Museo Civico di Modena
Largo Porta S.Agostino, 337
Modena

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Tra le numerose collezioni che compongono il museo, alcune risultano molto significative quali precoci esempi di design industriale. Tralasciando in questa occasione il clamoroso e già studiato caso della collezione tessile Gandini, straordinario repertorio di modelli ordinato sotto gli auspici di una rinascita manifatturiera, il museo ospita sia la strumentazione “didattica” ad uso della formazione delle classi imprenditoriali, sia il risultato di sperimentazioni e di applicazioni al comparto produttivo.
Al primo caso appartengono i modelli di macchine che il Gabinetto di Fisica dell'università cedette al museo tra il 1889 e 1898; non più funzionale all'insegnamento, tale strumentazione fu incamerata per il suo valore storico e, soprattutto, quale testimonianza documentaria rispetto alla tradizione tecnico-scientifica del ducato. Molti sono i nomi dei “macchinisti” modenesi che diedero forma alle intuizioni di scienziati specializzati in astronomia, termologia, idraulica e ottica, spesso vestendo le loro opere di preziosi dettagli decorativi, sempre aggiornati sui dettami stilistici più moderni. Tale attenzione all'ornamento trova poi punte di estrema raffinatezza in alcuni oggetti come l'accendilume di Alessandro Volta (1800 ca,) i cui delicati e complessi meccanismi sono celati dentro a un'urna dalla purissima forma classica.
Un altro capitolo fondamentale per la creazione di un gusto schiettamente locale è la Scuola dei Cadetti Matematici Pionieri, istituita dal duca Francesco V d'Austria-Este nel 1823 sulle ceneri dell'università, giusto in quell'anno trasformata in una serie di convitti organizzati militarmente. L'imperioso controllo esercitato sulla classe dei notabili e dei professionisti, opportunamente formata presso quegli istituti, ebbe come risultato anche l'uniformazione del gusto, tutto impostato su una sobria ed essenziale riformulazione di un algido classicismo. Si direbbe quasi che le forme funzionali dei modelli di gru, elevatori, pompe e mulini utilizzate per lo studio dagli ingegneri e dagli architetti, abbiano finito per epurare del superfluo anche la progettazione architettonica.
Altra figura di “artefice” è quella del poliedrico Felice Riccò (1817-1894) che fece dono di numerosi materiali al museo nell'anno della sua fondazione, il 1871. Tali materiali testimoniano un'attività tutta volta ad ottenere con mezzi meccanici elementi decorativi fino a quel momento appannaggio dell'artigianato. Intagli e intarsi lignei, lastre metalliche incise o sbalzate erano realizzate con l'ausilio di pantografi, laminatoi e, talvolta, con strumenti e procedimenti non ancora individuati. Perfeziono poi la “stampa naturale”, una tecnica che utilizzava elementi bidimensionali come ali d'insetto, petali, foglie e merletti per ottenere una matrice; in questa operazione non era previsto alcun intervento umano e la lastra così ottenuta poteva essere usata per riproduzioni su svariati supporti. Riccò ottenne diversi riconoscimenti partecipando alle grandi esposizioni internazionali del secondo Ottocento ma, sebbene esistano opuscoli sulle applicazioni pratiche e numerosi campionari, mancano esempi di oggetti effettivamente prodotti.
Per quanto riguarda la collezione delle ceramiche, le istanze iniziali della raccolta portano sempre alla ricerca di una radicata tradizione artigianale, la quale si dilata poi in una serie di esemplari legati alla città più per le loro vicende che per l'effettiva esecuzione in ambito locale. E' il caso dei resti del servizio eseguito nel 1565 a Faenza dalla bottega di Virgilio Calamelli per il banchetto nuziale di Alfonso II d'Este con Barbara d'Austria. Oppure del servizio realizzato attorno al 1786 dai Ferniani di Faenza per il vescovo di Modena Tiburzio Cortese.
Dove invece emerge in pieno una vicenda produttiva tutta locale è nelle ceramiche di Sassuolo, le cui attività hanno inizio nel 1741. Quelle prime manifatture di maioliche da tavola seguitano a sfornare manufatti che mano a mano si adeguano ai tempi; nel 1836 una delle due maggiori fabbriche viene acquistata dal conte Ferrari Moreni che si specializza nelle terraglie “all'uso d'Inghilterra”. Verso la fine del secolo la famiglia Rubbiani ne diviene proprietaria e, cambiando totalmente il registro, consolida quel fortunatissimo filone, ora davvero industriale, delle mattonelle. Seppure con un'altra denominazione, a tutt'oggi la fabbrica è ancora attiva, anche sotto il profilo culturale poiché, nella sede di rappresentanza, ospita un significativo museo aziendale.
Tra gli artigiani locali vanno annoverati anche Antonio Apparuti la cui attività iniziò con le armi, proseguì con gli strumenti a fiato in ottone e finì, passando al figlio, con le bilance e le stadere; a parte un fucile da valle datato 1825, il museo conserva soprattutto gli ottoni, alcuni dei quali presentano significativi perfezionamenti e innovazioni molto apprezzate dai contemporanei.
Anche nel campo dell'argenteria Modena offre con continuità una produzione di qualità elevata che, nel corso dell'Ottocento, si confronta anche con la realizzazione di oggetti ottenuti da semilavorati seriali. Candelieri, saliere e caffettiere sfruttavano una lavorazione a stampo che, seppure ottenuta con mezzi artigianali, consentiva una serialità già preindustriale. Il nucleo di argenterie da tavola donato da Carlo Sernicoli, testimonianza soprattutto stilistica del gusto imperante nel ducato, si lega ai lavori della bottega di Tommaso Rinaldi la cui attività è ampiamente testimoniata in museo; accanto agli oggetti sono esposti anche i modelli in cera e in piombo oltre a stampi di ferro per lo sbalzo e la fusione, a testimoniare i vari passaggi di produzione.


Con l'inaugurazione dei Musei Civici, nel 1871 la città di Modena sembra suggellare quel concetto di “Piccola Patria” che, giusto all'alba della raggiunta unità nazionale, raccorda la variegata provincia italiana. Appare subito chiaro che i reperti dell'età del bronzo rinvenuti sul territorio circostante assurgono al ruolo di più antica testimonianza dell'identità e dell'autonomia culturale cittadina, via via rafforzata con l'acquisizione di raccolte di tipo industriale e naturalistico. La fisionomia del museo, sebbene già impostata nelle prime due sale del Palazzo Comunale, si consolida con il definitivo trasferimento presso il Palazzo dei Musei nel 1886. Nella nuova sede, tuttavia, il primitivo concetto che vedeva l'istituzione come un laboratorio sperimentale finisce per cedere il passo all'arte e all'artigianato. Spariscono dunque macchine, attrezzature e collezioni naturalistiche per lasciare il posto alle donazioni di illustri famiglie modenesi le quali, in una visione permeata di un forte orgoglio civico, cedono al comune importanti nuclei di strumenti musicali, tessuti, vetri, ceramiche, armi e, naturalmente, dipinti e sculture. Complice la cultura positivista dell'epoca, il museo diviene dunque il luogo dello studio, imprescindibile riferimento per artisti e artigiani che trovano qui, organizzati in serie esaustive, ampi repertori di modelli. E' inoltre l'epoca di acquisti, incameramenti di opere provenienti da enti ecclesiastici soppressi nonché dei beni di uffici pubblici e istituti universitari che non rispondono più alle moderne esigenze.
Oggi il museo continua a crescere mediante le stesse istanze sebbene sia ormai impossibile mantenere l'attenzione sulle produzioni e l'industria contemporanei. Le donazioni e gli acquisti legati all'artigianato storico incrementano collezioni già in essere e ne accrescono le conoscenze. Ciò che invece ha uno sviluppo maggiormente equilibrato è il patrimonio pittorico poiché le acquisizioni interessano non solo l'arte antica ma anche il Novecento più prossimo.


Artisti:
Alessandro Volta
Scuola dei Cadetti Matematici Pionieri
Felice Riccò
Antonio Apparuti
Carlo Sernicoli
Tommaso Rinaldi
Famiglia Rubbiani
Ceramiche di Sassuolo