarie; il poderoso mastio . Un ponte in muratura che sostituisce l’antico ponte levatio oltrepassa il fossato colmato conducendo all’ingresso con porta bronzea sormontata da un torricino.
Sulla corte d’onore con pozzo centrale si affacciano portici e ballatoi. Gli ambienti della torre sud-est conservano tracce di affreschi; nei sotterranei è l’antica cucina. Circonda l’edificio un prato terrazzato che si affaccia sulle colline e sulla pianura. Il castello ospita il museo del Salame, dedicato al celebre prodotto tipico del luogo.


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