Meldola

Rocca di Meldola
Meldola

Rocca di Meldola, Archivio IBC
via I Maggio
Meldola (FC)
tel 0543 499452 (Comune)
Sulle prime colline alle spalle della via Emilia tra Forlì, Forlimpopoli e Cesena, Meldola è situata all’imbocco della valle del Bidente, a metà strada tra Ravenna e le foreste del Casentino che segnano il confine con la Toscana.

Antica via di comunicazione tra pianura padana e area transappenninica, strategica in età imperiale grazie all’acquedotto che convogliava su Ravenna le acque del fiume, la valle del Bidente ospitò la linea fortificata posta dall’Esarcato a difesa della capitale contro i Longobardi, che aveva a Meldola un centro militare e amministrativo.

Sotto il vescovo di Ravenna
Parte della ‘romanìola’ ex-bizantina donata al papa dai re franchi, questa area appartenne poi a lungo alla Chiesa di Ravenna; sotto la sua giurisdizione - come parte del plebato di Santa Maria amministrato da Castelnuovo - compare dal secolo XI anche il sito fortificato di Meldola o Mendola, impiantato in epoca incerta su una roccia a controllo della strada di fondovalle, e infeudato con il suo borgo ai conti di Bertinoro, poi a quelli di Castrocaro, e per qualche tempo anche all’abbazia forlimpopolese di San Rufillo.
Nel corso del medioevo Meldola divenne uno snodo fondamentale dell’articolazione bidentina - la ‘melior via’ per Roma - della Romea Germanica, che dal Brennero e dalle valli ferraresi-ravennati approdava sulla via Emilia; da Meldola, alla confluenza delle strade provenienti da Forlì e da Forlimpopoli, il percorso proseguiva per Cusercoli, Galeata e Santa Sofia, concludendosi ad Arezzo.

Tra guelfi e ghibellini: dagli Ordelaffi alla crociata albornoziana
La sua posizione fece di Meldola un tassello strategico della guerra permanente tra guelfi e ghibellini che nel corso del Duecento attraversò la Romagna, intrecciandosi con le contese per l’egemonia territoriale tra le principali città e le mire espansionistiche di Milano, Ferrara, Venezia e Firenze.
Entrata nella sfera della ghibellina Forlì, Meldola subì ripetuti assedi, passando più volte di mano. Nel 1283, nell’aspra fase seguita al riconoscimento della sovranità papale sulla Romagna da parte dell'Impero, fu l’ultimo rifugio di Guido da Montefeltro, il capo ribelle dei ghibellini romagnoli scacciato dalla città; dopo un duro assedio il Rettore papale Jean d’Eppes conquistò la rocca e la distrusse.
Dagli anni Trenta del Trecento i nuovi signori di Forlì, i ghibellini Ordelaffi, si ribellarono di nuovo al papa, conquistando nel giro di un ventennio importanti fortificazioni come Cesena, Castrocaro e Bertinoro. Memorabile fu il lungo assedio posto già nel 1335 alla rocca di Meldola con un imponente dispiegamento di macchine belliche, respinto solo grazie all’intervento di Firenze, e a prezzo di pesanti danni che richiesero importanti lavori di ripristino, ampliamento e fortificazione delle difese.
Gli Ordelaffi riuscirono a conquistare il castello solo nel 1350, affrettandosi a fortificarlo; ma già alla fine di quel decennio dovettero soccombere alla controffensiva del cardinal Albornoz, rinunciando a Meldola e a gran parte delle loro conquiste.

Meldola malatestiana
Fatta pace con il papa dopo un ultimo tentativo di rivolta, all'inizio degli anni Ottanta gli Ordelaffi recuperarono in qualità di vicari apostolici molti dei loro possedimenti forlivesi; ma non Meldola, entrata nel 1379 con Bertinoro nei domini dei Malatesta, che l'anno prima avevano conquistato anche Cesena. Prendeva così corpo la spinta espansionistica a nord-est dei signori di Rimini, Pesaro, Fano e Fossombrone che li avrebbe portati fino a Porto Cesenatico e alle preziose saline di Cervia.
I Malatesta tennero Meldola per tutto il Quattrocento, ottenendola come signoria personale – insieme a Sarsina e altre località tra Bidente, Savio e Marecchia - quando nel 1465 furono costretti a restituire al papa il Cesenate, dopo il Riminese ceduto poco prima. In quegli stessi anni il rilancio delle mire straniere sulla Romagna confermava la funzione strategica della valle del Bidente, divenuta ora la cerniera tra i possedimenti della Chiesa e la cosiddetta Romagna ‘toscana’ nata a fine Trecento a spese di Roma.
Per tutto il secolo la rocca di Meldola fu così oggetto di incessanti interventi di fortificazione e ampliamento, che comportarono tra l’altro l'edificazione delle mura a est dell’impianto fortificato, valorizzando al contempo le funzioni residenziali dell’edificio, che fu rifugio di Malatesta Novello durante la peste di Cesena e ospitò poi la madre di Roberto, Vannetta Toschi, nel corso del lungo assedio posto dalle truppe papali.

Da Venezia a Venezia, passando per il Valentino
Nella seconda metà del Quattrocento anche i Malatesta, come molti signori della Romagna nordorientale, furono attratti nell’orbita di Venezia, potenza emergente dell’area dopo l’annessione negli anni Quaranta di Ravenna. Il sostegno, anche finanziario, della Serenissima non poté però impedire che nel 1500 Meldola venisse ceduta per denaro dall’indebitato Pandolfo IV, con Sarsina e la stessa Rimini, a Cesare Borgia, il figlio di papa Alessandro che stava creando un proprio dominio personale in Romagna.
Esaurito il progetto del Valentino con la morte del suo protettore, nel 1503 Pandolfo cedette di nuovo i suoi possedimenti: questa volta però, in evidente conflitto con gli interessi della Chiesa, proprio ai Veneziani. Pochi anni dopo, la sconfitta di Agnadello costringeva la Serenissima a restituire al papa i territori romagnoli occupati; quel breve periodo fu però sufficiente a realizzare a Meldola il restauro della rocca e della porta borghigiana di sant'Andrea e la ricostruzione del ponte sul Bidente - detto da allora dei Veneziani – forse con elementi dell’antico acquedotto romano.

Una nuova capitale, un palazzo per i Pio
Riaffermati i suoi diritti, il nuovo papa Giulio II inglobò i domini romagnoli nello Stato della Chiesa, cancellando il sistema dei vicariati signorili e assegnando singoli feudi a famiglie di provata fedeltà. Nel 1518 il feudo di Meldola e Sarsina venne così conferito da Leone X a Alberto III Pio, il signore di Carpi che era divenuto ambasciatore di Massimiliano d’Asburgo presso la Curia romana, imparentandosi con lo stesso papa. Lo scontro tra Francia e Impero coinvolse anche Meldola, che nel 1527 vide distrutte le sue difese dai Lanzichenecchi diretti a Roma, e divenne oggetto di un fallito scambio tra il papa e Pandolfo Malatesta che aveva tentato allora di recuperare la sua signoria.
Nel 1531 il feudo passò a Leonello Pio, fratello di Alberto, che era stato nel frattempo destituito dalla signoria carpigiana dal nuovo imperatore Carlo V con l’accusa di tradimento. Presidente della Provincia di Romagna e governatore di Bertinoro, Leonello – che non rinunciò mai a rivendicare Carpi - unì ai diritti su Meldola e Sarsina avuti dal fratello quelli su Verucchio e Scorticata (oggi Torriana) pervenutigli tramite la seconda moglie Ippolita Comneno.
La rocca divenne così una dimora principesca, adeguata al rango di piccola capitale acquisito da Meldola. Le strutture difensive vennero integrate da una nuova, imponente costruzione destinata a residenza, affacciata sulla pianura e sulle colline di Bertinoro. L’edificio, che occupava quasi tutto il recinto tra il maschio e il bastione est, comprendeva una corte aperta a sud-est, percorsa ai piani da ampie logge sulle quali affacciavano i vari ambienti e due scaloni contrapposti che scorrevano dalla torre di accesso agli ampi spazi interrati sotto il terrapieno alla base dell’edificio. Altri edifici residenziali occupavano i camminamenti di ronda a nord, mentre l’ultimo recinto difensivo accessibile dal mastio venne rafforzato da altre costruzioni poste a protezione delle artiglierie.
Il figlio di Leonello, Alberto, proseguì i lavori di ampliamento e decorazione del palazzo, in particolare nell’area affacciata a strapiombo sullo scalone e sul borgo. Anche quest’ultimo fu oggetto di notevoli interventi come l’edificazione della chiesa di San Rocco e il restauro dell’acquedotto portato ad alimentare la fontana cittadina; il casato si distinse anche nel sostegno alle strutture assistenziali, l’ospedale e il monte di pietà, e nella fondazione dell’Accademia degli Imperfetti a opera di un figlio cardinale di Leonello.

Aldobrandini e Panphili
La signoria dei Pio ebbe vita breve: già alla fine del Cinquecento il nipote di Leonello fu costretto dai debiti a vendere Meldola e Sarsina con Ranchio e Polenta ai principi Aldobrandini, nipoti di papa Clemente VIII, mentre Verucchio e Scorticata erano già tornate alla Chiesa con un cavillo legale. Il favore papale contribuì allo sviluppo della città grazie al sostegno ai commerci e all’impianto di una fiorente industria della seta, attiva fino a metà Novecento. Anche la signoria Aldobrandini lasciò a Meldola segni tangibili: la cinquecentesca chiesa della Madonna del Sasso venne ampliata e trasformata nell'oratorio esterno della rocca, mentre al posto delle mura meridionali del borgo fu realizzato uno splendido doppio loggiato aperto sulla piazza, decorato con gli elementi araldici del casato.
A metà Seicento il feudo passò a Camillo Panphili, nipote di un altro papa, Innocenzo X, e marito dell’ultima Aldobrandini; ai Panphili si devono la ristrutturazione della rocca dopo il terremoto del 1661 e l’edificazione del campanile e del nuovo palazzo comunale nel borgo. L’aspra contesa legale seguita all’estinzione del casato si concluse nel 1769 con l’assegnazione congiunta dei diritti sul feudo agli eredi Borghese Aldobrandini e Doria Panphili Landi.

Dal declino al recupero
Il regime napoleonico cancellò anche a Meldola il regime feudale, mentre la rocca, utilizzata come alloggio per le truppe, veniva spogliata di arredi e strutture. Restituito ai proprietari dopo la Restaurazione, e rimasto dopo il 1834 ai soli Doria Pamphilj, l’edificio venne abbandonato al degrado. Il terribile terremoto del 1870, che colpì con violenza la valle del Bidente, danneggiò gravemente gli edifici del palazzo di Leonello nell’ala nord-est del cortile che dovettero essere demoliti, fornendo materiale per riempire i fossati e coprire le fondamenta di quel lato dell’edificio; rimase invece in piedi l’ala realizzata da Alberto.
Nel 1922 la rocca fu venduta al parroco di San Cosimo, don Casadei, al quale nel 1951 subentrò nella proprietà - uscita ulteriormente danneggiata dagli eventi bellici - il nipote don Giuseppe Simoncelli.
Nel 1995 l’edificio venne acquisito con il contributo della Regione dal comune di Meldola, che avviò un ampio piano di restauro e recupero, tuttora in corso a causa dello stato di conservazione dell’immobile, assai danneggiato nella sezione del bastione principale. Una indagine pluriennale - avviata dall’Università di Bologna nel quadro del progetto di catalogazione dei castelli emiliano-romagnoli promosso con l’Istituto Beni Culturali regionale - ha messo in luce le diverse fasi edilizie del complesso sulla base dei materiali utilizzati. L’edificio viene oggi aperto al pubblico in occasioni particolari.

VISITA Una serie di ripide stradine conduce dalla piazza centrale di Meldola, circondata da nobili palazzi e dallo splendido loggiato Aldobrandini, all’imponente rocca impiantata sul ‘sasso’ calcareo di origine marina che domina il borgo. Una scalinata esterna in sasso (attualmente non percorribile) porta all’edificio, protetto da alte mura a scarpa e circondato da una serie di corti esterne, su livelli differenti, che consentono la vista sugli ampi panorami sottostanti. Impiantata su un terrapieno murato aperto sulla valle e chiuso da una torre, una delle corti ospita una serie di alti cipressi. Negli spazi interni si susseguono corti e vasti edifici. Di norma visitabile solo all'esterno, la struttura viene parzialmente aperta al pubblico in occasione di manifestazioni ed eventi particolari; la corte dei cipressi può ospitare le celebrazione di matrimoni.



Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Bidente e Ronco
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Castrocaro (conti di),
Ordelaffi,
Malatesta,
Repubblica di Venezia,
Pio
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

Albornoz: la reconquista della Romagna,
La Romagna veneziana
Bibliografia
via I Maggio
Meldola (FC)
tel 0543 499452 (Comune)
Sulle prime colline alle spalle della via Emilia tra Forlì, Forlimpopoli e Cesena, Meldola è situata all’imbocco della valle del Bidente, a metà strada tra Ravenna e le foreste del Casentino che segnano il confine con la Toscana.

.
Antica via di comunicazione tra pianura padana e area transappenninica, strategica in età imperiale grazie all’acquedotto che convogliava su Ravenna le acque del fiume, la valle del Bidente ospitò la linea fortificata posta dall’Esarcato a difesa della capitale contro i Longobardi, che aveva a Meldola un centro militare e amministrativo.

Sotto il vescovo di Ravenna
Parte della ‘romanìola’ ex-bizantina donata al papa dai re franchi, questa area appartenne poi a lungo alla Chiesa di Ravenna; sotto la sua giurisdizione - come parte del plebato di Santa Maria amministrato da Castelnuovo - compare dal secolo XI anche il sito fortificato di Meldola o Mendola, impiantato in epoca incerta su una roccia a controllo della strada di fondovalle, e infeudato con il suo borgo ai conti di Bertinoro, poi a quelli di Castrocaro, e per qualche tempo anche all’abbazia forlimpopolese di San Rufillo.
Nel corso del medioevo Meldola divenne uno snodo fondamentale dell’articolazione bidentina - la ‘melior via’ per Roma - della Romea Germanica, che dal Brennero e dalle valli ferraresi-ravennati approdava sulla via Emilia; da Meldola, alla confluenza delle strade provenienti da Forlì e da Forlimpopoli, il percorso proseguiva per Cusercoli, Galeata e Santa Sofia, concludendosi ad Arezzo.

Tra guelfi e ghibellini: dagli Ordelaffi alla crociata albornoziana
La sua posizione fece di Meldola un tassello strategico della guerra permanente tra guelfi e ghibellini che nel corso del Duecento attraversò la Romagna, intrecciandosi con le contese per l’egemonia territoriale tra le principali città e le mire espansionistiche di Milano, Ferrara, Venezia e Firenze.
Entrata nella sfera della ghibellina Forlì, Meldola subì ripetuti assedi, passando più volte di mano. Nel 1283, nell’aspra fase seguita al riconoscimento della sovranità papale sulla Romagna da parte dell'Impero, fu l’ultimo rifugio di Guido da Montefeltro, il capo ribelle dei ghibellini romagnoli scacciato dalla città; dopo un duro assedio il Rettore papale Jean d’Eppes conquistò la rocca e la distrusse.
Dagli anni Trenta del Trecento i nuovi signori di Forlì, i ghibellini Ordelaffi, si ribellarono di nuovo al papa, conquistando nel giro di un ventennio importanti fortificazioni come Cesena, Castrocaro e Bertinoro. Memorabile fu il lungo assedio posto già nel 1335 alla rocca di Meldola con un imponente dispiegamento di macchine belliche, respinto solo grazie all’intervento di Firenze, e a prezzo di pesanti danni che richiesero importanti lavori di ripristino, ampliamento e fortificazione delle difese.
Gli Ordelaffi riuscirono a conquistare il castello solo nel 1350, affrettandosi a fortificarlo; ma già alla fine di quel decennio dovettero soccombere alla controffensiva del cardinal Albornoz, rinunciando a Meldola e a gran parte delle loro conquiste.

Meldola malatestiana
Fatta pace con il papa dopo un ultimo tentativo di rivolta, all'inizio degli anni Ottanta gli Ordelaffi recuperarono in qualità di vicari apostolici molti dei loro possedimenti forlivesi; ma non Meldola, entrata nel 1379 con Bertinoro nei domini dei Malatesta, che l'anno prima avevano conquistato anche Cesena. Prendeva così corpo la spinta espansionistica a nord-est dei signori di Rimini, Pesaro, Fano e Fossombrone che li avrebbe portati fino a Porto Cesenatico e alle preziose saline di Cervia.
I Malatesta tennero Meldola per tutto il Quattrocento, ottenendola come signoria personale – insieme a Sarsina e altre località tra Bidente, Savio e Marecchia - quando nel 1465 furono costretti a restituire al papa il Cesenate, dopo il Riminese ceduto poco prima. In quegli stessi anni il rilancio delle mire straniere sulla Romagna confermava la funzione strategica della valle del Bidente, divenuta ora la cerniera tra i possedimenti della Chiesa e la cosiddetta Romagna ‘toscana’ nata a fine Trecento a spese di Roma.
Per tutto il secolo la rocca di Meldola fu così oggetto di incessanti interventi di fortificazione e ampliamento, che comportarono tra l’altro l'edificazione delle mura a est dell’impianto fortificato, valorizzando al contempo le funzioni residenziali dell’edificio, che fu rifugio di Malatesta Novello durante la peste di Cesena e ospitò poi la madre di Roberto, Vannetta Toschi, nel corso del lungo assedio posto dalle truppe papali.

Da Venezia a Venezia, passando per il Valentino
Nella seconda metà del Quattrocento anche i Malatesta, come molti signori della Romagna nordorientale, furono attratti nell’orbita di Venezia, potenza emergente dell’area dopo l’annessione negli anni Quaranta di Ravenna. Il sostegno, anche finanziario, della Serenissima non poté però impedire che nel 1500 Meldola venisse ceduta per denaro dall’indebitato Pandolfo IV, con Sarsina e la stessa Rimini, a Cesare Borgia, il figlio di papa Alessandro che stava creando un proprio dominio personale in Romagna.
Esaurito il progetto del Valentino con la morte del suo protettore, nel 1503 Pandolfo cedette di nuovo i suoi possedimenti: questa volta però, in evidente conflitto con gli interessi della Chiesa, proprio ai Veneziani. Pochi anni dopo, la sconfitta di Agnadello costringeva la Serenissima a restituire al papa i territori romagnoli occupati; quel breve periodo fu però sufficiente a realizzare a Meldola il restauro della rocca e della porta borghigiana di sant'Andrea e la ricostruzione del ponte sul Bidente - detto da allora dei Veneziani – forse con elementi dell’antico acquedotto romano.

Una nuova capitale, un palazzo per i Pio
Riaffermati i suoi diritti, il nuovo papa Giulio II inglobò i domini romagnoli nello Stato della Chiesa, cancellando il sistema dei vicariati signorili e assegnando singoli feudi a famiglie di provata fedeltà. Nel 1518 il feudo di Meldola e Sarsina venne così conferito da Leone X a Alberto III Pio, il signore di Carpi che era divenuto ambasciatore di Massimiliano d’Asburgo presso la Curia romana, imparentandosi con lo stesso papa. Lo scontro tra Francia e Impero coinvolse anche Meldola, che nel 1527 vide distrutte le sue difese dai Lanzichenecchi diretti a Roma, e divenne oggetto di un fallito scambio tra il papa e Pandolfo Malatesta che aveva tentato allora di recuperare la sua signoria.
Nel 1531 il feudo passò a Leonello Pio, fratello di Alberto, che era stato nel frattempo destituito dalla signoria carpigiana dal nuovo imperatore Carlo V con l’accusa di tradimento. Presidente della Provincia di Romagna e governatore di Bertinoro, Leonello – che non rinunciò mai a rivendicare Carpi - unì ai diritti su Meldola e Sarsina avuti dal fratello quelli su Verucchio e Scorticata (oggi Torriana) pervenutigli tramite la seconda moglie Ippolita Comneno.
La rocca divenne così una dimora principesca, adeguata al rango di piccola capitale acquisito da Meldola. Le strutture difensive vennero integrate da una nuova, imponente costruzione destinata a residenza, affacciata sulla pianura e sulle colline di Bertinoro. L’edificio, che occupava quasi tutto il recinto tra il maschio e il bastione est, comprendeva una corte aperta a sud-est, percorsa ai piani da ampie logge sulle quali affacciavano i vari ambienti e due scaloni contrapposti che scorrevano dalla torre di accesso agli ampi spazi interrati sotto il terrapieno alla base dell’edificio. Altri edifici residenziali occupavano i camminamenti di ronda a nord, mentre l’ultimo recinto difensivo accessibile dal mastio venne rafforzato da altre costruzioni poste a protezione delle artiglierie.
Il figlio di Leonello, Alberto, proseguì i lavori di ampliamento e decorazione del palazzo, in particolare nell’area affacciata a strapiombo sullo scalone e sul borgo. Anche quest’ultimo fu oggetto di notevoli interventi come l’edificazione della chiesa di San Rocco e il restauro dell’acquedotto portato ad alimentare la fontana cittadina; il casato si distinse anche nel sostegno alle strutture assistenziali, l’ospedale e il monte di pietà, e nella fondazione dell’Accademia degli Imperfetti a opera di un figlio cardinale di Leonello.

Aldobrandini e Panphili
La signoria dei Pio ebbe vita breve: già alla fine del Cinquecento il nipote di Leonello fu costretto dai debiti a vendere Meldola e Sarsina con Ranchio e Polenta ai principi Aldobrandini, nipoti di papa Clemente VIII, mentre Verucchio e Scorticata erano già tornate alla Chiesa con un cavillo legale. Il favore papale contribuì allo sviluppo della città grazie al sostegno ai commerci e all’impianto di una fiorente industria della seta, attiva fino a metà Novecento. Anche la signoria Aldobrandini lasciò a Meldola segni tangibili: la cinquecentesca chiesa della Madonna del Sasso venne ampliata e trasformata nell'oratorio esterno della rocca, mentre al posto delle mura meridionali del borgo fu realizzato uno splendido doppio loggiato aperto sulla piazza, decorato con gli elementi araldici del casato.
A metà Seicento il feudo passò a Camillo Panphili, nipote di un altro papa, Innocenzo X, e marito dell’ultima Aldobrandini; ai Panphili si devono la ristrutturazione della rocca dopo il terremoto del 1661 e l’edificazione del campanile e del nuovo palazzo comunale nel borgo. L’aspra contesa legale seguita all’estinzione del casato si concluse nel 1769 con l’assegnazione congiunta dei diritti sul feudo agli eredi Borghese Aldobrandini e Doria Panphili Landi.

Dal declino al recupero
Il regime napoleonico cancellò anche a Meldola il regime feudale, mentre la rocca, utilizzata come alloggio per le truppe, veniva spogliata di arredi e strutture. Restituito ai proprietari dopo la Restaurazione, e rimasto dopo il 1834 ai soli Doria Pamphilj, l’edificio venne abbandonato al degrado. Il terribile terremoto del 1870, che colpì con violenza la valle del Bidente, danneggiò gravemente gli edifici del palazzo di Leonello nell’ala nord-est del cortile che dovettero essere demoliti, fornendo materiale per riempire i fossati e coprire le fondamenta di quel lato dell’edificio; rimase invece in piedi l’ala realizzata da Alberto.
Nel 1922 la rocca fu venduta al parroco di San Cosimo, don Casadei, al quale nel 1951 subentrò nella proprietà - uscita ulteriormente danneggiata dagli eventi bellici - il nipote don Giuseppe Simoncelli.
Nel 1995 l’edificio venne acquisito con il contributo della Regione dal comune di Meldola, che avviò un ampio piano di restauro e recupero, tuttora in corso a causa dello stato di conservazione dell’immobile, assai danneggiato nella sezione del bastione principale. Una indagine pluriennale - avviata dall’Università di Bologna nel quadro del progetto di catalogazione dei castelli emiliano-romagnoli promosso con l’Istituto Beni Culturali regionale - ha messo in luce le diverse fasi edilizie del complesso sulla base dei materiali utilizzati. L’edificio viene oggi aperto al pubblico in occasioni particolari.

VISITA Una serie di ripide stradine conduce dalla piazza centrale di Meldola, circondata da nobili palazzi e dallo splendido loggiato Aldobrandini, all’imponente rocca impiantata sul ‘sasso’ calcareo di origine marina che domina il borgo. Una scalinata esterna in sasso (attualmente non percorribile) porta all’edificio, protetto da alte mura a scarpa e circondato da una serie di corti esterne, su livelli differenti, che consentono la vista sugli ampi panorami sottostanti. Impiantata su un terrapieno murato aperto sulla valle e chiuso da una torre, una delle corti ospita una serie di alti cipressi. Negli spazi interni si susseguono corti e vasti edifici. Di norma visitabile solo all'esterno, la struttura viene parzialmente aperta al pubblico in occasione di manifestazioni ed eventi particolari; la corte dei cipressi può ospitare le celebrazione di matrimoni.



Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione, propri e di terze parti.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookie.