Museo Civico di Modena
Largo Porta S.Agostino, 337
Modena (MO)
ambito emiliano
dipinto

tela/ pittura a olio
cm 135 (la) 98 (a)
secc. XVII/ XVIII (1650 - 1750)
n. Ser. 9
Il corpo di San Sebastiano, adagiato a terra seminudo su un telo bianco, segue la diagonale del quadro nel complesso scorcio prospettico.

Dopo essere stato colpito dalle frecce scagliategli dai suoi stessi arcieri, Sebastiano giace al suolo su un bianco lenzuolo, con accanto la propria armatura e l'elmo piumato. Al martirio appena compiuto allude l'unica ferita sul torace, mentre una freccia si è conficcata sul tronco dell'albero retrostante. Più che al risanamento da parte della pia Irene, che sembrerebbe dunque già compiuto, il dipinto prelude al momento conclusivo della vicenda del santo, allorché il suo corpo verrà gettato nella Cloaca Massima. È tuttavia incongruo interrogarsi sul significato di un dipinto che pare nato piuttosto come studio accademico di nudo e solo in un secondo momento aggettivato con i dettagli utili a trasformarlo in San Sebastiano.
Anche dal punto di vista attributivo esso propone un quesito non semplice. Sicuramente erroneo è il riferimento più volte avanzato da Negro e Roio a Bartolomeo Schedoni, del quale la tela non presenta la materia spessa e smaltata, sostituita invece da una fattura liquida e abbreviata. Se alcune parti, come ad esempio la testa scorciata e in ombra, dalla folta chioma scompigliata, ricordano in qualche modo i personaggi di Schedoni o del suo affine Sisto Badalocchi (l'Angelo custode del duomo di Parma), i due artisti sono entrambi attivi a date troppo precoci rispetto a quella indicata dalla fattura del nostro dipinto: il confronto richiamato con la Deposizione già a Fontevivo ed ora nella Pinacoteca Nazionale di Parma dimostra il contrario di quanto Negro e Roio vorrebbero sostenere.
Forse il suo autore andrà ricercato a Parma negli anni tra XVII e XVIII secolo, che vedono un rilancio di quei modelli correggeschi ai quali si erano accostati gli stessi Schedoni e Badalocchi. Per il momento la ricerca deve fermarsi qui. Il dipinto ha però una sua piacevolezza, e non sorprende che, al di là dei quesiti irrisolti circa la sua paternità, Sernicoli lo abbia acquistato.