Riolo Terme

Rocca Sforzesca
Riolo Terme

Rocca Sforzesca di Riolo Terme, Archivio IBC
piazza Mazzanti
Riolo Terme (RA)
tel 0546 77450
Sui primi rilievi collinari alle spalle della via Emilia, all’altezza di Castel Bolognese, Riolo Terme occupa un altopiano costeggiato dal fiume Senio, sul margine della Vena del Gesso romagnola che attraversa le colline tra Imola e Faenza.

Insediata fin dal Neolitico e colonizzata dai Romani, la valle del Senio rivestì un ruolo strategico già in età bizantina, quando l'aspra conformazione della Vena del Gesso sostenne la linea fortificata dispiegata contro l’avanzata longobarda.

Da Imola a Bologna
Parte della romaniola ex bizantina donata alla Chiesa dai re franchi e attraversata da un tracciato romeo che dalle valli padane passando per Faenza consentiva di superare l'Appennino tosco-romagnolo, la valle fece a lungo riferimento all’area imolese. Dal IX secolo circa interventi di riassetto territoriale furono promossi sui due fronti della Vena dalle importanti abbazie benedettine di San Pietro in Sala vicino a Riolo e San Giovanni di Senio presso Casola, confermate da papa Onorio al vescovo di Imola attorno al 1130. Alla fine di quel secolo è certa la presenza sull’altopiano, in una posizione difesa da alte scarpate tra il Senio e il ‘riolo’ Doccia, di un sito fortificato e già dotato forse di una torre, sottoposto con altri vicini alla giurisdizione del potente castello di Laderchio appartenente alla contea di Imola.
A partire dal XIII secolo le lotte per il controllo della Romagna tra città di parte guelfa e ghibellina - che in questa area coinvolsero con Bologna, Faenza, Forlì e Ravenna anche le potenti consorterie imolesi dei Sassatelli e dei Vaini - accrebbero l’interesse strategico della valle del Senio, grazie alla posizione di confine tra Imolese e Faentino. Bologna in particolare - ottenuto nel 1377 il vicariato papale sull’Imolese - volle consolidare la propria presa sulla valle, che si era rivolta per protezione al comune felsineo, nel quadro di una riorganizzazione del contado imperniata sulla creazione di nuovi borghi franchi che fu applicata anche in altre zone politicamente sensibili come la pianura a nord della città.
Decisivo fu in questa ottica il duplice intervento realizzato in rapida successione a Riolo e a Castel Bolognese. Nel 1388 Bologna deliberò di ampliare e rinforzare il torrione quadrato già presente a Riolo, forse circondato da un recinto murato, affidando l’incarico ad Andrea di Petruccio Bianchetti su progetto di Masino della Colla. Sul lato della scarpata affacciata sul Senio venne edificato un borgo a impianto ortogonale, la cui porta di accesso si apriva a fianco della rocca; il governo bolognese ordinò inoltre il trasferimento forzato nel nuovo insediamento di quasi trecento abitanti delle ‘ville’ vicine, compresa l’ormai decaduta Laderchio. Un anno più tardi il comune fondava lungo la via Emilia, nei pressi del ponte sul Senio, il borgo fortificato di Castel Bolognese, suo estremo avamposto romagnolo, ridisegnato su un precedente presidio militare con una struttura a isolati simile a quella di Riolo integrata da una rocca, e popolato con le stesse modalità.

La rocca dei Manfredi, dei Riario-Sforza e del Valentino
Dopo la conquista di Imola del 1434 i Visconti concessero il territorio imolese, valle del Senio compresa, ai Manfredi signori di Faenza; Riolo entrò così nel complicato gioco delle lotte interne al casato faentino. Nella seconda metà del secolo – in particolare attorno al 1470 sotto Carlo II, che fece di Riolo il capoluogo delle contee di Valsenio e Valdilamone riunite sotto il suo controllo – i Manfredi promossero nella rocca riolese importanti lavori di rafforzamento e adeguamento alle nuove tecniche militari. Gli interventi comportarono l'incamiciatura delle mura della rocca e del mastio, l’avanzamento del fronte nord-ovest dell’edificio, l’elevazione di una rondella a sud e l’innalzamento di livello del cortile; con gli stralci successivi furono realizzati un profondo fossato, i torrioni est e ovest e un rivellino fortificato a protezione della porta del borgo, le cui mura vennero a loro volta rinforzate e dotate di torresini.
Nuovi lavori furono promossi qualche anno dopo – nel quadro di un programma di ammodernamento delle rocche del territorio - da Girolamo Riario, che con il vicariato di Imola aveva ottenuto nel 1473 anche Riolo, poi dalla moglie Caterina Sforza, a lui succeduta come reggente. A cavallo del nuovo secolo però tutto l’Imolese, compresi Riolo e Castel Bolognese, venne conquistato con una campagna lampo da Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro, che mirava a costituire un dominio personale in Romagna. La repentina caduta del Valentino segnò per qualche tempo la ripresa delle contese fazionarie, con l’assedio posto alla rocca riolese e la violenta razzia del borgo operata dalle truppe dei Sassatelli.

Lo Stato della Chiesa: il declino della rocca
Riportato a partire dal 1504 con altri territori romagnoli sotto il controllo diretto dello stato della Chiesa dal nuovo papa Giulio II, e assegnato all’amministrazione imolese, Riolo sarebbe rimasto sotto il dominio pontificio quasi ininterrottamente fino all’Unità d’Italia. Fin dal Cinquecento iniziò il declino della rocca e del borgo: l’inedita stabilità politica della Romagna, l’apertura di nuovi fronti di scontro tra le potenze europee, la continua evoluzione delle tecniche e delle tattiche militari fecero rapidamente decadere anche qui la funzione difensiva di fortificazioni ormai obsolete. Già verso metà secolo le mura del borgo erano diroccate e gli apparati difensivi parzialmente demoliti; il rapido degrado delle strutture fu accentuato dal dissesto del costone argilloso su cui si ergevano, che in assenza di opere di contenimento provocò, ancora fra Sei e Settecento, il crollo di interi tratti di mura, compresi i torresini d’angolo protesi sulla scarpata. Questa condizione di abbandono fu comune a diversi castelli della Vena del Gesso, alcuni dei quali, come Rontana e Monte Mauro, divennero rifugio dei cosiddetti briganti.
Al declino militare si accompagnò quello economico, aggravato dai contrasti con Imola e da punitive politiche fiscali, e simboleggiato dalla parabola della badia di san Pietro in Sala, che già a fine Quattrocento con la soppressione del monastero aveva perso gran parte dei suoi possedimenti, per essere poi privata anche delle funzioni parrocchiali. Intanto Castel Bolognese si affermava come dinamico centro di commerci tra Bologna, la Romagna e la Toscana prima di perdere i privilegi che avevano favorito il contrabbando e venir trasferito alla legazione ravennate. Sotto il regime napoleonico il centro sulla via Emilia divenne capoluogo di un ampio distretto comprendente anche Riolo, mantenendone il controllo anche dopo la Restaurazione, mentre la secolare storia della badia di san Pietro in Sala si concludeva con la soppressione e la vendita dell’edificio a privati.

L’Ottocento: turismo termale e trasformazioni urbanistiche
A inizio Ottocento la nascita di un turismo termale legato alla riscoperta delle virtù delle sue acque minerali segnò la rinascita economica di Riolo. A partire dagli anni Venti del secolo la realizzazione delle infrastrutture necessarie incise però profondamente sul già compromesso tessuto urbanistico del borgo, con il parziale spianamento e il riutilizzo di materiali dell’antica cinta muraria, l’interramento di una porzione del fossato della rocca per ampliare la piazza, la realizzazione di nuove abitazioni lungo il tracciato del fossato e delle mura a seguito della rettifica della strada provinciale.
Divenuta sede comunale nel 1892, la stessa rocca subì importanti interventi tesi ad adattarla alle sue nuove funzioni, con superfetazioni e l’apertura di un nuovo accesso sulla piazza, mentre la realizzazione dell’acquedotto nel 1898 comportò l’adattamento di un torrione a serbatoio idrico. L’attestazione del fronte sul Senio alla fine della seconda guerra mondiale collocò Riolo di nuovo in prima linea, provocando ulteriori danni alle antiche strutture.

Dal Novecento agli anni Duemila: recupero e valorizzazione della rocca
A partire dai primi anni Ottanta del Novecento il comune avviò un impegnativo programma di recupero e riuso della rocca, con il trasferimento degli uffici municipali, l'acquisto e la demolizione di alcuni edifici che gravavano sulle strutture esterne della rocca, il recupero della torre quadrata, dei torrioni e dell’edificio centrale. Alla fine degli anni Novanta venne ripristinato il fossato, ricostruito un tratto di mura sul fronte nord-occidentale e restaurata la restante cinta muraria, riqualificando inoltre il parco sotto le mura. Negli anni Duemila il recupero del centro storico è proseguito con la ripavimentazione in pietra delle strade e del sentiero che corre alla base delle mura.
Nel 2006 all’interno della rocca è stato inaugurato il Museo del Paesaggio dell’Appennino faentino, museo del territorio comprendente una sezione dedicata alla storia e alle caratteristiche difensive della rocca. L'edificio ospita oggi anche mostre, incontri, programmi musicali e cinematografici.

VISITA
Di forma irregolarmente quadrata e dotata di torri angolari, la rocca è circondata dal fossato, risalente alla seconda metà del Quattrocento e oggi recuperato; del ponte levatoio che lo attraversava rimangono solo alcuni elementi di supporto. Dal cortile interno si accede al piano terra del mastio, dove è ancora visibile una delle finestre dell’antica torre bolognese, chiusa dalla rifasciatura delle mura esterne di epoca manfrediana; da qui una rampa di scale conduce al piano interrato con il pozzo.
Erette con funzione strettamente difensiva, le torri circolari ospitavano le casematte con i pezzi d’artiglieria; una di queste conserva una bombarda che riporta l’iscrizione Karolus S. de Manfredis 1474. Nella torre est una sala multimediale illustra le notevoli caratteristiche difensive di questo tipo di costruzioni: ampie tanto da poter ospitare cannoni e munizioni, abbastanza alte da consentire una buona visuale sui fossati e sul rivellino, e sufficientemente sporgenti per proteggere le mura con tiro fiancheggiante.
Percorrendo il cammino di ronda, sulla destra è visibile la cortina intonacata e affrescata del nucleo originario dell’edificio, la torre bolognese ora racchiusa nel mastio. Quest’ultimo si articola su più piani: al primo era in origine l’ingresso alla torre, che si raggiungeva attraverso una scala di legno retraibile per tenere lontani dal cuore della fortificazione i nemici che fossero riusciti a superare le mura; lungo il cammino di ronda che circonda il secondo piano coesistono elementi difensivi risalenti a epoche - e tecniche militari - diverse: le caditoie atte alla difesa piombante con frecce, acqua o pece bollente e le bocche di fuoco funzionali al tiro radente delle artiglierie. Sulla facciata orientale della rocca è lo stemma comitale in pietra d’Istria di Carlo II Manfredi, anch’esso risalente agli anni Settanta del Quattrocento e scolpito con stendardi simbolici che portano le armi delle due contee di Valdisenio e Valdilamone. A circa un chilometro da Riolo in direzione di Castel Bolognese, in località Laderchio sono visibili i resti della badia di San Pietro in Sala, inglobati in una casa colonica.



Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Senio,
via Romea Germanica
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Comune di Bologna,
Manfredi,
Riario Sforza
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

Fascismo Guerra Resistenza
piazza Mazzanti
Riolo Terme (RA)
tel 0546 77450
Sui primi rilievi collinari alle spalle della via Emilia, all’altezza di Castel Bolognese, Riolo Terme occupa un altopiano costeggiato dal fiume Senio, sul margine della Vena del Gesso romagnola che attraversa le colline tra Imola e Faenza.

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Insediata fin dal Neolitico e colonizzata dai Romani, la valle del Senio rivestì un ruolo strategico già in età bizantina, quando l'aspra conformazione della Vena del Gesso sostenne la linea fortificata dispiegata contro l’avanzata longobarda.

Da Imola a Bologna
Parte della romaniola ex bizantina donata alla Chiesa dai re franchi e attraversata da un tracciato romeo che dalle valli padane passando per Faenza consentiva di superare l'Appennino tosco-romagnolo, la valle fece a lungo riferimento all’area imolese. Dal IX secolo circa interventi di riassetto territoriale furono promossi sui due fronti della Vena dalle importanti abbazie benedettine di San Pietro in Sala vicino a Riolo e San Giovanni di Senio presso Casola, confermate da papa Onorio al vescovo di Imola attorno al 1130. Alla fine di quel secolo è certa la presenza sull’altopiano, in una posizione difesa da alte scarpate tra il Senio e il ‘riolo’ Doccia, di un sito fortificato e già dotato forse di una torre, sottoposto con altri vicini alla giurisdizione del potente castello di Laderchio appartenente alla contea di Imola.
A partire dal XIII secolo le lotte per il controllo della Romagna tra città di parte guelfa e ghibellina - che in questa area coinvolsero con Bologna, Faenza, Forlì e Ravenna anche le potenti consorterie imolesi dei Sassatelli e dei Vaini - accrebbero l’interesse strategico della valle del Senio, grazie alla posizione di confine tra Imolese e Faentino. Bologna in particolare - ottenuto nel 1377 il vicariato papale sull’Imolese - volle consolidare la propria presa sulla valle, che si era rivolta per protezione al comune felsineo, nel quadro di una riorganizzazione del contado imperniata sulla creazione di nuovi borghi franchi che fu applicata anche in altre zone politicamente sensibili come la pianura a nord della città.
Decisivo fu in questa ottica il duplice intervento realizzato in rapida successione a Riolo e a Castel Bolognese. Nel 1388 Bologna deliberò di ampliare e rinforzare il torrione quadrato già presente a Riolo, forse circondato da un recinto murato, affidando l’incarico ad Andrea di Petruccio Bianchetti su progetto di Masino della Colla. Sul lato della scarpata affacciata sul Senio venne edificato un borgo a impianto ortogonale, la cui porta di accesso si apriva a fianco della rocca; il governo bolognese ordinò inoltre il trasferimento forzato nel nuovo insediamento di quasi trecento abitanti delle ‘ville’ vicine, compresa l’ormai decaduta Laderchio. Un anno più tardi il comune fondava lungo la via Emilia, nei pressi del ponte sul Senio, il borgo fortificato di Castel Bolognese, suo estremo avamposto romagnolo, ridisegnato su un precedente presidio militare con una struttura a isolati simile a quella di Riolo integrata da una rocca, e popolato con le stesse modalità.

La rocca dei Manfredi, dei Riario-Sforza e del Valentino
Dopo la conquista di Imola del 1434 i Visconti concessero il territorio imolese, valle del Senio compresa, ai Manfredi signori di Faenza; Riolo entrò così nel complicato gioco delle lotte interne al casato faentino. Nella seconda metà del secolo – in particolare attorno al 1470 sotto Carlo II, che fece di Riolo il capoluogo delle contee di Valsenio e Valdilamone riunite sotto il suo controllo – i Manfredi promossero nella rocca riolese importanti lavori di rafforzamento e adeguamento alle nuove tecniche militari. Gli interventi comportarono l'incamiciatura delle mura della rocca e del mastio, l’avanzamento del fronte nord-ovest dell’edificio, l’elevazione di una rondella a sud e l’innalzamento di livello del cortile; con gli stralci successivi furono realizzati un profondo fossato, i torrioni est e ovest e un rivellino fortificato a protezione della porta del borgo, le cui mura vennero a loro volta rinforzate e dotate di torresini.
Nuovi lavori furono promossi qualche anno dopo – nel quadro di un programma di ammodernamento delle rocche del territorio - da Girolamo Riario, che con il vicariato di Imola aveva ottenuto nel 1473 anche Riolo, poi dalla moglie Caterina Sforza, a lui succeduta come reggente. A cavallo del nuovo secolo però tutto l’Imolese, compresi Riolo e Castel Bolognese, venne conquistato con una campagna lampo da Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro, che mirava a costituire un dominio personale in Romagna. La repentina caduta del Valentino segnò per qualche tempo la ripresa delle contese fazionarie, con l’assedio posto alla rocca riolese e la violenta razzia del borgo operata dalle truppe dei Sassatelli.

Lo Stato della Chiesa: il declino della rocca
Riportato a partire dal 1504 con altri territori romagnoli sotto il controllo diretto dello stato della Chiesa dal nuovo papa Giulio II, e assegnato all’amministrazione imolese, Riolo sarebbe rimasto sotto il dominio pontificio quasi ininterrottamente fino all’Unità d’Italia. Fin dal Cinquecento iniziò il declino della rocca e del borgo: l’inedita stabilità politica della Romagna, l’apertura di nuovi fronti di scontro tra le potenze europee, la continua evoluzione delle tecniche e delle tattiche militari fecero rapidamente decadere anche qui la funzione difensiva di fortificazioni ormai obsolete. Già verso metà secolo le mura del borgo erano diroccate e gli apparati difensivi parzialmente demoliti; il rapido degrado delle strutture fu accentuato dal dissesto del costone argilloso su cui si ergevano, che in assenza di opere di contenimento provocò, ancora fra Sei e Settecento, il crollo di interi tratti di mura, compresi i torresini d’angolo protesi sulla scarpata. Questa condizione di abbandono fu comune a diversi castelli della Vena del Gesso, alcuni dei quali, come Rontana e Monte Mauro, divennero rifugio dei cosiddetti briganti.
Al declino militare si accompagnò quello economico, aggravato dai contrasti con Imola e da punitive politiche fiscali, e simboleggiato dalla parabola della badia di san Pietro in Sala, che già a fine Quattrocento con la soppressione del monastero aveva perso gran parte dei suoi possedimenti, per essere poi privata anche delle funzioni parrocchiali. Intanto Castel Bolognese si affermava come dinamico centro di commerci tra Bologna, la Romagna e la Toscana prima di perdere i privilegi che avevano favorito il contrabbando e venir trasferito alla legazione ravennate. Sotto il regime napoleonico il centro sulla via Emilia divenne capoluogo di un ampio distretto comprendente anche Riolo, mantenendone il controllo anche dopo la Restaurazione, mentre la secolare storia della badia di san Pietro in Sala si concludeva con la soppressione e la vendita dell’edificio a privati.

L’Ottocento: turismo termale e trasformazioni urbanistiche
A inizio Ottocento la nascita di un turismo termale legato alla riscoperta delle virtù delle sue acque minerali segnò la rinascita economica di Riolo. A partire dagli anni Venti del secolo la realizzazione delle infrastrutture necessarie incise però profondamente sul già compromesso tessuto urbanistico del borgo, con il parziale spianamento e il riutilizzo di materiali dell’antica cinta muraria, l’interramento di una porzione del fossato della rocca per ampliare la piazza, la realizzazione di nuove abitazioni lungo il tracciato del fossato e delle mura a seguito della rettifica della strada provinciale.
Divenuta sede comunale nel 1892, la stessa rocca subì importanti interventi tesi ad adattarla alle sue nuove funzioni, con superfetazioni e l’apertura di un nuovo accesso sulla piazza, mentre la realizzazione dell’acquedotto nel 1898 comportò l’adattamento di un torrione a serbatoio idrico. L’attestazione del fronte sul Senio alla fine della seconda guerra mondiale collocò Riolo di nuovo in prima linea, provocando ulteriori danni alle antiche strutture.

Dal Novecento agli anni Duemila: recupero e valorizzazione della rocca
A partire dai primi anni Ottanta del Novecento il comune avviò un impegnativo programma di recupero e riuso della rocca, con il trasferimento degli uffici municipali, l'acquisto e la demolizione di alcuni edifici che gravavano sulle strutture esterne della rocca, il recupero della torre quadrata, dei torrioni e dell’edificio centrale. Alla fine degli anni Novanta venne ripristinato il fossato, ricostruito un tratto di mura sul fronte nord-occidentale e restaurata la restante cinta muraria, riqualificando inoltre il parco sotto le mura. Negli anni Duemila il recupero del centro storico è proseguito con la ripavimentazione in pietra delle strade e del sentiero che corre alla base delle mura.
Nel 2006 all’interno della rocca è stato inaugurato il Museo del Paesaggio dell’Appennino faentino, museo del territorio comprendente una sezione dedicata alla storia e alle caratteristiche difensive della rocca. L'edificio ospita oggi anche mostre, incontri, programmi musicali e cinematografici.

VISITA
Di forma irregolarmente quadrata e dotata di torri angolari, la rocca è circondata dal fossato, risalente alla seconda metà del Quattrocento e oggi recuperato; del ponte levatoio che lo attraversava rimangono solo alcuni elementi di supporto. Dal cortile interno si accede al piano terra del mastio, dove è ancora visibile una delle finestre dell’antica torre bolognese, chiusa dalla rifasciatura delle mura esterne di epoca manfrediana; da qui una rampa di scale conduce al piano interrato con il pozzo.
Erette con funzione strettamente difensiva, le torri circolari ospitavano le casematte con i pezzi d’artiglieria; una di queste conserva una bombarda che riporta l’iscrizione Karolus S. de Manfredis 1474. Nella torre est una sala multimediale illustra le notevoli caratteristiche difensive di questo tipo di costruzioni: ampie tanto da poter ospitare cannoni e munizioni, abbastanza alte da consentire una buona visuale sui fossati e sul rivellino, e sufficientemente sporgenti per proteggere le mura con tiro fiancheggiante.
Percorrendo il cammino di ronda, sulla destra è visibile la cortina intonacata e affrescata del nucleo originario dell’edificio, la torre bolognese ora racchiusa nel mastio. Quest’ultimo si articola su più piani: al primo era in origine l’ingresso alla torre, che si raggiungeva attraverso una scala di legno retraibile per tenere lontani dal cuore della fortificazione i nemici che fossero riusciti a superare le mura; lungo il cammino di ronda che circonda il secondo piano coesistono elementi difensivi risalenti a epoche - e tecniche militari - diverse: le caditoie atte alla difesa piombante con frecce, acqua o pece bollente e le bocche di fuoco funzionali al tiro radente delle artiglierie. Sulla facciata orientale della rocca è lo stemma comitale in pietra d’Istria di Carlo II Manfredi, anch’esso risalente agli anni Settanta del Quattrocento e scolpito con stendardi simbolici che portano le armi delle due contee di Valdisenio e Valdilamone. A circa un chilometro da Riolo in direzione di Castel Bolognese, in località Laderchio sono visibili i resti della badia di San Pietro in Sala, inglobati in una casa colonica.



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