Museo Interreligioso di Bertinoro
Via Frangipane, 6
Bertinoro (FC)
Tipografia Belforte, Livorno
Haggadà sel Pesach

carta/ xilografia/ stampa
cm. 15.5 (la) 22.5 (a) 22 (p)
sec. XIX (1831 - 1832)
n. 161
Il 15 del mese di Nissan, secondo il calendario lunare ebraico, cade Pesach, la Pasqua ebraica, la prima delle tre grandi feste liete, dette Shalosh regalim. In terra d'Israel Pesach (sacrificio), dura sette giorni, mentre nella Diaspora otto. Questa espressione, che significa tre volte, indicava, al tempo del Santuario di Gerusalemme, l'obbligo di presentarsi nella città santa tre volte l'anno in occasione delle ricorrenze della Festa delle Azzime (la Pasqua), delle Settimane (Shavuot) e delle Capanne (Sukkot). Durante la festa di Pasqua, il popolo ebraico ricorda la miracolosa liberazione dalla schiavitù dell'Egitto: questo evento pose le basi per la promulgazione della Legge divina, e per la consegna delle Tavole a Mosè sul Sinai. Dio strinse allora il proprio patto con il popolo d'Israele, che divenne il popolo eletto. Prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme, Chag Hamatzot (Festa delle Azzime), si svolgeva nella stagione di raccolta dei primi cereali: dopo il sacrificio, Pesach appunto, che dava inizio alle celebrazioni, nel secondo giorno di festa, era d'obbligo portare al Tempio un omer, una misura d'orzo del nuovo raccolto; dopo questa offerta era possibile cibarsi dei cereali prodotti nella nuova stagione. In ricordo della frettolosa fuga degli Ebrei dall'Egitto, tanto da non avere la possibilità di fare lievitare il pane, la norma biblica proibisce il consumo ed il possesso di qualsiasi alimento fermentato o lievitato: nei giorni, che precedono la Pasqua, le abitazioni degli Ebrei sono oggetto di una radicale pulizia, al fine di eliminare anche il più piccolo frammento di lievito.
La cena pasquale si svolge secondo il Seder di Pesach, l'Ordine di Pasqua, che prevede la consumazione dei pani azzimi, a testimoniare la durezza della schiavitù in Egitto e la difficile conquista della libertà, erbe amare (maror), ad indicare l'amarezza della condizione di schiavi, ed infine il charoset, un impasto di frutta e vino, per ricordare la malta impastata per fabbricare i mattoni del Faraone. Il rito si apre con la benedizione del capo-famiglia sul vino, di cui i commensali bevono un primo sorso. Durante la cena di Pasqua, tutti i commensali sono tenuti a bere almeno quattro calici di vino in ricordo della quattro promesse pronunciate da dio a Mosè sul Sinai: "Io vi farò uscire dal paese d'Egitto, vi libererò dalla schiavitù, vi salverò con il braccio teso, vi prenderò come mio popolo".
Dopo avere intinto le erbe amare nell'acqua salata o nell'aceto ed avere suddiviso i pani azzimi tra i commensali, il capo-famiglia apre la lettura dialogata della narrazione per eccellenza, l'Haggadàh, testo composto da passi dell'Esodo, delle omelia rabbiniche, della Mishnàh e dei Salmi. Il padre di famiglia prendendo un pezzo di pane azzimo dice: "Ecco il pane di miseria che i nostri padri hanno mangiato nel paese d'Egitto [.]". A questo punto il figlio più giovane della famiglia rivolge al padre la seguente domanda: "Perché questa notte è diversa dalle altre? [.]".Il padre risponde narrando della schiavitù e della liberazione dell'Egitto, secondo quanto narrato dall'Esodo. Il momento della lettura dell'Haggadah svolge un ruolo fondamentale nella formazione dei giovani fedeli, che in questo modo hanno la possibilità di imparare la memoria del proprio popolo prima di raggiungere la maggiorità religiosa. Essendo destinata anche ai bambini, spesso le Haggadot sono decorate con raffinate xilografie raffiguranti le dieci piaghe d'Egitto o il sacrificio d'Isacco, come nell'esemplare, datato 1852 e stampato a Livorno, conservato presso il Museo Interreligioso di Bertinoro. La memoria, dunque, intesa come coscienza profonda del significato degli eventi che hanno portato il popolo di Abramo ad essere il popolo eletto, è una costante del mondo e della cultura ebraica. In tal senso Martin Buber nel 1938 scrisse: "Noi ebrei siamo una comunità basata sul ricordo. Il comune ricordo ci ha tenuti uniti e ci ha permesso di sopravvivere. Questo [.] vuol dire che da una generazione all'altra viene trasmesso un ricordo la cui portata aumenta sempre più - si accresce costantemente per nuovi fatti accaduti o per nuove emozioni - e che si realizza in modo quasi organico. Questo ricordo è stato una forza che ha sostenuto, nutrito ed animato la stessa esistenza ebraica. [.] Proprio la forza della nostra memoria ebraica collettiva costituisce la vero origine della nostra storia particolare. Poiché il cuore di questa storia non è fatto di eventi oggettivi, ma dalla successione dei nostri essenziali atteggiamenti di fronte a questi eventi, e questi eventi sono il prodotto di una memoria collettiva".