MIG - Museo Italiano della Ghisa
Sede storica: via S. Maria, 18/a (Chiesetta S. Maria delle Lacrime); MIG c/o Neri spa: S.s. Emilia 1671, loc. Ponte Ospedaletto
Longiano
Il lavoro di vero e proprio design inteso come progettazione e che nel nostro caso precede il modello, non è molto documentato all’interno della raccolta, a parte una felice eccezione che lega un disegno originale a uno dei più interessanti manufatti della collezione. Gli anni tra il 1896 e il 1899 vedono l’esordio e l’affermazione nel campo delle arti applicate di Duilio Cambellotti (1876-1960). Giovanissimo, appena ventenne, inizia la sua attività di designer progettando ogni tipo di manufatto, con un occhio attento alle esperienze mitteleuropee belghe, austriache e tedesche, in linea con il gusto liberty europeo e con le teorie del movimento inglese Arts and Crafts. In questo periodo, si interessa anche ai problemi di abbellimento e decoro urbano della città di Roma, occupandosi di progettazione per l’illuminazione pubblica. Nel 1896 la Società Romana Tramways & Omnibus bandì un concorso per la progettazione di un palo da sostegno da utilizzare nelle linee più importanti, che fu vinto proprio da Duilio Cambellotti, allora allievo del corso serale del Museo Artistico Industriale di Roma. Il disegno definitivo era stato preceduto da una serie di schizzi, alcuni molto accurati, riferiti alle varie parti che componevano il palo-sostegno (base, fusto, cima), dove compaiono elementi decorativi eclettici, di chiara derivazione classica e mitologica, fusi con altri più moderni, in un insieme armonioso e ben proporzionato. Tali disegni, quasi tutti realizzati a matita nera e a penna con inchiostro nero, sono stati acquistati nel 2011 dalla Fondazione Neri per il Museo Italiano della Ghisa di Longiano.Tra i disegni inediti, provenienti dall’Archivio Cambellotti e oggi di proprietà della Fondazione Neri, sono presenti vari schizzi relativi a lampioni e arredi urbani (ad esempio orologi), alcuni dei quali possono probabilmente essere messi in relazione con i lampioni progettati negli anni Trenta e mai realizzati. Oltre ai lavori di Cambellotti sono custoditi anche tutti i disegni e gli schizzi di Domenico Neri, che hanno dato vita alla ricca gamma della produzione aziendale. Si tratta degli ultimi disegni eseguiti a mano libera su tecnigrafo utilizzando la matita su carta lucida semitrasparente, talvolta mantenendo la grandezza naturale degli elementi e arricchendo con i chiaroscuri l’evidenza dei decori.

La raccolta del Museo si compone di due nuclei principali:
I MODELLI IN LEGNO, che corrispondono alla prima fase del processo produttivo, indispensabile per la realizzazione delle forme entro cui sarà colata la ghisa. Il modello è creato per lo più in legno, oppure in resina e richiede la mano abile ed esperta dell’artigiano. E’ il vero pezzo unico, di impronta artistico-artigianale, che solitamente viene conservato, in quanto è a partire da questo prototipo che si riproducono nel corso del tempo tutte le copie da utilizzare durante il processo, senza intaccare l’opera originale di intaglio. A parte un esemplare che proviene da Parma ed è databile intorno agli ultimi anni del Novecento, i modelli esposti sono tutti di proprietà della Neri spa che ne conserva una quantità molto maggiore in un deposito dedicato attiguo al museo.
Con accentuazioni diverse, che dipendono dalla tipologia e dalle dimensioni di ciascun elemento, il modello esprime la precisione e l’accuratezza che il passaggio dal disegno alla dimensione tridimensionale richiede; la qualità dell’intaglio è molto importante in quanto si rifletterà sulla nitidezza della fusione. Ma il modello esprime anche un aspetto più tecnico poiché configura già le fasi successive del processo: la sua funzione infatti è quella di creare nella forma la cavità nella quale si colerà il metallo fuso. Le dimensioni del modello devono tener conto del ritiro del metallo che si verifica con la solidificazione e del sovrametallo (strato di metallo sulla superficie di un pezzo ottenuto per fusione, che costituisce una maggiorazione rispetto alle dimensioni del pezzo finito, ed è quindi destinato a essere asportato nelle successive fasi di lavorazione). La forma del modello deve anche tener conto della necessità di estrazione dalla forma senza che questa si rovini, e quindi le pareti parallele alla direzione di estrazione dovranno essere leggermente inclinate e creare un invito detto sformo o scampanatura; si dovranno inoltre evitare i sottosquadri o prevedere una adeguata scomponibilità del modello; infine bisogna prevedere le portate d’anima, cioè il calco dei supporti ove poggeranno le anime per la creazione dei vuoti nella fusione.

LE FUSIONI IN GHISA costituiscono il nucleo più rilevante sia per quantità che per varietà di tipologie. Se seguiamo le vicende del palo Cambellotti possiamo, attraverso un’esemplificazione, farci un’idea di quanto questi manufatti potessero essere soggetti a modificazioni, che andavano ben oltre l’intenzione progettuale.
I pali furono posti in Piazza Traiano e successivamente in via Cavour, al centro della strada. Nel 1909, per le aumentate esigenze del traffico, furono rimossi da via Cavour e sistemati in Piazza Cavour, nelle adiacenze del Palazzo di Giustizia. In tale occasione l’architetto Calderini, artefice del Palazzo, li modificò: in sostituzione delle cime a forma di “T” disegnò un artistico pastorale, che reggeva una sola lampada ad arco, secondo la tipica caratterizzazione “romano antica” propria del Palazzo di Giustizia. La fusione dei pastorali e l’adattamento dei pali-sostegno fu affidata non più alla Pignone, ma alla Società Anonima Continentale, già Brunt & C, di Milano. Quello che vediamo quindi può essere il risultato di modifiche che nel corso del tempo si sono inserite sul progetto originario. Ciò vale soprattutto per i pali che hanno funzionato in un primo tempo a gas e hanno subito interventi di adattamento quando è stata introdotta l’energia elettrica.
E’ pur vero, comunque, che l’eclettismo è una caratteristica che connota i manufatti in ghisa fin dal loro nascere. Il XIX secolo è caratterizzato da notevoli stravolgimenti urbanistici nelle grandi e medie città, dove le nuove tecnologie offrono soluzioni fino ad allora impensabili per le infrastrutture e l’arredo urbano. A partire dal 1850, l’edilizia, in tutta Europa, vide un incremento su larga scala, con la costruzione di interi quartieri cittadini, dove la novità maggiore è rappresentata dall’architettura in ferro, che raggiunge il suo culmine nell’Esposizione Universale di Londra del 1851 con il famoso Crystal Palace, e in quelle successive. Il costo del metallo, che divenne pari a quello del legno, contribuì ad incrementarne l’uso. Si poteva presentare in varie fusioni: la ghisa, il ferro, l’acciaio. La ghisa divenne in breve tempo un eccellente materiale sia per l’arredo urbano che per alcuni complementi architettonici.
Il gusto estetico di quegli anni si ispirava a un revival della decorazione rinascimentale, sulla scia dello storicismo di origine neoclassica. Il Rinascimento italiano era visto come ideale estetico da imitare in tutte le forme dell’arte: architettura, arredo urbano, ornato, arti decorative... Gli esempi classici del Quattrocento e del Cinquecento erano, nella cultura europea, un riferimento imprescindibile; il sistema decorativo derivante dal repertorio rinascimentale era il comune denominatore della ricerca estetica Gli oggetti esposti in museo documentano varie tipologie di arredo urbano, realizzate nella seconda metà dell’Ottocento e nel primo ventennio del Novecento. Sono decorati da una profusione di elementi ornamentali, provenienti dalla tradizione classica, gotica, rinascimentale e barocca, con elementi comuni a molti manufatti: la baccellatura, il tortiglione, la foglia d’acanto, le ghirlande floreali e i festoni di frutta (con l’avvento del Liberty assistiamo al passaggio dal sontuoso naturalismo a una prevalente stilizzazione degli elementi vegetali), i medaglioni, i mascheroni, i rosoni, le candelabre e le grottesche, la cariatide.


Artisti:
Duilio Cambelotti
Domenico Neri
Italo Marcori