Forlì

Rocca Sforzesca o di Ravaldino
Forlì

Rocca di Ravaldino, Archivio IBC,
Rocca di Ravaldino, Archivio IBC,
Rocca di Ravaldino, Archivio IBC,
Rocca di Ravaldino, Archivio IBC,
Rocca di Ravaldino, Archivio IBC,
Rocca di Ravaldino, Archivio IBC
via Giovanni dalle Bande Nere, 1
Forlì (FC)
tel + 0039 0543 712627
Lungo la via Emilia tra Faenza e Cesena, Forlì è posta a metà strada tra Ravenna e le valli appenniniche che portano in Toscana; il Montone-Rabbi e il Bidente-Ronco, giunti da monte, contornano l'abitato a ovest e a est dirigendosi poi verso la pianura.

In un’area di antico insediamento, la romana Forum Livii sorse all’incrocio tra la via Emilia e le direttrici appenniniche, e a poca distanza dalla costiera Popilia. Sede episcopale forse dal IV secolo, poi sottomessa a Ravenna, nel secolo VIII la città fu donata con la ‘romanìola’ ex-bizantina al papa dai re franchi, e confermata dall’impero alla diocesi ravennate in età ottoniana. Un insediamento fortificato di cui non restano tracce è qui citato dal tardo X secolo e in quello seguente, quando venne distrutto a più riprese dai Ravennati.

Sviluppo economico, insediamento e fortificazioni in età comunale
In età comunale Forlì assunse primaria importanza anche grazie al ruolo chiave assunto nel sistema di comunicazione peninsulare: da qui partivano infatti tre importanti articolazioni appenniniche - lungo le valli del Bidente, la 'melior via' per Roma, del Montone e del Rabbi - della via Romea Germanica proveniente dal Brennero.
La spinta espansionistica della città innescò fra XII e XIII secolo accesi conflitti con Ravenna, Bologna e Faenza per il controllo del territorio, e in particolare delle strategiche saline di Cervia, ambite anche dall’emergente potenza veneziana.
Successivi ampliamenti della cinta muraria accompagnarono la notevole crescita dell’insediamento, che incorporò aree selvagge e paludose grazie al riassetto del sistema idrico; una derivazione del Montone immesse nell'abitato il canale di Ravaldino, ad alimentare le manifatture cittadine. Il sistema difensivo rimase però a lungo circoscritto a semplici fossati, terrapieni di fango e palizzate in legno con rare integrazioni in mattoni, anche se la presenza di un castello viene citata ancora per tutto il Duecento.

Dalla rivolta ordelaffa alla normalizzazione di Albornoz: la rocca di Ravaldino
Teatro di aspri scontri tra fazioni guelfe e ghibelline, Forlì fornì a più riprese un appoggio decisivo alla causa imperiale e alle rivolte autonomistiche dei signori locali, scoppiate anche dopo il riconoscimento imperiale, nel 1278, dei diritti del papa sulla Romagna.
A fine secolo le lotte interne videro prevalere i ghibellini Ordelaffi che, ottenuto il vicariato papale, tra gli anni Trenta e Cinquanta del Trecento guidarono la ribellione di diversi casati romagnoli contro la debole Chiesa avignonese, riuscendo a impadronirsi - oltre a Forlimpopoli, da tempo nell'orbita forlivese- di Cesena, Bertinoro, Meldola, Castrocaro e di alcuni castelli appenninici dei nemici Calboli. Solo nel 1359 la spietata ‘crociata’ lanciata dal cardinale Albornoz contro i Forlivesi poté recuperare alla Chiesa, con il sostegno dei Calboli e dei Malatesta, i centri occupati, conquistando infine la stessa Forlì con Forlimpopoli.
Scelta come sede del nuovo governo vicelegatizio a evidenziare la compiuta ‘normalizzazione’, Forlì vide un deciso rafforzamento del suo apparato difensivo, con funzioni anche di controllo interno, insieme alla realizzazione di opere civili e monumentali, a differenza del trattamento lacerante riservato a Forlimpopoli.
Una nuova rocca venne edificata su un piccolo rivellino posto all’imbocco in città del canale di Ravaldino, presso la porta sud orientata verso l'omonima località collinare oggi detta ‘in Monte’, un tempo presidiata da un castrum dei conti di Castrocaro. La costruzione fu rapida: la nuova rocca di Ravaldino è citata già nel 1371 – insieme a quella di San Pietro a ridosso della porta a nord - nella 'descriptio Romandiolae', il censimento delle strutture militari e civili di Romagna voluto dal legato Anglico. A completare le difese forlivesi, a inizio Quattrocento si sarebbe aggiunta la rocca di Schiavonia presso la porta est, andata però quasi subito distrutta.

Il ritorno degli Ordelaffi: la ristrutturazione delle difese urbane
Meno di vent’anni dopo la loro cacciata, scesi a patti con la Chiesa, gli Ordelaffi poterono gradualmente reinsediarsi a Forlì e nel suo territorio, mentre Cesena e Meldola passavano ai Malatesta e Firenze acquisiva i territori dei Calboli, e in seguito Castrocaro. Suggellato dal vicariato papale, il loro dominio sarebbe durato per tutto il Quattrocento, spesso interrotto da rivolte interne e dai ripetuti tentativi di conquista di Milano, Ferrara, Venezia da nord, e di Firenze da sud.
L’esigenza di una revisione delle inadeguate difese cittadine, e in particolare della rocca di Ravaldino, era emersa già dopo l’assalto vittorioso di Filippo Maria Visconti nei primi anni Venti del secolo; attorno al 1438 Antonio Ordelaffi avviò così un programma di interventi tesi a completare e rafforzare la cinta difensiva, ancora per lo più di legno e fango, integrandola in un circuito continuo in muratura dotato di nuove torri.
I lavori sarebbero proseguiti per tutto il secolo, punta di diamante di un eclatante rinnovamento urbanistico, architettonico e artistico. Tra il 1450 e il 1480, fase di massimo splendore della signoria, Cecco IV e Pino III promossero importanti adeguamenti delle fortificazioni alle nuove tecniche belliche nei centri strategici della signoria, da Forlì a Forlimpopoli a Predappio. Nel 1472, quando ancora il circuito delle mura non era completato, fu avviata la realizzazione della cittadella che doveva affiancare la rocca, affidata al mastro muratore Giorgio Marchesi Fiorentino.

La Ravaldino dei Riario-Sforza
Alla morte nel 1480 di Pino III Ordelaffi il vicariato forlivese passò al nipote di Sisto IV Girolamo Riario, già signore di Imola, e dopo la sua morte violenta nel 1488 – orchestrata dal potente casato cittadino degli Orsi - alla vedova e reggente Caterina Sforza. I Riario-Sforza ripresero il cantiere di Ravaldino confermando l’incarico al Marchesi, autore anche dei loro interventi sulle fortezze dell'Imolese. I lavori vennero realizzati a tappe, con l’ampliamento della cittadella, poi con i rivellini di Cotogni e di Cesena, per finire nel 1496 con l’edificazione di un terzo rivellino e dell’area residenziale del Paradiso. Ne risultò una struttura complessa, composta di corpi separati circondati da un complicato sistema di ponti levatoi e fossati alimentati dal canale Ravaldino, e considerata per questo inviolabile - o secondo altri osservatori come Niccolò Machiavelli, e per gli stessi motivi, estremamente vulnerabile.
Legatasi ai Medici in seconde nozze, la Sforza portò a termine nel 1499 anche la cinta muraria della città, completata in tutta fretta sul lato nord e circondata da un fossato anch’esso alimentato dal canale Ravardino, in vista dell'imminente attacco di Cesare Borgia, il figlio di papa Alessandro che stava conquistando a tappe forzate tutta la Romagna. Presa anche Forlì nonostante la strenua resistenza della Sforza asserragliata a Ravaldino, Borgia restaurò la rocca gravemente danneggiata nell’assalto, ponendo sulle mura il proprio grande stemma in pietra.

La pace del papa: una nuova funzione per Ravaldino
Caduto il Valentino, nel 1503 gli Ordelaffi rientrarono a Forlì; ma solo un anno dopo la casata si estingueva, restituendo il Forlivese allo Stato della Chiesa. Il nuovo papa Giulio II inglobò i domini romagnoli nella compagine statale, istituendovi un governo legatizio residente a Ravenna e dipendente da Roma che cancellava per sempre il sistema di controllo indiretto basato sui vicariati signorili e le autonomie dei singoli centri.
Nella seconda metà del Cinquecento, esaurite le lotte fazionarie rilanciate dallo scontro tra Spagna e Francia, la maggiore stabilità dell’area e lo spostamento del baricentro delle lotte tra i grandi attori politici spogliarono progressivamente delle loro funzioni militari gli apparati difensivi delle città romagnole, resi obsoleti anche dallo sviluppo delle tecniche belliche. Come accadde in tanti casi, anche la rocca di Ravaldino venne adibita a carcere, e tale sarebbe restata per tutti i secoli del governo pontificio, e oltre.

Dall’Ottocento ai progetti di valorizzazione
Nel corso dell’Ottocento, specie dopo l’Unità d’Italia, Forlì si affermò come importante centro agricolo e commerciale, legato alla nascente industrializzazione e alle grandi bonifiche, e forte di due importanti porti adriatici, Cesenatico e Rimini. Anche qui la fine del regime daziario e le spinte modernizzatrici e speculative in campo urbanistico portarono all’abbattimento delle porte cittadine e, nel 1904, delle mura. Solo la rocca di Ravaldino, che aveva mantenuto la propria funzione carceraria, si salvò dalla distruzione; ma il suo declino fu accentuato dal suo isolamento dal tessuto urbano, solo in tempi recenti compensato dalla nascita di un importante quartiere universitario nel vicino comparto ex ospedaliero.
In attesa dello spostamento del carcere e dei lavori che consentiranno di avviarne la piena valorizzazione, l’edificio - sottoposto a importanti lavori di restauro negli anni Sessanta del Novecento - è oggi solo parzialmente visitabile. Oltre alla rocca, dell’antico sistema difensivo forlivese rimangono pochi elementi: insieme a scarsi tratti delle mura, il cui tracciato è quasi tutto ricalcato dalla attuale circonvallazione, è presente la porta di Schiavonia che affiancava la rocca dallo stesso nome distrutta a inizio Quattrocento.

VISITA
Situata lungo la porzione meridionale dei viali di circonvallazione, l’imponente rocca a pianta quadrangolare è caratterizzata da quattro bassi torrioni cilindrici che collegano le cortine murarie; sul fronte meridionale spicca il grande stemma dei Borgia con un toro rosso in campo giallo e verde.
Al centro del lato orientale si trova il potente mastio a base quadrata, che all’interno presenta tre ambienti sovrapposti: nella sala superiore si apre la bocca di un pozzo che si spinge ai piani inferiori fino al cortile, mentre da un ulteriore piano sotterraneo, adibito a magazzino, era possibile accedere al sotterraneo del palazzo residenziale. Unico accesso al mastio era una scala a chiocciola (oggi non accessibile) in pietra, priva di perno centrale e formata da una settantina di scalini sovrapposti che si sostengono l’un l’altro collegando i diversi piani.
Oltre al giardino dal quale è possibile ammirare i resti delle strutture trecentesche e delle mura quattrocentesche, sono accessibili il cortile interno che ospita concerti estivi e le sale espositive in occasione di mostre temporanee.



Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Montone e Rabbi,
valle Bidente e Ronco,
via Emilia
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Ordelaffi,
Riario Sforza
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

Albornoz: la reconquista della Romagna
Bibliografia
via Giovanni dalle Bande Nere, 1
Forlì (FC)
tel + 0039 0543 712627
Lungo la via Emilia tra Faenza e Cesena, Forlì è posta a metà strada tra Ravenna e le valli appenniniche che portano in Toscana; il Montone-Rabbi e il Bidente-Ronco, giunti da monte, contornano l'abitato a ovest e a est dirigendosi poi verso la pianura.

.
In un’area di antico insediamento, la romana Forum Livii sorse all’incrocio tra la via Emilia e le direttrici appenniniche, e a poca distanza dalla costiera Popilia. Sede episcopale forse dal IV secolo, poi sottomessa a Ravenna, nel secolo VIII la città fu donata con la ‘romanìola’ ex-bizantina al papa dai re franchi, e confermata dall’impero alla diocesi ravennate in età ottoniana. Un insediamento fortificato di cui non restano tracce è qui citato dal tardo X secolo e in quello seguente, quando venne distrutto a più riprese dai Ravennati.

Sviluppo economico, insediamento e fortificazioni in età comunale
In età comunale Forlì assunse primaria importanza anche grazie al ruolo chiave assunto nel sistema di comunicazione peninsulare: da qui partivano infatti tre importanti articolazioni appenniniche - lungo le valli del Bidente, la 'melior via' per Roma, del Montone e del Rabbi - della via Romea Germanica proveniente dal Brennero.
La spinta espansionistica della città innescò fra XII e XIII secolo accesi conflitti con Ravenna, Bologna e Faenza per il controllo del territorio, e in particolare delle strategiche saline di Cervia, ambite anche dall’emergente potenza veneziana.
Successivi ampliamenti della cinta muraria accompagnarono la notevole crescita dell’insediamento, che incorporò aree selvagge e paludose grazie al riassetto del sistema idrico; una derivazione del Montone immesse nell'abitato il canale di Ravaldino, ad alimentare le manifatture cittadine. Il sistema difensivo rimase però a lungo circoscritto a semplici fossati, terrapieni di fango e palizzate in legno con rare integrazioni in mattoni, anche se la presenza di un castello viene citata ancora per tutto il Duecento.

Dalla rivolta ordelaffa alla normalizzazione di Albornoz: la rocca di Ravaldino
Teatro di aspri scontri tra fazioni guelfe e ghibelline, Forlì fornì a più riprese un appoggio decisivo alla causa imperiale e alle rivolte autonomistiche dei signori locali, scoppiate anche dopo il riconoscimento imperiale, nel 1278, dei diritti del papa sulla Romagna.
A fine secolo le lotte interne videro prevalere i ghibellini Ordelaffi che, ottenuto il vicariato papale, tra gli anni Trenta e Cinquanta del Trecento guidarono la ribellione di diversi casati romagnoli contro la debole Chiesa avignonese, riuscendo a impadronirsi - oltre a Forlimpopoli, da tempo nell'orbita forlivese- di Cesena, Bertinoro, Meldola, Castrocaro e di alcuni castelli appenninici dei nemici Calboli. Solo nel 1359 la spietata ‘crociata’ lanciata dal cardinale Albornoz contro i Forlivesi poté recuperare alla Chiesa, con il sostegno dei Calboli e dei Malatesta, i centri occupati, conquistando infine la stessa Forlì con Forlimpopoli.
Scelta come sede del nuovo governo vicelegatizio a evidenziare la compiuta ‘normalizzazione’, Forlì vide un deciso rafforzamento del suo apparato difensivo, con funzioni anche di controllo interno, insieme alla realizzazione di opere civili e monumentali, a differenza del trattamento lacerante riservato a Forlimpopoli.
Una nuova rocca venne edificata su un piccolo rivellino posto all’imbocco in città del canale di Ravaldino, presso la porta sud orientata verso l'omonima località collinare oggi detta ‘in Monte’, un tempo presidiata da un castrum dei conti di Castrocaro. La costruzione fu rapida: la nuova rocca di Ravaldino è citata già nel 1371 – insieme a quella di San Pietro a ridosso della porta a nord - nella 'descriptio Romandiolae', il censimento delle strutture militari e civili di Romagna voluto dal legato Anglico. A completare le difese forlivesi, a inizio Quattrocento si sarebbe aggiunta la rocca di Schiavonia presso la porta est, andata però quasi subito distrutta.

Il ritorno degli Ordelaffi: la ristrutturazione delle difese urbane
Meno di vent’anni dopo la loro cacciata, scesi a patti con la Chiesa, gli Ordelaffi poterono gradualmente reinsediarsi a Forlì e nel suo territorio, mentre Cesena e Meldola passavano ai Malatesta e Firenze acquisiva i territori dei Calboli, e in seguito Castrocaro. Suggellato dal vicariato papale, il loro dominio sarebbe durato per tutto il Quattrocento, spesso interrotto da rivolte interne e dai ripetuti tentativi di conquista di Milano, Ferrara, Venezia da nord, e di Firenze da sud.
L’esigenza di una revisione delle inadeguate difese cittadine, e in particolare della rocca di Ravaldino, era emersa già dopo l’assalto vittorioso di Filippo Maria Visconti nei primi anni Venti del secolo; attorno al 1438 Antonio Ordelaffi avviò così un programma di interventi tesi a completare e rafforzare la cinta difensiva, ancora per lo più di legno e fango, integrandola in un circuito continuo in muratura dotato di nuove torri.
I lavori sarebbero proseguiti per tutto il secolo, punta di diamante di un eclatante rinnovamento urbanistico, architettonico e artistico. Tra il 1450 e il 1480, fase di massimo splendore della signoria, Cecco IV e Pino III promossero importanti adeguamenti delle fortificazioni alle nuove tecniche belliche nei centri strategici della signoria, da Forlì a Forlimpopoli a Predappio. Nel 1472, quando ancora il circuito delle mura non era completato, fu avviata la realizzazione della cittadella che doveva affiancare la rocca, affidata al mastro muratore Giorgio Marchesi Fiorentino.

La Ravaldino dei Riario-Sforza
Alla morte nel 1480 di Pino III Ordelaffi il vicariato forlivese passò al nipote di Sisto IV Girolamo Riario, già signore di Imola, e dopo la sua morte violenta nel 1488 – orchestrata dal potente casato cittadino degli Orsi - alla vedova e reggente Caterina Sforza. I Riario-Sforza ripresero il cantiere di Ravaldino confermando l’incarico al Marchesi, autore anche dei loro interventi sulle fortezze dell'Imolese. I lavori vennero realizzati a tappe, con l’ampliamento della cittadella, poi con i rivellini di Cotogni e di Cesena, per finire nel 1496 con l’edificazione di un terzo rivellino e dell’area residenziale del Paradiso. Ne risultò una struttura complessa, composta di corpi separati circondati da un complicato sistema di ponti levatoi e fossati alimentati dal canale Ravaldino, e considerata per questo inviolabile - o secondo altri osservatori come Niccolò Machiavelli, e per gli stessi motivi, estremamente vulnerabile.
Legatasi ai Medici in seconde nozze, la Sforza portò a termine nel 1499 anche la cinta muraria della città, completata in tutta fretta sul lato nord e circondata da un fossato anch’esso alimentato dal canale Ravardino, in vista dell'imminente attacco di Cesare Borgia, il figlio di papa Alessandro che stava conquistando a tappe forzate tutta la Romagna. Presa anche Forlì nonostante la strenua resistenza della Sforza asserragliata a Ravaldino, Borgia restaurò la rocca gravemente danneggiata nell’assalto, ponendo sulle mura il proprio grande stemma in pietra.

La pace del papa: una nuova funzione per Ravaldino
Caduto il Valentino, nel 1503 gli Ordelaffi rientrarono a Forlì; ma solo un anno dopo la casata si estingueva, restituendo il Forlivese allo Stato della Chiesa. Il nuovo papa Giulio II inglobò i domini romagnoli nella compagine statale, istituendovi un governo legatizio residente a Ravenna e dipendente da Roma che cancellava per sempre il sistema di controllo indiretto basato sui vicariati signorili e le autonomie dei singoli centri.
Nella seconda metà del Cinquecento, esaurite le lotte fazionarie rilanciate dallo scontro tra Spagna e Francia, la maggiore stabilità dell’area e lo spostamento del baricentro delle lotte tra i grandi attori politici spogliarono progressivamente delle loro funzioni militari gli apparati difensivi delle città romagnole, resi obsoleti anche dallo sviluppo delle tecniche belliche. Come accadde in tanti casi, anche la rocca di Ravaldino venne adibita a carcere, e tale sarebbe restata per tutti i secoli del governo pontificio, e oltre.

Dall’Ottocento ai progetti di valorizzazione
Nel corso dell’Ottocento, specie dopo l’Unità d’Italia, Forlì si affermò come importante centro agricolo e commerciale, legato alla nascente industrializzazione e alle grandi bonifiche, e forte di due importanti porti adriatici, Cesenatico e Rimini. Anche qui la fine del regime daziario e le spinte modernizzatrici e speculative in campo urbanistico portarono all’abbattimento delle porte cittadine e, nel 1904, delle mura. Solo la rocca di Ravaldino, che aveva mantenuto la propria funzione carceraria, si salvò dalla distruzione; ma il suo declino fu accentuato dal suo isolamento dal tessuto urbano, solo in tempi recenti compensato dalla nascita di un importante quartiere universitario nel vicino comparto ex ospedaliero.
In attesa dello spostamento del carcere e dei lavori che consentiranno di avviarne la piena valorizzazione, l’edificio - sottoposto a importanti lavori di restauro negli anni Sessanta del Novecento - è oggi solo parzialmente visitabile. Oltre alla rocca, dell’antico sistema difensivo forlivese rimangono pochi elementi: insieme a scarsi tratti delle mura, il cui tracciato è quasi tutto ricalcato dalla attuale circonvallazione, è presente la porta di Schiavonia che affiancava la rocca dallo stesso nome distrutta a inizio Quattrocento.

VISITA
Situata lungo la porzione meridionale dei viali di circonvallazione, l’imponente rocca a pianta quadrangolare è caratterizzata da quattro bassi torrioni cilindrici che collegano le cortine murarie; sul fronte meridionale spicca il grande stemma dei Borgia con un toro rosso in campo giallo e verde.
Al centro del lato orientale si trova il potente mastio a base quadrata, che all’interno presenta tre ambienti sovrapposti: nella sala superiore si apre la bocca di un pozzo che si spinge ai piani inferiori fino al cortile, mentre da un ulteriore piano sotterraneo, adibito a magazzino, era possibile accedere al sotterraneo del palazzo residenziale. Unico accesso al mastio era una scala a chiocciola (oggi non accessibile) in pietra, priva di perno centrale e formata da una settantina di scalini sovrapposti che si sostengono l’un l’altro collegando i diversi piani.
Oltre al giardino dal quale è possibile ammirare i resti delle strutture trecentesche e delle mura quattrocentesche, sono accessibili il cortile interno che ospita concerti estivi e le sale espositive in occasione di mostre temporanee.



Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione, propri e di terze parti.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookie.