tavola/ pittura a tempera
sec. XVI (1533 - 1533)
Fonti documentali attestano la committenza dell'opera a Marco Palmezzano da parte dei Padri del convento dei Servi di Forlimpopoli nel 1533 e il compenso ricevuto dall'artista per tramite del forlivese Nicola Mercuriali, fidejussore della comunità religiosa. Questi, in due atti rogati dal notaio forlivese Vincenzo Saporetti datati 6 ottobre 1533 e 24 aprile 1534 (Archivio di Stato di Forlì, Atti dei Notai forlivesi, vol. 1072, cc. 21r e 96v), rispettivamente si impegna a versare e risulta avere liquidato la somma di undici scudi d'oro e di quarantotto soldi bolognini al pittore Marco Palmezzano quale compenso per la realizzazione di un'ancona per i padri di Santa Maria dei Servi di Forlimpopoli. A tutt'oggi non disponiamo di informazioni che ci indichino l'originaria allogazione della pala all'interno della chiesa. E' certo, invece, che la tavola, dall'originaria forma rettangolare, venne ritagliata lungo il margine superiore per conferirle una sagoma centinata ed essere adattata all'ancona seicentesca entro cui ancora oggi si trova. L'altare dell'Annunciazione fu, infatti, sistemato nel 1735 riutilizzando la bella ancona in legno dipinto e parzialmente dorato che ornava la terza cappella a sinistra, intitolata a San Martino. A completamento dell'altare, nella cimasa, fu posta la piccola tela raffigurante "Sant'Antonio da Padova". L'"Annunciazione" fu studiata in modo esauriente da Carlo Grigioni nella monumentale monografia da lui dedicata all'artista forlivese nel 1956. Qui raccolse il frutto delle sue esemplari ricerche che portarono al recupero di importanti documenti d'archivio, anche relativi alla pala forlimpopolese. La quale, per certo, non può considerarsi fra le opere più significative del Palmezzano ma di essa lo studioso forlivese fornì una scheda con considerazioni storiche e analisi della fortuna critica (Casali, Calzini, Rosetti, Buscaroli) puntuali e ad oggi insuperate. "L'opera, concepita con nobiltà di composizione, è immiserita nell'esecuzione. Tuttavia Gabriele, nonostante i deturpamenti, ha maestà di posa e qualche grandiosità di forme, lontana eco affievolita della grande "Annunciazione" del Carmine a Forlì. Bello, come quasi sempre, il paesaggio" (Grigioni 1956). Difatti la tavola forlimpopolese viene eseguita a poco meno di quaranta anni dalla magnifica "Annunciazione" - l'Annunciazione "grande" - per la chiesa del Carmine di Forlì (oggi conservata presso la Pinacoteca cittadina e sostituita, sull'altare maggiore, da una copia ottocentesca) e a poco più di trenta anni dall'"Annunciazione" posta nella parete di controfacciata della chiesa dei Servi di Maria di Forlì (più comunemente nota come San Pellegrino) (anche questa tavola è confluita, in virtù della legge di liquidazione dell'asse ecclesiastico del 1866, nelle raccolte comunali forlivesi). Nella pala di Forlimpopoli Palmezzano ripete lo schema delle due precedenti tavole ma, a differenza di esse, la composizione risulta meno complessa e "la nobile solennità iniziale ha ceduto il posto a una sorta di pacata castigatezza" (Viroli 1991). Sebbene il Calzini ebbe a definirla "notevole per la bellezza degli arabeschi e la lucentezza del paese", vi riconobbe l'inferiorità del "pennello del pittore", un'inferiorità notevolmente accentuata anche a causa del pessimo stato di conservazione in cui l'opera versava. Oggi la tavola, restituita alla sua antica dignità grazie all'intervento di restauro attuato nel 2005 in occasione della mostra "Marco Palmezzano e il Rinascimento nelle Romagne", palesa ancora le buone qualità pittoriche di chi la dipinse. "Per quanto di aggraziato e molle è nelle figure, per il tipo di paesaggio, che qui nella sua silenziosa vastità assume quasi un carattere nordico, il colloquio fra i due protagonisti, alla presenza di un Padre sovrano e preesistente, appare garbato e pieno di ingenua poesia" (Viroli 1991).