Forlimpopoli

Rocca Albornoziana o Ordelaffa
Forlimpopoli

Rocca Albornoziana
piazza Fratti, 2 
Forlimpopoli (FC)
tel 3371180314 (UIT)
Forlimpopoli sorge lungo la via Emilia tra Forlì e Cesena, a metà strada tra Ravenna e le valli appenniniche che conducono in Toscana.

Dal dominio di Ravenna all’età comunale
Dal V secolo sede episcopale sottomessa poi a quella ravennate, rasa al suolo dai Longobardi, nel secolo VIII Forlimpopoli fu donata al papa dai re franchi con la ‘romanìola’ ex bizantina, e confermata a fine millennio dall’Imperatore al vescovo di Ravenna. Venne approntata probabilmente allora la prima struttura difensiva dell'insediamento, una cinta protetta da un fossato e dotata di accessi verso Forlì, Cesena e Ravenna.
Il risveglio economico della città in età comunale fu favorito dalla centralità assunta nelle comunicazioni tra nord e centro Italia dalla vicina valle del Bidente, la più agevole fra le articolazioni appenniniche della via Romea Germanica, raggiungibile anche da Forlimpopoli oltre che da Forlì attraverso lo snodo di Meldola.
La congiuntura favorevole si tradusse dal XII secolo in un deciso ampliamento dell'insediamento: verso est, con lo spostamento del letto dell'Ausa, l’edificazione della ‘città nova’ e della cattedrale di santa Maria Popiliense, il rafforzamento della cinta urbana; e verso nord fino a inglobare nello spazio cittadino l’abbazia di san Rufillo, sorta sul sepolcro extra muros del protovescovo e patrono cittadino, e il suo potente monastero benedettino che dal X secolo aveva promosso la bonifica del territorio devastato dalle alluvioni.

Dagli Ordelaffi alla rappresaglia contro Forlimpopoli: la Rocca albornoziana
Nella prima metà del Trecento Forlimpopoli, entrata alla fine del secolo precedente nell’orbita di Forlì, fu coinvolta nell’aspra ribellione guidata dai signori della città, i ghibellini Ordelaffi, contro il debole papato avignonese. Solo la spietata ‘crociata’ del cardinale Albornoz poté restaurare in Romagna l’autorità della Chiesa; ultimo centro della resistenza ordelaffa dopo la resa di Cesena e Forlì, Forlimpopoli venne conquistata nel 1359.
Un anno più tardi Forlimpopoli subiva la durissima rappresaglia dell’Albornoz, che seguendo una prassi sperimentata nelle Marche la spogliò della qualifica e delle funzioni di città, legate alla sua condizione di sede vescovile: la sede fu trasferita a Bertinoro e le spoglie di san Rufillo traslate a Forlì, mentre i monaci abbandonavano il monastero a lui dedicato.
Cattedrale e vescovado furono rasi al suolo con le case attigue e le mura cittadine - fornendo i materiali per il bolognese Collegio di Spagna – e sui loro resti venne eretta un’imponente rocca, detta Salvaterra a sottolinearne la missione di controllo del territorio e repressiva di future rivolte. L’edificio rispondeva ai canoni delle consolidate tecniche belliche basate su difesa piombante e tiri ficcanti: circondato da un fossato alimentato dalle acque dell’Ausa, il recinto comprendeva un mastio centrale, alte torri angolari e bastioni, oltre all’ala residenziale riservata al castellano.
Nel giro di due decenni, giunti a patti con la Chiesa dopo un ultimo tentativo di rivolta, gli Ordelaffi rientrarono gradualmente, legittimati dal vicariato papale, nei loro ristretti possedimenti forlivesi. A Forlimpopoli il papa autorizzò così l’ampliamento urbano e il ripristino della cinta difensiva, che rimase tuttavia limitata, dato il perdurante divieto di costruire in muratura, a una semplice palizzata in legno circondata da un fossato.

Il Quattrocento e la magnificenza della signoria: la Rocca oderlaffa
Gli Ordelaffi avrebbero dominato il Forlivese per quasi tutto il Quattrocento, in un contesto reso instabile dalle rivolte interne e dalle rinnovate mire di Milano, Ferrara, Venezia e Firenze sulla Romagna. Più volte assediata e conquistata, la rocca forlimpopolese venne sempre recuperata, evidenziando però i suoi limiti strutturali a fronte delle nuove tecniche militari imperniate sull’artiglieria pesante.
Gli Ordelaffi promossero pertanto - in particolare con Pino III, dal 1471 al 1480 – importanti lavori di rinnovamento delle strutture difensive, qui come a Forlì e in altri centri strategici della signoria. Per potenziare gli apparati esterni in chiave di difesa radente, la cerchia delle mura fu rafforzata e parzialmente rifatta in muratura, mentre la rocca albornoziana venne radicalmente trasformata: le cortine murarie furono inspessite e in alcuni tratti avanzate e munite di scarpa, le torri angolari capitozzate e irrobustite con incamiciature cilindriche, i bastioni attrezzati a ospitare cannoniere.
Particolarmente curate furono anche le funzioni residenziali dell’edificio, con l’ampliamento e la decorazione delle sale al piano nobile e degli ambienti di servizio. L’architettura militare divenne la punta di diamante della magnificenza della dinastia, che anche a Forlimpopoli promosse importanti opere artistiche, come nella chiesa di san Ruffillo a partire dal 1460.
Gli ultimi turbolenti decenni del secolo videro il Forlivese passare a Girolamo Riario, nipote di Sisto IV e già vicario di Imola, poi alla sua vedova e reggente Caterina Sforza, e dal 1499 a Cesare Borgia, figlio di Alessandro VI. Caduto il Valentino, nel 1503 gli Ordelaffi tornarono al potere; ma già l’anno successivo il casato si estingueva, restituendo il Forlivese alla piena disponibilità della Chiesa.

Ritorno a Roma: da corte degli Zampeschi a deposito agricolo
Il nuovo papa Giulio II promosse l'annessione della Romagna nella compagine statale, cancellando il sistema dei vicariati signorili, mentre singoli feudi venivano dati a famiglie di provata fedeltà.
La rocca di Forlimpopoli venne così assegnata agli Zampeschi, stirpe di condottieri dotata di vasti possedimenti qui come in altre zone della Romagna, che negli anni Trenta ottenne il vicariato perpetuo di Forlimpopoli, cedendo in cambio Santarcangelo. La rocca divenne sede di una corte principesca, la cui magnificenza echeggia nelle opere d’arte e nei monumenti funebri in pietra d’Istria con cui il casato volle ornare san Rufillo.
Estinta la dinastia alla fine degli anni Settanta con Brunoro II, governo e rendite di Forlimpopoli vennero gestiti dalla vedova Battistina Savelli, che nel 1590 lasciò il patrimonio in eredità a un nipote, il principe Paolo Savelli. Ottenuto dal papa il diritto in enfiteusi a risiedere nella fortezza, nel 1621 egli cedette beni e diritti all’arcivescovo di Ravenna, membro dell’illustre famiglia fiorentina Capponi. Signori di fatto del paese per un secolo e mezzo, i Capponi utilizzarono la rocca come magazzino per il deposito e lo smercio dei prodotti delle loro terre, mentre i fossati – ormai interrati per mancanza di manutenzione - furono trasformati in aree coltivabili.
L’abbandono consentì però, per paradosso, di conservare inalterato l’aspetto della rocca, che subì le prime modifiche significative solo alla fine del Settecento, nel quadro degli interventi realizzati dalla Comunità nel contiguo spazio all’aperto, destinato ai commerci cittadini. Furono allora eliminati i ponti levatoi e intere parti del fossato, e le mura cittadine ampliate fino a inglobare nel loro perimetro, dotato di nuovi accessi, l’edificio; a fine secolo venne avviata anche la distruzione del mastio, protrattasi poi per vari decenni.

L'Ottocento: la rocca, municipio e teatro
Con l’arrivo dei Francesi i Capponi persero i loro diritti sulla rocca, data in uso e poi acquistata dall’amministrazione comunale, che nel 1801 ne fece la sede del municipio e nel 1830 anche del teatro, collocato nel piano nobile dell'edificio. Numerosi furono così gli interventi volti a adeguare la rocca alle sue nuove funzioni, con distruzioni e superfetazioni degli spazi interni.
Dopo l’Unità d’Italia il municipio venne spostato in un edificio prospiciente la piazza, e gli ambienti della rocca suddivisi e affittati a privati; solo l'area del teatro fu preservata e sottoposta a nuovi interventi a fine secolo. Spinte modernizzatrici e speculazione urbanistica modificarono definitivamente la città: la stazione ferroviaria - realizzata nel 1861 deviando l’Ausa nel canaletto del Selbagnone, fuori dall’abitato - venne collegata nel 1877-80 al centro cittadino con un rettilineo che comportò l’apertura di un ampio varco nelle mura, mentre le porte cittadine, inutilizzate dopo la fine del regime daziario, furono abbattute ai primi del Novecento.

Il Novecento: distruzioni belliche, recupero, valorizzazione
Alla fine della seconda guerra mondiale le truppe tedesche in ritirata fecero esplodere l'edificio ottocentesco addossato alla rocca, che riemerse isolata, come in origine, dall’abitato; isolamento sottolineato, con qualche forzatura, dagli interventi postbellici conclusi verso il 1950, che ripristinarono anche parte del fossato, poi destinato a giardino pubblico, mentre gli spazi interni – dove ora era anche un cinema - subivano nuove modifiche.
I primi interventi di recupero furono avviati negli anni Sessanta del Novecento, a seguito della scoperta dei resti dell’antica cattedrale romanica, con il ripristino dei locali destinati a ospitare la biblioteca-archivio storico e il museo archeologico, che comprendeva anche la quadreria comunale, collocata tra gli anni Trenta e Cinquanta nell’ala orientale della rocca.
Un più ampio progetto realizzato tra il 1974 e il 1990 ha consentito il trasferimento del municipio nella sua antica sede, la riapertura del teatro, la realizzazione di un centro culturale polivalente. I lavori hanno consentito di approfondire le indagini sulle fasi costruttive della rocca e della antica cattedrale; i resti di quest'ultima sono stati inglobati nel percorso espositivo del museo, integralmente rinnovato nel 2014, che illustra le forme di popolamento e le trasformazioni storiche del territorio.

VISITA
L’edificio a base quadrata presenta ancora, pur modificata dagli interventi sette-ottocenteschi, l’impostazione quattrocentesca con i quattro possenti torrioni angolari e una cinta rinforzata dalla muratura a scarpa; del fossato, un tempo articolato sui quattro lati, sono stati ripristinati i tratti a est e a sud. E’ possibile percorrere lungo l’intero perimetro i camminamenti di ronda.
Nella sala a doppio volume del Consiglio comunale si apre la piccola cappella palatina, cinquecentesca, decorata con affreschi del secolo successivo in parte attribuiti al pittore ravennate Francesco Longhi. Nella stessa sala è esposto uno stemma secentesco in pietra della città e il fondale del Teatro comunale raffigurante la distruzione di Forlimpopoli e l’entrata del cardinale d’Albornoz nella città vinta, realizzato nella seconda metà dell’Ottocento dal pittore forlimpopolese Paolo Bacchetti.
Dal cortile interno si accede al teatro 'Giuseppe Verdi' e al museo archeologico.



Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Bidente e Ronco,
via Emilia
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Ordelaffi,
Zampeschi
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

Albornoz: la reconquista della Romagna
Bibliografia
piazza Fratti, 2 
Forlimpopoli (FC)
tel 3371180314 (UIT)
Forlimpopoli sorge lungo la via Emilia tra Forlì e Cesena, a metà strada tra Ravenna e le valli appenniniche che conducono in Toscana.

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Dal dominio di Ravenna all’età comunale
Dal V secolo sede episcopale sottomessa poi a quella ravennate, rasa al suolo dai Longobardi, nel secolo VIII Forlimpopoli fu donata al papa dai re franchi con la ‘romanìola’ ex bizantina, e confermata a fine millennio dall’Imperatore al vescovo di Ravenna. Venne approntata probabilmente allora la prima struttura difensiva dell'insediamento, una cinta protetta da un fossato e dotata di accessi verso Forlì, Cesena e Ravenna.
Il risveglio economico della città in età comunale fu favorito dalla centralità assunta nelle comunicazioni tra nord e centro Italia dalla vicina valle del Bidente, la più agevole fra le articolazioni appenniniche della via Romea Germanica, raggiungibile anche da Forlimpopoli oltre che da Forlì attraverso lo snodo di Meldola.
La congiuntura favorevole si tradusse dal XII secolo in un deciso ampliamento dell'insediamento: verso est, con lo spostamento del letto dell'Ausa, l’edificazione della ‘città nova’ e della cattedrale di santa Maria Popiliense, il rafforzamento della cinta urbana; e verso nord fino a inglobare nello spazio cittadino l’abbazia di san Rufillo, sorta sul sepolcro extra muros del protovescovo e patrono cittadino, e il suo potente monastero benedettino che dal X secolo aveva promosso la bonifica del territorio devastato dalle alluvioni.

Dagli Ordelaffi alla rappresaglia contro Forlimpopoli: la Rocca albornoziana
Nella prima metà del Trecento Forlimpopoli, entrata alla fine del secolo precedente nell’orbita di Forlì, fu coinvolta nell’aspra ribellione guidata dai signori della città, i ghibellini Ordelaffi, contro il debole papato avignonese. Solo la spietata ‘crociata’ del cardinale Albornoz poté restaurare in Romagna l’autorità della Chiesa; ultimo centro della resistenza ordelaffa dopo la resa di Cesena e Forlì, Forlimpopoli venne conquistata nel 1359.
Un anno più tardi Forlimpopoli subiva la durissima rappresaglia dell’Albornoz, che seguendo una prassi sperimentata nelle Marche la spogliò della qualifica e delle funzioni di città, legate alla sua condizione di sede vescovile: la sede fu trasferita a Bertinoro e le spoglie di san Rufillo traslate a Forlì, mentre i monaci abbandonavano il monastero a lui dedicato.
Cattedrale e vescovado furono rasi al suolo con le case attigue e le mura cittadine - fornendo i materiali per il bolognese Collegio di Spagna – e sui loro resti venne eretta un’imponente rocca, detta Salvaterra a sottolinearne la missione di controllo del territorio e repressiva di future rivolte. L’edificio rispondeva ai canoni delle consolidate tecniche belliche basate su difesa piombante e tiri ficcanti: circondato da un fossato alimentato dalle acque dell’Ausa, il recinto comprendeva un mastio centrale, alte torri angolari e bastioni, oltre all’ala residenziale riservata al castellano.
Nel giro di due decenni, giunti a patti con la Chiesa dopo un ultimo tentativo di rivolta, gli Ordelaffi rientrarono gradualmente, legittimati dal vicariato papale, nei loro ristretti possedimenti forlivesi. A Forlimpopoli il papa autorizzò così l’ampliamento urbano e il ripristino della cinta difensiva, che rimase tuttavia limitata, dato il perdurante divieto di costruire in muratura, a una semplice palizzata in legno circondata da un fossato.

Il Quattrocento e la magnificenza della signoria: la Rocca oderlaffa
Gli Ordelaffi avrebbero dominato il Forlivese per quasi tutto il Quattrocento, in un contesto reso instabile dalle rivolte interne e dalle rinnovate mire di Milano, Ferrara, Venezia e Firenze sulla Romagna. Più volte assediata e conquistata, la rocca forlimpopolese venne sempre recuperata, evidenziando però i suoi limiti strutturali a fronte delle nuove tecniche militari imperniate sull’artiglieria pesante.
Gli Ordelaffi promossero pertanto - in particolare con Pino III, dal 1471 al 1480 – importanti lavori di rinnovamento delle strutture difensive, qui come a Forlì e in altri centri strategici della signoria. Per potenziare gli apparati esterni in chiave di difesa radente, la cerchia delle mura fu rafforzata e parzialmente rifatta in muratura, mentre la rocca albornoziana venne radicalmente trasformata: le cortine murarie furono inspessite e in alcuni tratti avanzate e munite di scarpa, le torri angolari capitozzate e irrobustite con incamiciature cilindriche, i bastioni attrezzati a ospitare cannoniere.
Particolarmente curate furono anche le funzioni residenziali dell’edificio, con l’ampliamento e la decorazione delle sale al piano nobile e degli ambienti di servizio. L’architettura militare divenne la punta di diamante della magnificenza della dinastia, che anche a Forlimpopoli promosse importanti opere artistiche, come nella chiesa di san Ruffillo a partire dal 1460.
Gli ultimi turbolenti decenni del secolo videro il Forlivese passare a Girolamo Riario, nipote di Sisto IV e già vicario di Imola, poi alla sua vedova e reggente Caterina Sforza, e dal 1499 a Cesare Borgia, figlio di Alessandro VI. Caduto il Valentino, nel 1503 gli Ordelaffi tornarono al potere; ma già l’anno successivo il casato si estingueva, restituendo il Forlivese alla piena disponibilità della Chiesa.

Ritorno a Roma: da corte degli Zampeschi a deposito agricolo
Il nuovo papa Giulio II promosse l'annessione della Romagna nella compagine statale, cancellando il sistema dei vicariati signorili, mentre singoli feudi venivano dati a famiglie di provata fedeltà.
La rocca di Forlimpopoli venne così assegnata agli Zampeschi, stirpe di condottieri dotata di vasti possedimenti qui come in altre zone della Romagna, che negli anni Trenta ottenne il vicariato perpetuo di Forlimpopoli, cedendo in cambio Santarcangelo. La rocca divenne sede di una corte principesca, la cui magnificenza echeggia nelle opere d’arte e nei monumenti funebri in pietra d’Istria con cui il casato volle ornare san Rufillo.
Estinta la dinastia alla fine degli anni Settanta con Brunoro II, governo e rendite di Forlimpopoli vennero gestiti dalla vedova Battistina Savelli, che nel 1590 lasciò il patrimonio in eredità a un nipote, il principe Paolo Savelli. Ottenuto dal papa il diritto in enfiteusi a risiedere nella fortezza, nel 1621 egli cedette beni e diritti all’arcivescovo di Ravenna, membro dell’illustre famiglia fiorentina Capponi. Signori di fatto del paese per un secolo e mezzo, i Capponi utilizzarono la rocca come magazzino per il deposito e lo smercio dei prodotti delle loro terre, mentre i fossati – ormai interrati per mancanza di manutenzione - furono trasformati in aree coltivabili.
L’abbandono consentì però, per paradosso, di conservare inalterato l’aspetto della rocca, che subì le prime modifiche significative solo alla fine del Settecento, nel quadro degli interventi realizzati dalla Comunità nel contiguo spazio all’aperto, destinato ai commerci cittadini. Furono allora eliminati i ponti levatoi e intere parti del fossato, e le mura cittadine ampliate fino a inglobare nel loro perimetro, dotato di nuovi accessi, l’edificio; a fine secolo venne avviata anche la distruzione del mastio, protrattasi poi per vari decenni.

L'Ottocento: la rocca, municipio e teatro
Con l’arrivo dei Francesi i Capponi persero i loro diritti sulla rocca, data in uso e poi acquistata dall’amministrazione comunale, che nel 1801 ne fece la sede del municipio e nel 1830 anche del teatro, collocato nel piano nobile dell'edificio. Numerosi furono così gli interventi volti a adeguare la rocca alle sue nuove funzioni, con distruzioni e superfetazioni degli spazi interni.
Dopo l’Unità d’Italia il municipio venne spostato in un edificio prospiciente la piazza, e gli ambienti della rocca suddivisi e affittati a privati; solo l'area del teatro fu preservata e sottoposta a nuovi interventi a fine secolo. Spinte modernizzatrici e speculazione urbanistica modificarono definitivamente la città: la stazione ferroviaria - realizzata nel 1861 deviando l’Ausa nel canaletto del Selbagnone, fuori dall’abitato - venne collegata nel 1877-80 al centro cittadino con un rettilineo che comportò l’apertura di un ampio varco nelle mura, mentre le porte cittadine, inutilizzate dopo la fine del regime daziario, furono abbattute ai primi del Novecento.

Il Novecento: distruzioni belliche, recupero, valorizzazione
Alla fine della seconda guerra mondiale le truppe tedesche in ritirata fecero esplodere l'edificio ottocentesco addossato alla rocca, che riemerse isolata, come in origine, dall’abitato; isolamento sottolineato, con qualche forzatura, dagli interventi postbellici conclusi verso il 1950, che ripristinarono anche parte del fossato, poi destinato a giardino pubblico, mentre gli spazi interni – dove ora era anche un cinema - subivano nuove modifiche.
I primi interventi di recupero furono avviati negli anni Sessanta del Novecento, a seguito della scoperta dei resti dell’antica cattedrale romanica, con il ripristino dei locali destinati a ospitare la biblioteca-archivio storico e il museo archeologico, che comprendeva anche la quadreria comunale, collocata tra gli anni Trenta e Cinquanta nell’ala orientale della rocca.
Un più ampio progetto realizzato tra il 1974 e il 1990 ha consentito il trasferimento del municipio nella sua antica sede, la riapertura del teatro, la realizzazione di un centro culturale polivalente. I lavori hanno consentito di approfondire le indagini sulle fasi costruttive della rocca e della antica cattedrale; i resti di quest'ultima sono stati inglobati nel percorso espositivo del museo, integralmente rinnovato nel 2014, che illustra le forme di popolamento e le trasformazioni storiche del territorio.

VISITA
L’edificio a base quadrata presenta ancora, pur modificata dagli interventi sette-ottocenteschi, l’impostazione quattrocentesca con i quattro possenti torrioni angolari e una cinta rinforzata dalla muratura a scarpa; del fossato, un tempo articolato sui quattro lati, sono stati ripristinati i tratti a est e a sud. E’ possibile percorrere lungo l’intero perimetro i camminamenti di ronda.
Nella sala a doppio volume del Consiglio comunale si apre la piccola cappella palatina, cinquecentesca, decorata con affreschi del secolo successivo in parte attribuiti al pittore ravennate Francesco Longhi. Nella stessa sala è esposto uno stemma secentesco in pietra della città e il fondale del Teatro comunale raffigurante la distruzione di Forlimpopoli e l’entrata del cardinale d’Albornoz nella città vinta, realizzato nella seconda metà dell’Ottocento dal pittore forlimpopolese Paolo Bacchetti.
Dal cortile interno si accede al teatro 'Giuseppe Verdi' e al museo archeologico.



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