Museo Civico di Modena
Largo Porta S.Agostino, 337
Modena (MO)
Ceruti Giacomo
1698/ 1767
dipinto

tela/ pittura a olio
cm 64,5 (la) 82 (a)
sec. XVIII (1736 - 1739)
n. 160
Insieme ad altri tre dipinti tuttora conservati nel Museo Civico (nn. 154, 115, 170), venne acquistato da Matteo Campori all’asta giudiziaria dei beni di proprietà Ragni di Reggio Emilia. Sempre riferito al Todeschini, venne riconosciuto come opera di Ceruti da Gabriella Guandalini in occasione della mostra del 1980. L’attribuzione, avallata da Volpe, è stata poi accolta da Mina Gregori (1982) e il dipinto ha figurato all’importante rassegna che la città di Brescia ha dedicato al pittore nel 1987. Quanto alla datazione, mentre la Guandalini, nell’intento di giustificare la precedente attribuzione del dipinto, lo considerava un’opera giovanile, Mina Gregori lo ha ricollegato agli inoltrati anni trenta, allorché Ceruti risiede a Venezia e, dal 1736, lavora per il maresciallo Matthias von Schulenburg. Il dipinto si affianca così ad altri, come i Tre pitocchi della collezione Thyssen di Madrid e l’Uomo col boccale dell’Accademia Tadini di Lovere, dove il pittore persegue una nuova ricerca cromatica e un’inedita preziosità formale, senza peraltro rinunciare alla consueta indagine naturalistica. Sui caratteri di tale presa diretta sul reale, focalizzata sulla vita degli umili e dei diseredati, valgono ora le considerazioni di A. Morandotti (1996, p. 184), volte a leggere tali raffigurazioni come “vedute della realtà sociale contemporanea, eseguite in un momento storico in cui la povertà e l’emarginazione costituivano fattori determinanti — in tutta Europa — nella vita quotidiana delle città e delle campagne; documenti vivi, che ci introducono nel clima di quegli anni, ma non vogliono tanto invitar alle riforme [...] quanto ritrarre con sensibilità e moderato ottimismo la realtà degli emarginati, talvolta registrando i benefici che ai poveri erano offerti dalla solidarietà assistenziale”. Di questo atteggiamento nei confronti della realtà degli umili, legato più all’assistenzialismo della società di antico regime che non al riformismo dell’epoca dei lumi, il nostro Portarolo, che si affaccia entro il riquadro della tela sorridente e lindo nei suoi stracci, può costituire un valido manifesto.