San Martino in Rio

Rocca Estense
San Martino in Rio

Rocca Estense di San Martino in Rio, Archivio IBC,
Rocca Estense di San Martino in Rio, Archivio IBC
corso Umberto I, 22
San Martino in Rio (RE)
tel 0522 636726
Nella pianura reggiana orientale al confine con il modenese, San Martino in Rio si trova tra Reggio e Carpi nei pressi dell’antico alveo, ora artificializzato, del torrente Tresinaro.

Dai Canossa ai Roberti
Forse edificato su precedenti strutture difensive, il castello venne concesso con altri nel 1052 dal vescovo reggiano a Bonifacio di Canossa, andando a integrare il complesso sistema fortificato tra Enza e Secchia che proteggeva i vastissimi territori del casato e le vie di comunicazione che dai passi appenninici scendevano al Po.
Sarebbe stata la grancontessa Matilde a concedere all’inizio del XII secolo il castello in feudo alla famiglia Roberti, legata al potente consorzio parentale dei ‘figli di Manfredo’ radicato nella bassa pianura tra Modena e Reggio.
Divenuti membri di primo piano della fazione guelfa reggiana guidata dai Fogliani, i Roberti parteciparono alle lotte tra i comuni e l’impero, tanto che nel 1157 il castello venne completamente distrutto da Federico Barbarossa, e in seguito da loro ricostruito e rinforzato. Fra Due e Trecento San Martino diede più volte rifugio ai membri del casato espulsi da Reggio, a opera prima dei ghibellini, poi dei guelfi intransigenti, e infine dei loro ex alleati Fogliani.
Gli aspri conflitti per il controllo del Reggiano che nella prima metà del Trecento opposero gli Este, signori della città dal 1289 al 1306, ai Gonzaga di Mantova, signori dal 1335, portarono nel 1346 i Roberti ad allearsi ai primi, che avevano in passato combattuto, ottenendone in cambio il feudo sanmartinese.
Sette anni dopo il castello con la sua rocca ‘fortissima’ e le due ‘altissime’ torri veniva atterrato dai Gonzaga e nuovamente ricostruito dai Roberti, ora alleati ai Visconti che cercavano di estendersi nella pianura padana: mantenuti alcuni elementi preesistenti l’edificio fu fortificato a recinto con quattro torri angolari e un fossato perimetrale lungo le mura, e dotato di una cappella di corte dedicata a San Giovanni.
Nonostante l’investitura imperiale ottenuta nel 1368, l’alleanza con i Visconti, subentrati nel 1371 nella signoria reggiana, segnò la rovina dei Roberti quando gli Este recuperarono Reggio nel 1409, consolidando progressivamente il loro contrastato dominio sul territorio: più volte dichiarati decaduti, i signori di San Martino rinunciarono alle loro prerogative solo nel 1430, sotto la pressione della spedizione militare che aveva portato le truppe di Nicolò III sotto alle mura del castello.

Il feudo e le imprese di Borso
Nel 1441 Borso d’Este ebbe San Martino e Campogalliano in feudo personale dal fratello Leonello, mantenendone il dominio diretto anche dopo aver assunto la signoria dello stato estense nel 1450.
Grande mecenate, Borso avviò imponenti restauri della rocca, trasformandola con l’apporto di ingegneri e artisti della corte ferrarese in una residenza signorile volta alla celebrazione delle sue virtù pubbliche e private e delle glorie del casato. L’apparato decorativo esaltava allegoricamente, con consapevoli finalità politiche e propagandistiche, le ‘imprese’ di bonifica del territorio da lui promosse, culminate nella realizzazione del canale d’Enza in accordo con i signori di Correggio; e insieme, attraverso un accorto dispiegamento degli stemmi araldici, lo status della famiglia e quello conquistato dallo stesso Borso nel 1452 con la concessione imperiale del Ducato di Modena e Reggio.
La rocca mantenne però a lungo anche il proprio ruolo militare grazie alla posizione strategica a metà strada tra bassa modenese e reggiana, e incuneata tra le signorie confinanti di Correggio e Carpi, che ne fece un punto nodale della fitta rete di rocche, palazzi e delizie con cui gli Este si erano garantiti il controllo diretto dei territori loro soggetti.

Gli Este di San Martino
Nel 1490 Ercole I d’Este assegnò San Martino – pervenutogli ancora come feudo personale – al fratello Sigismondo, dando origine al ramo degli Este di San Martino. La sovranità del feudo, dotato di diritto di imperio pressoché assoluto ed elevato a marchesato a fine Cinquecento e a principato nel Settecento, si estendeva anche ai territori di Campogalliano, Castellarano, Prato di Correggio, Lemizzone, Gazzata, Stiolo e Trignano.
I nuovi signori promossero importanti interventi sulle strutture difensive del castello, in particolare nel 1537, quando le fortificazioni, che avevano subito un duro assedio da parte delle truppe papali, furono adeguate alle nuove tecniche militari legate agli sviluppi dell’artiglieria. Pochi anni dopo nuovi importanti interventi si resero però necessari per riparare le devastazioni provocate da Ercole II d’Este, deciso a stroncare le propensioni autonomistiche e filospagnole di Sigismondo II di San Martino, che venne reintegrato nei suoi diritti solo grazie all’intervento dello stesso re di Spagna.
Nella seconda metà del secolo il progressivo ridimensionamento delle funzioni difensive dell’edificio, connesso ai nuovi assetti politici e militari europei innescati dalla pace di Cateau Cambresis, portò ad esaltarne il carattere di residenza signorile: nel 1570, in occasione del matrimonio di Filippo I con Maria di Savoia, l’edificio fu ampliato con lo scalone d’onore e le sale di rappresentanza e riccamente decorato, probabilmente su progetto di Giovanni Battista Aleotti detto l'Argenta.
Nel corso del Seicento le sale al piano nobile vennero affrescate con decorazioni araldiche e 'imprese’ celebrative degli Este di San Martino; nel 1627 all’interno del recinto della rocca fu realizzato un teatro a scena fissa, distrutto a metà del secolo seguente. Notevoli furono anche, fra Cinque e Seicento, gli interventi urbanistici e architettonici promossi dai signori di San Martino nel borgo, con l’edificazione della chiesa Collegiata, della piazza antistante la rocca e del convento dei Cappuccini.

I Rango d'Aragona: rococò a palazzo
Con l’estinzione degli Este di San Martino nel 1752 il feudo tornò alla Camera ducale estense, che l’anno successivo cedette San Martino e Campogalliano alla marchesa Sfondrati, poi, fino al 1767, alla figlia Anna Ricciarda di Belgiojoso.
Messo all’asta, nel 1772 il castello venne acquistato con il feudo dal nobile napoletano Paolo Rango d'Aragona, che lo tenne fino alla sua morte senza eredi avvenuta vent'anni dopo. Il d'Aragona restaurò le strutture ormai pericolanti, promuovendo al contempo una ridefinizione funzionale degli ambienti e il loro rinnovo decorativo nell’imperante stile rococò. I lavori compresero la sistemazione della facciata verso la piazza, l’apertura di nuove finestre e il rifacimento degli infissi, l’installazione di un teatro in uno dei saloni, la copertura dei soffitti cinquecenteschi dipinti a grottesche, l’inserimento in diverse sale di stucchi e camini in scagliola e marmo, cineserie e finte carte da parati.
Tornato alla Camera ducale, alla fine del secolo il feudo venne abolito dal governo filonapoleonico.

Dall’Otto al Novecento: la rocca tra funzioni pubbliche e private
Nel corso dell'Ottocento la rocca mutò più volte funzione, in una mescolanza tra utilizzo abitativo e uso pubblico degli spazi, divenuti sede prima degli uffici comunali e dal 1880 della caserma dei carabinieri, o trasformati in granai e ghiacciaie.
Dopo l’Unità d’Italia fu avviata la bonifica delle fosse interne e la demolizione di tre lati delle mura e del ponte di accesso, mentre veniva realizzato il balcone aggettante sulla porta. Restaurato l’edificio nel 1926, l’anno successivo venne completata la colmatura dei fossati, oggi Prati della rocca, sistemati a giardino, passeggiata e campo sportivo; dal 1929 l’ala sud fu destinata alla casa del Fascio, mentre nel 1934 la sala del teatro divenne un’aula scolastica.
Durante la seconda guerra mondiale la presenza del comando militare tedesco e di diverse famiglie sfollate aggravò ulteriormente lo stato di degrado dell’edificio.

Il progetto di recupero e valorizzazione
Nel dopoguerra trovarono sede nella rocca, con gli uffici comunali, partiti, associazioni, scuole, e dal 1968 uno dei primi musei dell’agricoltura del territorio regionale.
Negli anni Settanta fu promosso lo studio di un progetto pluriennale di recupero e restauro del complesso, destinato ad attività culturali. Avviati nel 1981 sotto la direzione dell’architetto Mauro Severi con il finanziamento dell’amministrazione locale e dell'Istituto regionale per i beni culturali, gli interventi consentirono il recupero e lo studio degli affreschi quattrocenteschi, esempio rarissimo di pittura muraria di ambito estense nel Reggiano.
La rocca ospita oggi il museo dell’Agricoltura, la pinacoteca Coppelli e la biblioteca civica con l’archivio Henghel Gualdi.

VISITA
Del recinto trecentesco dei Roberti resta solo l’alzato all’angolo nord-est, mentre il resto dell’area è occupato dai ‘prati’. Sono dell'epoca la torre e la cappella in stile gotico di San Giovanni, del 1395, che conserva le fasce di cotto del portale, l’altare in marmo di Verona con lo stemma del casato e un San Martino, entrambi in arenaria.
Ai primi decenni del secolo XV risale il portico nella corte d’onore con colonne e capitelli a foglie d’acqua, che ospita una delle sale del museo. Da un altro porticato con colonne antiche in granito di recupero si accede allo scalone d’onore, realizzato a fine Cinquecento.
Le decorazioni degli interni costituiscono un'importante testimonianza dell’arte emiliana attraverso i secoli.
Di particolare rilievo è la sala quattrocentesca dell’Unicorno nella torre al piano nobile, affrescata dal modenese Pellegrino degli Erri e bottega con le ‘imprese’ di bonifica di Borso, inquadrate da padiglioni tra siepi e festoni di frutta e fiori. Seduto sulle rive del canale, contro lo sfondo del borgo e della rocca, il mitico animale, emblema di castità e purezza, intinge il lungo corno nelle acque, purificandole e fecondando così le terre circostanti. Accanto sono rappresentate le altre ‘imprese’: il paraduro – la staccionata che consentiva la deviazione di fiumi - la chiodara - uno strumento per la lavorazione della canapa – e una vasca battesimale.
In un altro ambiente cinquecentesco animali, mostri, figure mitologiche, dame si succedono su una fascia monocroma su fondo nero, scandita da medaglioni che racchiudono le vedute sulla campagna circostante.
La sala del Teatro – usata a questo scopo fino agli anni Trenta del Novecento - e quella delle Aquile sono decorate alle pareti da affreschi secenteschi che presentano una teoria di cartigli con motti in spagnolo sui fasti e le virtù degli Este San Martino, segno della loro fedeltà alla corte di Spagna consolidata dall’alleanza matrimoniale con i Savoia; sui soffitti lignei sono raffigurate le insegne d’Este e le aquile imperiale ed estense, nera e bianca, a una e a due teste.
Gli appartamenti dell'ala est sono decorati nello stile rococò prediletto dai marchesi d'Aragona, con finte tappezzerie e carte da parati, porte e camini incorniciati di stucchi policromi a volte integrati agli elementi cinquecenteschi. Già coperti dalle controsoffittature d’epoca, i fregi cinquecenteschi a grottesche sono riemersi grazie ai restauri, mentre un grande salone è stato ridipinto ai primi del Novecento sull’originario impianto decorativo dal pittore sammartinese Bizzochi.
Risale agli anni Trenta del Novecento - in quella che era la sala d’attesa dell’ufficio del podestà, sullo stesso piano - l’affresco con la contemporanea ‘impresa’ di Italo Balbo, opera di un pittore locale.


Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Secchia
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Canossa,
Roberti,
Este,
Rango d'Aragona,
Este di San Martino
Arte e Architettura

Stili architettonici e decorativi nel castello:

Tardogotico,
Rinascimento e Manierismo,
Barocco e Rococò
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

Le Delizie estensi
Bibliografia
corso Umberto I, 22
San Martino in Rio (RE)
tel 0522 636726
Nella pianura reggiana orientale al confine con il modenese, San Martino in Rio si trova tra Reggio e Carpi nei pressi dell’antico alveo, ora artificializzato, del torrente Tresinaro.

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Dai Canossa ai Roberti
Forse edificato su precedenti strutture difensive, il castello venne concesso con altri nel 1052 dal vescovo reggiano a Bonifacio di Canossa, andando a integrare il complesso sistema fortificato tra Enza e Secchia che proteggeva i vastissimi territori del casato e le vie di comunicazione che dai passi appenninici scendevano al Po.
Sarebbe stata la grancontessa Matilde a concedere all’inizio del XII secolo il castello in feudo alla famiglia Roberti, legata al potente consorzio parentale dei ‘figli di Manfredo’ radicato nella bassa pianura tra Modena e Reggio.
Divenuti membri di primo piano della fazione guelfa reggiana guidata dai Fogliani, i Roberti parteciparono alle lotte tra i comuni e l’impero, tanto che nel 1157 il castello venne completamente distrutto da Federico Barbarossa, e in seguito da loro ricostruito e rinforzato. Fra Due e Trecento San Martino diede più volte rifugio ai membri del casato espulsi da Reggio, a opera prima dei ghibellini, poi dei guelfi intransigenti, e infine dei loro ex alleati Fogliani.
Gli aspri conflitti per il controllo del Reggiano che nella prima metà del Trecento opposero gli Este, signori della città dal 1289 al 1306, ai Gonzaga di Mantova, signori dal 1335, portarono nel 1346 i Roberti ad allearsi ai primi, che avevano in passato combattuto, ottenendone in cambio il feudo sanmartinese.
Sette anni dopo il castello con la sua rocca ‘fortissima’ e le due ‘altissime’ torri veniva atterrato dai Gonzaga e nuovamente ricostruito dai Roberti, ora alleati ai Visconti che cercavano di estendersi nella pianura padana: mantenuti alcuni elementi preesistenti l’edificio fu fortificato a recinto con quattro torri angolari e un fossato perimetrale lungo le mura, e dotato di una cappella di corte dedicata a San Giovanni.
Nonostante l’investitura imperiale ottenuta nel 1368, l’alleanza con i Visconti, subentrati nel 1371 nella signoria reggiana, segnò la rovina dei Roberti quando gli Este recuperarono Reggio nel 1409, consolidando progressivamente il loro contrastato dominio sul territorio: più volte dichiarati decaduti, i signori di San Martino rinunciarono alle loro prerogative solo nel 1430, sotto la pressione della spedizione militare che aveva portato le truppe di Nicolò III sotto alle mura del castello.

Il feudo e le imprese di Borso
Nel 1441 Borso d’Este ebbe San Martino e Campogalliano in feudo personale dal fratello Leonello, mantenendone il dominio diretto anche dopo aver assunto la signoria dello stato estense nel 1450.
Grande mecenate, Borso avviò imponenti restauri della rocca, trasformandola con l’apporto di ingegneri e artisti della corte ferrarese in una residenza signorile volta alla celebrazione delle sue virtù pubbliche e private e delle glorie del casato. L’apparato decorativo esaltava allegoricamente, con consapevoli finalità politiche e propagandistiche, le ‘imprese’ di bonifica del territorio da lui promosse, culminate nella realizzazione del canale d’Enza in accordo con i signori di Correggio; e insieme, attraverso un accorto dispiegamento degli stemmi araldici, lo status della famiglia e quello conquistato dallo stesso Borso nel 1452 con la concessione imperiale del Ducato di Modena e Reggio.
La rocca mantenne però a lungo anche il proprio ruolo militare grazie alla posizione strategica a metà strada tra bassa modenese e reggiana, e incuneata tra le signorie confinanti di Correggio e Carpi, che ne fece un punto nodale della fitta rete di rocche, palazzi e delizie con cui gli Este si erano garantiti il controllo diretto dei territori loro soggetti.

Gli Este di San Martino
Nel 1490 Ercole I d’Este assegnò San Martino – pervenutogli ancora come feudo personale – al fratello Sigismondo, dando origine al ramo degli Este di San Martino. La sovranità del feudo, dotato di diritto di imperio pressoché assoluto ed elevato a marchesato a fine Cinquecento e a principato nel Settecento, si estendeva anche ai territori di Campogalliano, Castellarano, Prato di Correggio, Lemizzone, Gazzata, Stiolo e Trignano.
I nuovi signori promossero importanti interventi sulle strutture difensive del castello, in particolare nel 1537, quando le fortificazioni, che avevano subito un duro assedio da parte delle truppe papali, furono adeguate alle nuove tecniche militari legate agli sviluppi dell’artiglieria. Pochi anni dopo nuovi importanti interventi si resero però necessari per riparare le devastazioni provocate da Ercole II d’Este, deciso a stroncare le propensioni autonomistiche e filospagnole di Sigismondo II di San Martino, che venne reintegrato nei suoi diritti solo grazie all’intervento dello stesso re di Spagna.
Nella seconda metà del secolo il progressivo ridimensionamento delle funzioni difensive dell’edificio, connesso ai nuovi assetti politici e militari europei innescati dalla pace di Cateau Cambresis, portò ad esaltarne il carattere di residenza signorile: nel 1570, in occasione del matrimonio di Filippo I con Maria di Savoia, l’edificio fu ampliato con lo scalone d’onore e le sale di rappresentanza e riccamente decorato, probabilmente su progetto di Giovanni Battista Aleotti detto l'Argenta.
Nel corso del Seicento le sale al piano nobile vennero affrescate con decorazioni araldiche e 'imprese’ celebrative degli Este di San Martino; nel 1627 all’interno del recinto della rocca fu realizzato un teatro a scena fissa, distrutto a metà del secolo seguente. Notevoli furono anche, fra Cinque e Seicento, gli interventi urbanistici e architettonici promossi dai signori di San Martino nel borgo, con l’edificazione della chiesa Collegiata, della piazza antistante la rocca e del convento dei Cappuccini.

I Rango d'Aragona: rococò a palazzo
Con l’estinzione degli Este di San Martino nel 1752 il feudo tornò alla Camera ducale estense, che l’anno successivo cedette San Martino e Campogalliano alla marchesa Sfondrati, poi, fino al 1767, alla figlia Anna Ricciarda di Belgiojoso.
Messo all’asta, nel 1772 il castello venne acquistato con il feudo dal nobile napoletano Paolo Rango d'Aragona, che lo tenne fino alla sua morte senza eredi avvenuta vent'anni dopo. Il d'Aragona restaurò le strutture ormai pericolanti, promuovendo al contempo una ridefinizione funzionale degli ambienti e il loro rinnovo decorativo nell’imperante stile rococò. I lavori compresero la sistemazione della facciata verso la piazza, l’apertura di nuove finestre e il rifacimento degli infissi, l’installazione di un teatro in uno dei saloni, la copertura dei soffitti cinquecenteschi dipinti a grottesche, l’inserimento in diverse sale di stucchi e camini in scagliola e marmo, cineserie e finte carte da parati.
Tornato alla Camera ducale, alla fine del secolo il feudo venne abolito dal governo filonapoleonico.

Dall’Otto al Novecento: la rocca tra funzioni pubbliche e private
Nel corso dell'Ottocento la rocca mutò più volte funzione, in una mescolanza tra utilizzo abitativo e uso pubblico degli spazi, divenuti sede prima degli uffici comunali e dal 1880 della caserma dei carabinieri, o trasformati in granai e ghiacciaie.
Dopo l’Unità d’Italia fu avviata la bonifica delle fosse interne e la demolizione di tre lati delle mura e del ponte di accesso, mentre veniva realizzato il balcone aggettante sulla porta. Restaurato l’edificio nel 1926, l’anno successivo venne completata la colmatura dei fossati, oggi Prati della rocca, sistemati a giardino, passeggiata e campo sportivo; dal 1929 l’ala sud fu destinata alla casa del Fascio, mentre nel 1934 la sala del teatro divenne un’aula scolastica.
Durante la seconda guerra mondiale la presenza del comando militare tedesco e di diverse famiglie sfollate aggravò ulteriormente lo stato di degrado dell’edificio.

Il progetto di recupero e valorizzazione
Nel dopoguerra trovarono sede nella rocca, con gli uffici comunali, partiti, associazioni, scuole, e dal 1968 uno dei primi musei dell’agricoltura del territorio regionale.
Negli anni Settanta fu promosso lo studio di un progetto pluriennale di recupero e restauro del complesso, destinato ad attività culturali. Avviati nel 1981 sotto la direzione dell’architetto Mauro Severi con il finanziamento dell’amministrazione locale e dell'Istituto regionale per i beni culturali, gli interventi consentirono il recupero e lo studio degli affreschi quattrocenteschi, esempio rarissimo di pittura muraria di ambito estense nel Reggiano.
La rocca ospita oggi il museo dell’Agricoltura, la pinacoteca Coppelli e la biblioteca civica con l’archivio Henghel Gualdi.

VISITA
Del recinto trecentesco dei Roberti resta solo l’alzato all’angolo nord-est, mentre il resto dell’area è occupato dai ‘prati’. Sono dell'epoca la torre e la cappella in stile gotico di San Giovanni, del 1395, che conserva le fasce di cotto del portale, l’altare in marmo di Verona con lo stemma del casato e un San Martino, entrambi in arenaria.
Ai primi decenni del secolo XV risale il portico nella corte d’onore con colonne e capitelli a foglie d’acqua, che ospita una delle sale del museo. Da un altro porticato con colonne antiche in granito di recupero si accede allo scalone d’onore, realizzato a fine Cinquecento.
Le decorazioni degli interni costituiscono un'importante testimonianza dell’arte emiliana attraverso i secoli.
Di particolare rilievo è la sala quattrocentesca dell’Unicorno nella torre al piano nobile, affrescata dal modenese Pellegrino degli Erri e bottega con le ‘imprese’ di bonifica di Borso, inquadrate da padiglioni tra siepi e festoni di frutta e fiori. Seduto sulle rive del canale, contro lo sfondo del borgo e della rocca, il mitico animale, emblema di castità e purezza, intinge il lungo corno nelle acque, purificandole e fecondando così le terre circostanti. Accanto sono rappresentate le altre ‘imprese’: il paraduro – la staccionata che consentiva la deviazione di fiumi - la chiodara - uno strumento per la lavorazione della canapa – e una vasca battesimale.
In un altro ambiente cinquecentesco animali, mostri, figure mitologiche, dame si succedono su una fascia monocroma su fondo nero, scandita da medaglioni che racchiudono le vedute sulla campagna circostante.
La sala del Teatro – usata a questo scopo fino agli anni Trenta del Novecento - e quella delle Aquile sono decorate alle pareti da affreschi secenteschi che presentano una teoria di cartigli con motti in spagnolo sui fasti e le virtù degli Este San Martino, segno della loro fedeltà alla corte di Spagna consolidata dall’alleanza matrimoniale con i Savoia; sui soffitti lignei sono raffigurate le insegne d’Este e le aquile imperiale ed estense, nera e bianca, a una e a due teste.
Gli appartamenti dell'ala est sono decorati nello stile rococò prediletto dai marchesi d'Aragona, con finte tappezzerie e carte da parati, porte e camini incorniciati di stucchi policromi a volte integrati agli elementi cinquecenteschi. Già coperti dalle controsoffittature d’epoca, i fregi cinquecenteschi a grottesche sono riemersi grazie ai restauri, mentre un grande salone è stato ridipinto ai primi del Novecento sull’originario impianto decorativo dal pittore sammartinese Bizzochi.
Risale agli anni Trenta del Novecento - in quella che era la sala d’attesa dell’ufficio del podestà, sullo stesso piano - l’affresco con la contemporanea ‘impresa’ di Italo Balbo, opera di un pittore locale.


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