Museo Arcivescovile
Piazza Arcivescovado, 1
Ravenna
marmo/ scolpitura
scultura
ambito romano
secc. I d.C./ II d.C. (90 - 110)
cm 77 (a) 86 (la) 14 (s)
Una coppia di amorini è disposta ai lati di un vaso di vimini intrecciati posto su un basamento. Il vaso è ricolmo di frutti (uva, melograni, ..). Il putto alato di destra indossa un mantello fermato sulla spalla destra che ricade sulla spalla sinistra e sul retro. Con la mano sinistra (parzialmente scheggiata) regge altri frutti. Il putto sinistro, di profilo, protende entrambe le braccia verso il canestro. Boccoli ricciuti ricadono sulla nuca. Sullo sfondo, entro la cornice, si staglia un fondale architettonico costituito da una trabeazione modanata sorretta da pilastrini scanalati con capitellini corinzi. I pilastrini, a loro volta, poggiano su uno zoccolo. In basso la cornice si ampia per fungere da appoggio per i due putti e il vaso.

Viene tradizionalmente chiamato Trono di Cerere per la presenza del vaso colmo di frutti allusivo a tale deità pagana (legata alla terra). Il frammento è stato messo in relazione con altri oggetti simili, sia per iconografia che per dimensioni e struttura, presenti nel presbiterio della chiesa di S. Vitale a Ravenna, nel museo archeologico di Venezia, al Louvre di Parigi, agli Uffizi di Firenze e nel battistero di Biella. Dal punto di vista iconologico la presenza dei troni vuoti e il trasporto degli attributi da parte degli eroti indica un momento di attesa, una preparazione alle epifanie divine e rivela una certa reticenza alla rappresentazione iconica delle divinità, sentite come entità metafisiche, in una sorta di movimento iconoclasta ante litteram. Questo frammento, unitamente ai troni delle altre divinità pagane, doveva probabilmente fare parte di un fregio romano e formare un complesso ospitato all'interno di un ambiente, di cui, però, è impossibile ipotizzare l'ampiezza e l'aspetto. Data la prospettiva dal basso si può solo immaginare che fossero collocati sopra di uno zoccolo, ad una certa altezza, mentre gli eroti, in primo piano, si muovono quasi come se fossero su di un palcoscenico. E' presumibile, data la buon qualità dell'oggetto legato al filone della produzione neoattica, che sia stato lavorato in un'officina romana (ateliers neo-attici), poi trasportato a Ravenna, a dimostrazione del fatto che la città doveva possedere monumenti religiosi di particolare impegno e decoro artistico; si può pertanto ipotizzare una committenza imperiale del complesso di cui il pezzo in questione doveva fare parte. Il Beschi sottolinea la connessione tra trono vuoto e culto imperiale.

Il rilievo è noto nel collezionismo ravennate solamente dal XVIII secolo, tuttavia questo oggetto doveva già essere visibile nel '400 poichè Donatello riprese lo schema dei 2 putti ai lati di un cesto colmo di frutti autunnali per la cantoria di S. Maria del Fiore a Firenze (1433-1438). Gli eroti di questo oggetto e di altre lastre simili sono stati tra i più incisivi e importanti modelli per la formazione e la diffusione del "putto" nell'arte rinascimentale italiana. Comunque, a sua volta, il motivo dei putti è ripreso dalla tradizione ellenistica.