FONTE
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AutoreGiordane
Titolo operaGetica
Anno550 d.C.
Periodoetà giustinianea
EpocaTarda Antichità
Noteed.: T. Mommsen (ed.), Iordanis Romana et Getica, Berlin 1882 (rist. anast. Muenchen 1982), p. 53-138 (trad. parziale: M. Pierpaoli (a cura di), Vita e personaggi di Ravenna antica, Ravenna 1984, p. 243-253; E. Bartolini (a cura di), Storia dei Goti, Milano 1991, trad. dei curatori).
PASSO
Localizzazione146-147
Testo originale[146] Postquam vero Theodosius amator pacis generisque Gothorum rebus excessit humanis coeperuntque eius filii utramque rem publicam luxuriose viventes adnihilare auxiliariisque suis, id est Gothis, consueta dona subtrahere, mox Gothis fastidium eorum increvit, verentesque, ne longa pace eorum resolveretur fortitudo, ordinato super se rege Halarico, cui erat post Amalos secunda nobilitas Balthorumque ex genere origo mirifica, qui dudum ob audacia virtutis Baltha, id est audax, nomen inter suos acceperat. [147] Mox ergo antefatus Halaricus creatus est rex, cum suis deliberans suasit eos suo labore quaerere regna quam alienis per otium subiacere, et sumpto exercitu per Pannonias Stilicone et Aureliano consulibus et per Sirmium dextroque latere quasi viris vacuam intravit Italiam nulloque penitus obsistente ad pontem applicavit Candidiani, qui tertio miliario ab urbe aberat regia Ravennate.
Traduzione[146] Quando Teodosio, amante della pace e benevolo verso la stirpe dei Goti, se ne andò dal mondo degli umani e i figli di lui con una vita sfrenata cominciarono a rovinare l'una e l'altra parte dell'impero e a negare i consueti donativi ai loro ausiliari, cioè ai Goti, tosto nei Goti sorse avversione verso di essi e nel timore che per un lungo periodo di pace si rilassasse il loro vigore fisico, scelsero come proprio re Alarico, che dopo gli Amali era secondo per nobiltà e vantava splendida origine dalla stirpe dei Balti e da tempo per il suo eroismo aveva ricevuto tra i suoi il nome di Baltha, che significa “audace”. [147] Tosto dunque il predetto Alarico, creato re, discutendo con i suoi, li persuase a cercare un regno con la loro fatica piuttosto che soggiacere in pace al dominio altrui, e con un esercito, l'anno del consolato di Stilicone e Aureliano, attraverso la Pannonia e Sirmium [Sremska Mitrovica], dal lato destro entrò in Italia, quasi vuota di uomini, e senza che alcuno, anche all'interno, opponesse resistenza, giunse al ponte di Candidiano, che distava tre miglia [ca. 4,5 km.] dalla sede imperiale di Ravenna.
NoteConsolato di Stilicone e Aureliano: 400 d.C. Regno di Teodosio I: 379-395 d.C. Regno di Onorio in Occidente: 395-423 d.C. Regno di Arcadio in Oriente: 395-408 d.C. Giordane descrive la nascita dei Visigoti, che si staccano dal gruppo principale dei Goti, poi noti come Ostrogoti, per dirigersi in Occidente sotto Alarico, re fino al 410.
PASSO
Localizzazione148-151
Testo originale[148] Quae urbs inter paludes et pelago interque Padi fluenta unius tantum patet accessu, cuius dudum possessores, ut tradunt maiores, “ainetòi”, id est laudabiles, dicebantur. Haec in sino regni Romani super mare Ionio constituta ut in modum insulae influentium aquarum redundatione concluditur. [149] Habet ab oriente mare, ad quam qui recto cursu de Corcyra atque Hellade partibus navigatur, dextrum latus primum Epiros, dehinc Dalmatiam Liburniam Histriamque et sic Venetias radens palmula navigat. Ab occidente vero habet paludes, per quas uno angustissimo introitu ut porta relicta est. A septentrionale quoque plaga ramus illi ex Pado est, qui Fossa vocitatur Asconis. [150] A meridie item ipse Padus, quem Italiae soli fluviorum regem dicunt, cognomento Eridanus, ab Augusto imperatore latissima fossa demissus, qui septima sui alvei parte per mediam influit civitatem, ad ostia sua amoenissimum portum praebens, classem ducentarum quinquaginta navium Dione referente tutissima dudum credebatur recipere statione. [151] Qui nunc, ut Favius ait, quod aliquando portus fuerit, spatiosissimus ortus ostendit arboribus plenus, verum de quibus non pendeant vela, sed poma. Trino si quidem urbs ipsa vocabulo gloriatur trigeminaque positione exultat, id est prima Ravenna, ultima Classis, media Caesarea inter urbem et mare, plena mollitiae harenaque minuta vectationibus apta.
Traduzione[148] Questa città, fra le paludi e il mare e fra i rami del Po, è accessibile soltanto per via di uno di essi; gli antichi possessori si chiamavano, come tramandano gli antenati, “ainetòi” cioè “lodevoli”. La città, costruita sul Mare Ionio all'interno dell'Impero Romano, come un'isola è racchiusa da acque traboccanti che scorrono verso di essa. [149] Ad oriente ha il mare e verso questa parte si naviga con rotta diretta quando si proviene da Corcira e dalle parti della Grecia, mentre i remi procedono sfiorando sulla destra l'Epiro, poi la Dalmazia, la Liburnia e l'Istria e così le Venezie. Ad occidente ha le paludi, attraverso le quali è lasciata come una porta da un solo angustissimo accesso. Così pure a settentrione di essa si trova quella derivazione del Po che è chiamata Fossa Asconis. [150] Pure a mezzogiorno sta il Po stesso, che chiamano re dei fiumi del suolo italico, detto anche Eridano, dall'imperatore Augusto fatto defluire in un amplissimo canale; esso con la settima parte del suo letto scorre proprio in mezzo alla città, offrendo verso la foce un porto molto ameno, che, a detta di Dione, si credeva che potesse un tempo offrire sicurissimo rifugio a una flotta di 250 navi. [151] Ora, come dice Favio, laddove una volta si trovava il porto, appare un vastissimo giardino pieno d'alberi, dai quali però non pendono vele, ma frutti. La città vanta così un triplice nome e si estende in tre zone: la prima è Ravenna, l'estrema è Classe, intermedia fra la città e il mare è Cesarea, ricca di terreno soffice e di fine arena, adatta alle passeggiate.
PASSO
Localizzazione152-153
Testo originale[152] Verum enim vero cum in eius vicinitate Vesegotharum applicuisset exercitus et ad Honorium imperatorem, qui intus residebat, legationem misisset, quatenus si permitteret, ut Gothi pacati in Italia residerent, sic eos cum Romanorum populo vivere, ut una gens utraque credere possit: sin autem aliter, bellando quis quem valebat expellere, et iam securus qui victor existeret imperaret. Sed Honorius imperator utraque pollicitatione formidans suoque cum senatu inito consilio, quomodo eos fines Italos expelleret, deliberabat. [153] Cui ad postremum sententia sedit, quatenus provincias longe positas, id est Gallias Spaniasque, quas pene iam perdidisset Gizericique eas Vandalorum regis vastaret inruptio, si valeret, Halaricus sua cum gente sibi tamquam lares proprias vindicaret. Donationem sacro oraculo confirmatam consentiunt Gothi hac ordinatione et ad patriam sibi traditam proficiscuntur.
Traduzione[152] Quando l'esercito dei Visigoti giunse nei pressi di questa città [Ravenna], mandò un'ambasciata all'imperatore Onorio, che vi si trovava dentro: se permetteva che i Goti risiedessero tranquilli in Italia, essi erano disposti a convivere col popolo romano in modo tale che l'una e l'altra popolazione potesse ritenersi reciprocamente sicura; altrimenti esercitasse il potere quel popolo che combattendo era capace di cacciare l'altro e risultasse sicuro vincitore. Ma l'imperatore Onorio, avendo timore di entrambe le proposte, pensava come allontanarli dal territorio italico. [153] Alla fine decise di proporre che Alarico con la sua gente, se ne era capace, rivendicasse per sé come propria sede tutte quelle lontane province, cioè le Gallie e le Spagne, che egli aveva ormai perduto e che l'incursione di Genserico, re dei Vandali, stava devastando. I Goti accettano l'offerta confermata in questi termini con sacro rito e partono per la patria loro assegnata.
Note408 d.C. Regno di Onorio: 395-423 d.C. Regno di Alarico sui Visigoti: 400-410 d.C. In realtà il re vandalo che stava devastando la penisola iberica era il padre di Genserico, Gunderico: 407-428 d.C.
PASSO
Localizzazione155
Testo originaleQuem ex inproviso Gothi cernentes primum perterriti sunt, sed mox recollectis animis et, ut solebant, hortatibus excitati omnem pene exercitum Stiliconis in fuga conversum usque ad internicionem deiciunt furibundoque animo arreptum iter deserunt et in Liguria post se, unde iam transierant, revertuntur; eamque praedis spoliisque potiti Emiliam pari tenore devastant Flamminiaeque aggerem inter Picenum et Tusciam usque ad urbem Romam discurrentes, quidquid in utrumque latus fuit, in praeda diripiunt.
TraduzioneL'attacco improvviso dapprima sconcertò gravemente i Goti. Che poi ripresisi d'animo e lasciandosi spronare, com'è loro costume, dalle esortazioni dei capi, mettono in fuga quasi tutta l'armata di Stilicone, la inseguono fino a menarne strage completa e, ormai scatenati, tornano indietro, rientrano nella Liguria da cui erano già usciti, la mettono a ferro e a fuoco, con la stessa furia dilagano a saccheggiare l'Emilia. Muovendo lungo la Flaminia, tra il Piceno e la Toscana, devastano quanto viene a trovarsi sui due fianchi della loro avanzata, e questo sino a Roma.
Note402 d.C.: l'avanzata a Roma è una confusione per l'assedio e saccheggio del 410 d.C. Giordane presuppone che l'ondata gotica abbia coinvolto anche Faenza e il suo territorio.
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Localizzazione159-160
Testo originale[159] Qui suscepto regno revertens item ad Romam, si quid primum remanserat, more locustarum erasit, nec tantum privatis divitiis Italiam spolians, immo et publicis, imperatore Honorio nihil resistere praevalente, cuius et germanam Placidiam Theodosii imperatoris ex altera uxore filiam ab urbe captivam abduxit. [160] Quam tamen ob generis nobilitatem formeque pulchritudine et integritate castitatis adtendens in Foro Iuli [alii: Foro Livi] Aemiliae civitate suo matrimonio legitime copulavit, ut gentes hac societate conperta quasi adunatam Gothis rem publicam efficacius terrerentur, Honorioque Augusto quamvis opibus exausto tamen iam quasi cognatum grato animo derelinquens, Gallias tendit.
Traduzione [159] Salito al trono, [Ataulfo] decise di ritornare a Roma saccheggiando, come le locuste, quanto poteva essere sfuggito alla prima razzia e impadronendosi non soltanto delle ricchezze private, ma anche di quelle dell'erario senza che l'imperatore Onorio potesse minimamente opporsi. Conduceva via da Roma, prigioniera, persino Placidia, la sorella di Onorio, che l'imperatore Teodosio aveva avuto da un'altra moglie, [160] ma quindi, attratto dalla nobiltà del sangue, dalla bellezza di lei e dalla sua castità senza macchie, la sposava a Forlì, in Emilia: anche per incutere con questo legame, dove impero e Goti si univano, un ancor più reverenziale timore ai popoli. E sebbene Onorio non potesse contare ormai su nessuna risorsa, tuttavia, trattandolo generosamente da cognato, passò in Gallia.
Note410-414 d.C.: in realtà sembra che il matrimonio tra Ataulfo e Placidia si sia svolto a Narbona.
PASSO
Localizzazione238-240
Testo originale[238] Ad quos rex Vesegotharum Eurichus innumerum ductans advenit exercitum diuque pugnans Riutimum Brittonum rege, antequam Romani in eius societate coniungerentur, effugavit. Qui amplam partem exercitus amissam cum quibus potuit fugiens ad Burgundionum gentem vicinam Romanisque in eo tempore foederatam advenit. Eurichus vero rex Vesegotharum Arevernam Galliae civitatem occupavit Anthemio principe iam defuncto: [239] qui cum Ricemere genero suo intestino bello saeviens Romam trivisset, ipseque a genero peremptus regnum reliquid Olybrio. Quo tempore in Constantinopolim Aspar primus patriciorum et Gothorum genere clarus cum Ardabure et Patriciolo filiis, illo quidem olim patricio, hoc autem Caesare generoque Leonis principis appellato, spadonum ensibus in palatio vulneratus interiit. Et necdum Olybrio octavo mense in regno ingresso obeunte Glycerius apud Ravennam plus presumptione quam electione Caesar effectus. Quem anno vix expleto Nepus Marcellini quondam patricii sororis filius a regno deiciens in Porto Romano episcopum ordinavit. [240] Tantas varietates mutationesque Eurichus cernens, ut diximus superius, Arevernam occupans civitatem, ubi tunc Romanorum dux praeerat Ecdicius nobilissimus senator et dudum Aviti imperatoris, qui ad paucos dies regnum invaserat, filius (nam hic ante Olybrium paucos dies tenens imperium ultro secessit Placentia, ibique episcopus est ordinatus). Huius ergo filius Ecdicius, diu certans cum Vesegothis nec valens antestare, relicta patria maximeque urbem Arevernate hosti, ad tutiora se loca collegit.
Traduzione[238] In questo fitto susseguirsi di imperatori, Eurico, re dei Visigoti, si diede a sottomettere tutta quanta la Gallia alla sua autorità, mentre Antemio, resosi conto di tale disegno, si rivolgeva per aiuto ai Bretoni. I quali, venuti in dodicimila sotto la guida del loro re Riothimo, si concentrarono, una volta sbarcati dalle navi, nella città di Bourges. Eurico, re dei Visigoti, mosse a incontrarli alla testa d'una numerosissima armata vincendoli, dopo un lungo combattimento, prima che si potessero congiungere con i Romani. Riothimo, persa gran parte dei suoi, si rifugiò con i superstiti presso i vicini Burgundi, in quel tempo alleati dei Romani, mentre Eurico occupava Clermont, città delle Gallie. L'imperatore Antemio era già morto. [239] Dopo aver rovinato i domini di Roma con una guerra intestina tra lui e il genero Ricimero, periva per mano di quest'ultimo lasciando l'impero a Olibrio: questo nello stesso periodo in cui a Costantinopoli Aspar, primo dei patrizi e di nobile stirpe gota, veniva ucciso a palazzo dalle spade degli eunuchi insieme con i figli Ardaburo e Patriciolo, di cui uno da lungo tempo era patrizio, l'altro Cesare e genero dell'imperatore Leone. Morto anche Olibrio dopo neanche otto mesi di regno, Glicerio assunse la porpora in Ravenna più con un atto di forza che per legittima elezione. Ma era passato appena un anno che Nepote, figlio d'una sorella del patrizio Marcellino, lo depose ordinandolo vescovo nel porto di Roma. [240] Eurico, come dicevamo, nel vedere tanti cambiamenti e tali mutevoli successioni, occupò la città di Clermont dove allora comandava il generale romano Decio, senatore nobilissimo, figlio di quell'Avito che, impadronitosi dell'impero prima di Olibrio, non riusciva a conservarlo se non per pochi giorni, ritirandosi volontariamente a Piacenza dove fu ordinato vescovo. Suo figlio Decio guerreggiò a lungo con i Visigoti; poi nell'impossibilità di contrastarli, abbandonando al nemico la patria e la stessa Clermont, preferì ritirarsi in luoghi più sicuri.
Note470-474 d.C. Regno di Eparchio Avito: 455-456 d.C. Regno di Antemio: 467-472 d.C. Regno di Olibrio: aprile-ottobre 472 d.C. Regno di Glicerio: 473-474 d.C. Regno di Giulio Nepote: 474-475 d.C. (nominalmente fino al 480). Regno di Eurico sui Visigoti: 466-484 d.C.
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Localizzazione241
Testo originaleQuod audiens Nepus imperator praecepit Ecdicium relictis Galliis ad se venire loco eius Orestem mag. mil. ordinatum. Qui Orestes suscepto exercitu et contra hostes egrediens a Roma Ravenna pervenit ibique remoratus Augustulum filium suum imperatorem effecit. Quo conperto Nepus fugit Dalmatias ibique defecit privatus a regno, ubi iam Glycerius dudum imperator episcopatum Salonitanum habebat.
TraduzioneSentendo ciò l'imperatore Nepote ordinò ad Ecdicio di abbandonare le Gallie e lo chiamò a sé, nominando al suo posto Oreste come comandante dell'esercito. Oreste, assunto il comando dell'esercito, parte da Roma alla volta dei nemici, giunge a Ravenna e qui sostando fa imperatore suo figlio Augustolo. Venuto a conoscenza del fatto, Nepote fugge in Dalmazia e lì si ritira a vita privata, dove già Glicerio, prima imperatore, esercitava il vescovado di Salona.
Note475 d.C. Regno di Glicerio: 473-474 d.C. Regno di Giulio Nepote: 474-475 d.C. (nominalmente fino al 480). Regno di Romolo Augustolo: 475-476 d.C.
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Localizzazione242-243
Testo originale[242] Augustulo vero a patre Oreste in Ravenna imperatore ordinato non multum post Odoacer Torcilingorum rex habens secum Sciros, Herulos diversarumque gentium auxiliarios Italiam occupavit et Orestem interfectum Augustulum filium eius de regno pulsum in Lucullano Campaniae castello exilii poena damnavit. [243] Sic quoque Hesperium Romanae gentis imperium, quod septingentesimo nono urbis conditae anno primus Augustorum Octavianus Augustus tenere coepit, cum hoc Augustulo periit anno decessorum prodecessorumue regni quingentesimo vicesimo secundo, Gothorum dehinc regibus Romam Italiamque tenentibus. Interea Odoacer rex gentium omnem Italiam subiugatam, ut terrorem suum Romanis iniceret, mox initio regni sui Bracilam comitem apud Ravennam occidit regnoque suo confortato pene per tredecem annos usque ad Theodorici praesentiam, de quo in subsequentibus dicturi sumus, obtenuit.
Traduzione[242] Non molto tempo dopo che Augustolo era stato nominato imperatore dal padre in Ravenna, il re dei Turcilingi, Odoacre, che aveva con sé Sciri, Eruli e truppe ausiliarie di genti diverse, occupò l'Italia, uccise Oreste e cacciò dal regno suo figlio Augustolo, condannandolo a vivere in esilio in Campania, nel castello di Lucullo. [243] Così anche l'impero occidentale del popolo romano, che Ottaviano Augusto aveva assunto per primo nell'anno 709 di Roma [44 a.C.], ebbe fine con questo Augustolo dopo 522 anni di successioni: in seguito governarono Roma e l'Italia i re dei Goti. Frattanto Odoacre, re di barbari, occupò tutta l'Italia per incutere terrore ai Romani, poi all'inizio del suo regno uccise a Ravenna il conte Bracila e rafforzatosi nel potere lo conservò per tredici anni fino all'avvento di Teoderico, di cui diremo in seguito.
Note476 d.C. Regno di Romolo Augustolo: 475-476 d.C. Regno di Odoacre: 476-493 d.C.
PASSO
Localizzazione291-293
Testo originale[291] Cumque ei, ut solebat, familiariter facultas fuisset loquendi concessa: «Hesperia», inquid, «plaga, quae dudum decessorum prodecessorumque vestrorum regimine gubernata est, et urbs illa caput orbis et domina quare nunc sub regis Thorcilingorum Rogorumque tyrranide fluctuatur? Dirige me cum gente mea, si praecepis, ut et hic expensarum pondere careas et ibi, si adiutus a domino vicero, fama vestrae pietatis inradiet. Expedit namque, ut ego, qui sum servus vester et filius, si vicero, vobis donantibus regnum illud possedeam; haut ille, quem non nostis, tyrranico iugo senatum vestrum partemque rei publicae captivitatis servitio premat. Ego enim si vicero, vestro dono vestroque munere possedebo; si victus fuero, vestra pietas nihil amittit, immo, ut diximus, lucratur expensas». [292] Quo audito quamvis egrae ferret imperator discessum eius, nolens tamen eum contristare annuit quae poscebat, magnisque ditatum muneribus dimisit a se, senatum populumque ei commendans Romanum. Igitur egressus urbe regia Theodoricus et ad suos revertens omnem gentem Gothorum, qui tamen ei prebuerunt consensum, Hesperiam tendit rectoque itinere per Sirmis ascendit vicina Pannoniae, indeque Venetiarum fines ingressus ad Pontem Sontii nuncupatum castra metatus est. [293] Cumque ibi ad reficienda corpora hominum iumentorumque aliquanto tempore resedisset, Odoacer armatum contra eum direxit exercitum. Quem ille ad campos Veronenses occurrens magno strage delevit castraque soluta finibus Italiae cum potiore audacia intrat, transactoque Pado amne ad Ravennam regiam urbem castra componit tertio fere miliario ab urbe locus, qui appellatur Pineta. Quod cernens Odoacer intus se in urbe communit; indeque subreptive noctu frequenter cum suis egrediens Gothorum exercitum inquietat, et hoc non semel nec iterum, sed frequenter et pene molitur toto triennio.
Traduzione[291] E dopo aver ottenuto, come d'ordinario, la facoltà di parlare familiarmente [Teoderico a Zenone]: «Quell'Italia su cui un tempo regnavano i vostri predecessori», disse, «e quella città, capitale e signora del mondo, perché devono oggi vivere inquiete sotto la tirannide del re dei Turcilingi e dei Rugi? Riordinale mediante il mio popolo, per non sobbarcarti a dispendiose spedizioni. E se, con l'aiuto di Dio, vincerò, la fama della tua benignità risplenderà anche in quelle contrade. Conviene infatti, sempre se sarò vincitore, che, servo tuo e tuo figlio, io le abbia come un tuo dono; non certamente che uno, a te sconosciuto, opprima del suo piede tirannico il tuo senato e tenga una parte dell'impero nell'avvilimento della schiavitù. Vincendo, io avrò ogni cosa per tuo dono e per tuo favore. In caso contrario, la tua benignità non perderà nulla; anzi, si diceva, avrà risparmiato le spese di una spedizione». [292] Richiesta alla quale l'imperatore, per non contristare Teoderico e sebbene molto gli pesasse separarsi da lui, consentì colmandolo di ricchi donativi nel momento del congedo e raccomandandogli il senato e il popolo romano. Teoderico allora lascia la città imperiale[Costantinopoli], ritorna dai suoi e con tutta la nazione dei Goti, che tuttavia gli ha espresso il suo consenso, si dirige verso l'Esperia e con itinerario diretto attraverso Sirmium [Sremska Mitrovica] risale le zone vicine alla Pannonia e di lì entrato nel territorio delle Venezie pone gli accampamenti presso quello che è chiamato ponte dell'Isonzo. [293] Avendo egli lì sostato alquanto tempo per far riposare uomini e cavalli, spinse contro di lui un esercito in armi Odoacre. Teoderico, affrontandolo ai Campi di Verona, ne fece grande strage e, tolto l'accampamento, con più sicurezza penetra nel territorio d'Italia e, attraversato il Po, si accampa presso la sede imperiale di Ravenna, in un luogo a circa tre miglia [ca. 4,5 km] dalla città chiamato “Pineta”. Odoacre, vedendo questo, si chiude in città e di qui, furtivamente di notte, uscendo più volte con i suoi, cerca di molestare l'esercito dei Goti, e questo fa non una volta o due, ma spesso e vi si impegna per quasi un intero triennio.
Note489-490 d.C. Regno di Teoderico sugli Ostrogoti: 474-526 d.C. Regno di Odoacre: 476-493 d.C. Regno di Zenone in Oriente: 474-475 e 476-491 d.C.
PASSO
Localizzazione294-295
Testo originale[294] Sed frustra laborat, quia cuncta Italia dominum iam dicebat Theodoricum et illius ad nutum res illa publica obsecundabat. Tantum ille solus cum paucis satellitibus et Romanos, qui aderant, et fame et bello cotidie intra Ravennam laborabat. Quod dum nihil proficeret, missa legatione veniam supplicat. [295] Cui et primum concedens Theodoricus postmodum ab hac luce privavit tertioque, ut diximus, anno ingressus sui in Italia Zenonemque imp. consultu privatum abitum suaeque gentis vestitum seponens insigne regio amictu, quasi iam Gothorum Romanorumque regnator, adsumit missaque legatione ad Lodoin Francorum regem filiam eius Audefledam sibi in matrimonio petit.
Traduzione[294] Ma si affatica invano, dato che ormai tutta quanta l'Italia chiamava sovrano Teoderico e al suo volere obbediva quello stato. Soltanto lui con pochi fidi e con i Romani che si trovavano lì soffriva ogni giorno la fame e la guerra. Siccome non veniva a capo di nulla, inviata un'ambasceria, domanda grazia. [295] In un primo tempo Teoderico gliela concesse, poi lo privò della vita e, come abbiamo detto, nel terzo anno del suo ingresso in Italia, con l'approvazione dell'imperatore Zenone, deponendo l'abito da privato e l'abbigliamento della sua gente, indossa le insegne regali, ormai come re dei Goti e dei Romani, e manda un'ambasceria al re dei Franchi, Lodoin [Clodoveo], per chiedere in sposa sua figlia Audefleda.
Note493 d.C. Regno di Teoderico sugli Ostrogoti: 474-526 d.C. Regno di Odoacre: 476-493 d.C. Regno di Zenone in Oriente: 474-475 e 476-491 d.C. Regno di Clodoveo sui Franchi: ca. 481-511 d.C.; probabilmente Audefleda era la sorella.
PASSO
Localizzazione304-306
Testo originale[304] Sed postquam ad senium pervenisset et se in brevi ab hac luce egressurum cognusceret, convocans Gothos comites gentisque suae primates Athalaricum infantulum adhuc vix decennem, filium filiae suae Amalasuenthae, qui Eutharico patre orbatus erat, regem constituit, eisque in mandatis ac si testamentali voce denuntians, ut regem colerent, senatum populumque Romanum amarent principemque Orientalem placatum semper propitiumque haberent post Deum. [305] Quod praeceptum quamdiu Athalaricus rex eiusque mater adviverent, in omnibus custodientes pene per octo annos in pace regnarunt: quamvis Francis de regno puerili desperantibus, immo in contemptu habentibus bellaque parare molientibus quod pater et avus Gallias occupasset, eis concessit. Cetera in pace et tranquillitate possessa. Dum ergo ad spem iuventutis Athalaricus accederet, tam suam aduliscentiam quam matris viduitatem Orientis principi commendavit, sed in brevi infelicissimus inmatura morte praeventus, rebus humanis excessit. [306] Tum mater, ne pro sexus sui fragilitate a Gothis sperneretur, secum deliberans, Theodahadum consubrinum suum germanitatis gratia accersitum a Tuscia, ubi privatam vitam degens in laribus propriis erat, in regno locavit. Qui inmemor consanguinitatis post aliquantum tempus a palatio Ravennate abstractam in insulam laci Bulsiniensis eam exilio religavit, ubi paucissimos dies in tristitia degens ab eius satellitibus in balneo strangulata est.
Traduzione[304] Quando [Teoderico] giunse a vecchiaia e si rese conto che presto avrebbe lasciato questa vita, convocò i conti dei Goti e i più influenti del suo popolo e nominò re il piccolo Atalarico, appena decenne, figlio di sua figlia Amalasunta, che era orfano del padre Eutarico: poi, come pronunciando le parole di un testamento, raccomandò ai presenti che rispettassero il re, amassero il senato e il popolo romano e conservassero l'imperatore d'Oriente sempre in pace con loro e a loro propizio dopo Dio. [305] Rispettando in tutto queste raccomandazioni per otto anni, finché vivevano insieme Atalarico e sua madre, regnarono in pace: se non che si fecero concessioni ai Franchi, i quali, non fidandosi del regno di un ragazzo e disprezzandolo, stavano preparando una guerra perché il padre e l'avo avevano occupato le Gallie. Per tutto il resto il dominio fu tranquillo. Atalarico dunque, finché potesse giungere alle speranze della giovinezza, raccomandò la propria adolescenza e la vedovanza della madre all'imperatore d'Oriente, ma in breve, disgraziatissimo, colto da morte immatura, lasciò questo mondo. [306] Allora la madre, per non essere disprezzata dai Goti per la debolezza del suo sesso, riflettendo tra sé, in virtù della parentela manda a chiamare dalla Toscana il cugino Teodato, che là conduceva vita privata in casa propria, e lo mette sul trono. Questi, dimentico dei vincoli di sangue, dopo un certo tempo la manda via dalla corte di Ravenna e la relega in esilio in un'isola del lago di Bolsena, dove dopo pochissimi giorni di triste esistenza venne strangolata nel bagno dagli sgherri di quello.
Note526-535 d.C. Regno di Teoderico sugli Ostrogoti: 474-526 d.C. Regno di Atalarico: 526-534 d.C. Regno di Teodato: 534-536 d.C.
PASSO
Localizzazione307-311
Testo originale[307] Quod dum Iustinianus imperator Orientalis audisset et quasi susceptorum suorum morte ad suam iniuriam redundaret, sic est commotus. Eodem namque tempore de Africa Vandalicum cum per fidelissimum suum patricium Belesarium reportasset triumphum, nec mora in ipso tempore madentibus adhuc armis cruore Vandalico contra Gothos per eundem ducem movit procinctum. [308] Qui dux providentissimus haud secus arbitratus Getarum subicere populum, nisi prius nutricem eorum occupasset Siciliam. quod et factum est. Trinacriaque ingressus mox Gothi, qui Syracusanum oppidum insidebant, videntes se nihil praevalere cum suo duce Sinderith ultro se Belesario dediderunt. Cumque ergo Romanus ductur Siciliam pervasisset, Theodahadus comperiens Evermud generum suum cum exercitu ad fretum, quod inter Campaniam Siciliamque interiacet et de Tyrreni maris sinu vastissimum Adriaticus aestus evolvitur, custodiendum direxit. [309] Ubi cum Evermud accessisset Regium oppidum, castra composuit. Nec mora deterioratam causam cernens suorum ad partes victoris paucis et fidelissimis famulis consciis movit, ultroque se Belesarii pedes advolvens Romani regni optat servire principibus. Quod Gothorum exercitus sentiens suspectum Theodahadum clamitat regno pellendum et sibi ductorem suum Vitiges, qui armiger eius fuerat, in rege levandum. [310] Quod et factum est; et mox in campos Barbaricos Vitiges in regno levatus Romam ingreditur praemissisque Ravenna fidelissimis sibi viris Theodahadi necem demandat. Qui venientes imperata sibi perficiunt et occiso Theodahado regem qui a rege missus adveniebat (et adhuc in campos Barbaricos erat Vitigis) populis nuntiat. [311] Inter haec Romanus exercitus emenso freto Campaniam accedens, subversumque Neapolim Romae ingreditur; unde ante paucos dies rex Vitigis egressus, Ravenna profectus, Mathesuentham filiam Amalasuenthae Theodorici quondam regis neptem sibi in matrimonio sociarat. Cumque his novis nuptiis delectatus aulam regiam fovit Ravenna, Roma egressus imperialis exercitus munita utriusque Tusciae loca invadit. Quod cernens per nuntios Vitiges, cum Hunila duce Gothorum manu armis conserta mittit Perusia.
Traduzione[307] Quando Giustiniano, imperatore d'Oriente, venne a sapere i fatti, come se risultasse a sua offesa la morte dei suoi protetti, fu molto turbato. Allora immediatamente, siccome per mezzo del suo fedelissimo patrizio Belisario aveva trionfato sui Vandali in Africa, senza indugio, con le armi ancora bagnate del sangue dei Vandali mandò lo stesso condottiero in assetto di guerra contro i Goti. Questo accortissimo condottiero, ritenendo di non poter sottomettere il popolo dei Goti se non avesse prima occupato la Sicilia, loro centro vitale, provvide a questo. [308] Quando entrò in Sicilia, subito i Goti che occupavano la città di Siracusa, vedendo di non poter assolutamente prevalere, spontaneamente col loro capo Sinderith si arresero a Belisario. Quando il generale romano ebbe attraversato la Sicilia, Teodato, venutone a conoscenza, inviò suo genero Evermud con un esercito a presidiare lo stretto che si trova fra Campania e Sicilia, dove dal vastissimo golfo del mare Tirreno si incanala la corrente del mare Adriatico. [309] Evermud, avvicinatosi alla città di Reggio, pose gli accampamenti. Immediatamente, vedendo deteriorata la causa dei suoi, con pochi e fidatissimi suoi servi conniventi passa dalla parte del vincitore e strisciando ai piedi di Belisario esprime il desiderio di servire i sovrani dell'Impero Romano. Sentendo ciò l'esercito dei Goti dice a gran voce che bisogna cacciare dal trono il sospetto Teodato e che deve essere proclamato re il proprio condottiero Vitige, il quale era stato suo scudiero. [310] E così fu fatto. E tosto Vitige, innalzato al trono nel campo barbarico, entra in Roma, e mandati avanti a Ravenna alcuni suoi fidi, ordina l'uccisione di Teodato. Quelli arrivando eseguono l'ordine e, ucciso Teodato, colui che stava arrivando come inviato dal re (mentre Vitige era ancora nel campo barbarico) annuncia al popolo chi è il nuovo re. [311] Frattanto l'esercito romano, attraversato lo stretto, entra in Campania e, sconvolta Napoli, entra in Roma, da dove pochi giorni prima era uscito il re Vitige; questi, partito per Ravenna, aveva preso in moglie Matasunta, figlia di Amalasunta e nipote del defunto re Teoderico. Mentre se ne sta nel palazzo reale di Ravenna a godere questo nuovo matrimonio, l'esercito imperiale esce da Roma e attacca le posizioni fortificate delle due Toscane. Vitige, di ciò informato dai messaggeri, manda a Perugia un reparto gotico armato al comando di Unila.
Note535-536 d.C. Regno di Teodato: 534-536 d.C. Regno di Vitige: 536-540 d.C. Regno di Giustiniano: 527-565 d.C.
PASSO
Localizzazione312-313
Testo originale[312] Ubi dum Magnum comitem cum parvo exercitu residentem obsessione longa evellere cupiunt, superveniente Romano exercitu ipsi evulsi et omnino extincti sunt. Quod audiens Vitiges ut leo furibundus omnem Gothorum exercitum congregat Ravennaque egressus Romanas arces obsidione longa fatigat. Sed frustrata eius audacia post quattuordecim menses ab obsidione Romanae urbis aufugit et se ad Ariminensem oppressionem praeparat. [313] Unde pari tenore frustratus fugatusque Ravenna se recepit; ubi obsessus nec mora ultro se ad partes dedit victoris cum Mathesuentha iugale regiasque opes. Et sic famosum regnum fortissimamque gentem diuque regnantem tandem pene duomillensimo et tricesimo anno victor gentium diversarum Iustinianus imperator per fidelissimum consulem vicit Belesarium, et perductum Vitiges Constantinopolim patricii honore donavit. Ubi plus biennio demoratus imperatorisque in affectu coniunctus rebus excessit humanis.
Traduzione[312] Là [a Perugia] con un lungo assedio cercano di scacciare il conte Magno, che vi risiede con scarso presidio militare, ma all'arrivo dell'esercito romano i Goti stessi vengono respinti e del tutto sterminati. All'udire ciò Vitige, come un leone furibondo, raduna tutto l'esercito dei Goti, esce da Ravenna e va a porre un lungo assedio ai colli di Roma. Ma la sua audacia non ha successo: dopo quattordici mesi si ritira dall'assedio di Roma e si prepara ad attaccare Rimini. [313] Di là con uguale insuccesso fu messo in fuga e si ritirò in Ravenna, dove fu stretto d'assedio. Allora senza altro indugio spontaneamente si consegnò al vincitore con la moglie Matasunta e con i tesori reali. Così Giustiniano, già vincitore dì tanti popoli, per mezzo del fedelissimo console Belisario vinse un regno glorioso e un popolo valorosissimo che aveva regnato per quasi 2030 anni; a Vitige, condotto a Costantinopoli, diede il titolo di patrizio. Dove moriva, dopo essere vissuto per due anni nel favore imperiale.
Note537-540 d.C. Regno di Vitige: 536-540 d.C.: la sua morte è da collocare al 542 d.C. Regno di Giustiniano: 527-565 d.C.
COMPILAZIONE
COMPILAZIONE
Data2012
NomeAssorati G.
AGGIORNAMENTO – REVISIONE
Data2021
NomeParisini S.

ultima modifica: 22/01/2021
fonte

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