Teatro polivalente dell'Accademia di Belle Arti
via Irnerio
Bologna (BO)
Vignoli Farpi progetto
1907/ 1997
Bega Melchiorre progetto
1898/ 1978

Genio civile (direzione lavori)


Notizie storiche: progetto e costruzione
I due edifici fanno parte del complesso di attrezzature a servizio delle attività didattiche dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Il primo si affaccia su via Irnerio, prendendo posto tra i palazzi storici che ospitano alcuni dipartimenti dell’Università di Bologna; il secondo invece presenta l’accesso su via Irnerio, ma si colloca all’interno dell’isolato, cinto dai restanti edifici dell’Accademia collocati sul perimetro, in posizione centrale rispetto all’intero complesso unversitario.
Il progetto è il prodotto di una collaborazione tra l’architetto Melchiorre Bega e lo scultore Farpi Vignoli, allora docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna. L’edificio funge da laboratorio del corso di Scenografia, permettendo agli studenti di produrre delle prove “a misura di palcoscenico” da sottoporre al giudizio di un vero e proprio pubblico. Il teatro viene progettato per ospitare 350 posti ma, a causa della sua travagliata storia costruttiva, i lavori si bloccano prima della realizzazione dell’interno, a copertura e involucro esterno ultimati.
Il blocco che si attesta su via Irnerio si compone di due volumi prismatici aggettanti l’uno sull’altro.
Al movimento della struttura imposto da questi volumi contribuisce anche la forma dei pilastri visibili in facciata, che partono a filo della struttura, per poi espandersi linearmente verso l’esterno all’altezza dell’aggetto del primo piano e, superato l’elemento orizzontale, proseguono a sezione rettangolare fino al livello successivo, in cui tornano ad ampliarsi fino ad essere interrotti da una larga fascia di blocchi squadrati. A partire da quest’ultima, i pilastri si restringono gradualmente accompagnando l’edificio verso la chiusura superiore della facciata.
Quest’ultima si presenta totalmente smaterializzata dalle ampie vetrate al piano terra, mentre si assiste ad una sua graduale densificazione man mano che si sale in altezza: al primo piano le grandi vetrate appaiono incorniciate da due fasce, basamentale e sommitale. Al secondo piano il muro appare maggiormente compatto e le finestre assumono una dimensione inferiore. Un’ultima porzione vetrata conclude superiormente il prospetto, in simmetria orizzontale con il piano terra. La struttura risulta chiaramente leggibile anche ai lati, dove spicca la grande trave del piano terra.
Il blocco più interno è costituito da un parallelepipedo su cui s’innesta un secondo volume che spicca da qualunque angolazione si osservi l’edificio per il modo in cui è articolato.
Anche se non terminato, l’interno restituisce la spazialità pensata dai progettisti che si manifesta in modo evidente anche nell’involucro e soprattutto nella copertura, conformata come il negativo dello spazio che delimita. Essa descrive un volume di forma irregolare, simmetrico rispetto al centro, composto da tre blocchi prismatici a base trapezoidale incastrati l’uno nell’altro. Dei tre prismi, quello situato all’estremità destra si inserisce nel volume adiacente, con una base impostata sulla forma dell’ ottagono irregolare. Il movimento impresso dalla geometria variabile della base alle pareti laterali, trova una sua continuità nel disegno delle falde che vengono caratterizzate da pendenze diverse, in un gioco di altezze simile a quello utilizzato dallo stesso Bega per la chiesa di San Giovanni Battista.
La copertura è costituita da pannelli in rame, le cui giunzioni rigano sia la superficie laterale sia quella superiore, adattandosi alla geometria irregolare dell’involucro e connotano la struttura di un motivo ordinato e, allo stesso tempo, dinamico.



fonte: Matteo Sintini, Margherita Merendino - Mibact - Architetture del secondo '900