MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna
Via Don Giovanni Minzoni, 14
Bologna (BO)
Romiti Sergio
1928/ 1999
dipinto
tela/ pittura a olio
cm 120 (la) 85 (a)
sec. XX (1952 - 1953)
n. 3253

Nato a Bologna nel 1928, Romiti comincia a dipingere alla fine degli anni Quaranta quando espone, ventunenne, in compagnia di Sergio Vacchi e Duilio Barnabè in una collettiva alla Galleria del Secolo di Roma. Pittore concentrato, solitario, travolto da un intento d’arte e da un'idealità troppo alte e irraggiungibili, si rivela una delle voci della pittura italiana del Novecento tra le più sapienti e sottili, silenziosa e schiva, e per questo più ardua da collocare nella storia dell’arte ufficiale. Rimane alla ribalta della scena artistica italiana partecipando a tutte le Biennali d’Arte Contemporanea di Venezia degli anni ’50 fino al 1965, anno in cui decide di smettere di dipingere. Non riuscirà a mantenersi coerente col suo intento e riprenderà con produzioni numericamente inferiori, portando alle estreme conseguenze il suo percorso artistico già profilato e concettualmente concluso nel 1965. Senza essersi mai allontanato alla sua città natale se non brevemente e aver condotto una vita appartata e solitaria, decide di porre termine alla sua vita il 12 marzo 2000.
Partito da un neo-picassismo personalissimo (primi anni ’50), Romiti risente del codice espressivo e poetico del suo concittadino Giorgio Morandi. Nel 1954 sulla rivista Paragone il critico d'arte Arcangeli include - impropriamente - il nostro fra gli Ultimi Naturalisti. Pittore di difficile interpretazione lo si può situare a metà fra Morandi e l’informale o - come lui amava ripetere - a metà fra Morandi e Paco Rabanne. Infatti la sua arte utilizza la metafora dell’oggetto come pretesto: l’oggetto d’osservazione è riproposto nelle opere filtrato da una dimensione mentale che ha la meglio su ciò che è considerato punto di partenza. L’oggetto riproposto è come distillato e presentato con un profumo acido, che rende sinesteticamente l’attacco dissolvente perpetrato all’oggetto. Attacco che si rivelerà sistematico a partire dal 1955. Precedente a tale data la scansione mentale e strutturale delle sue opere è molto forte. In seguito, la struttura si perde, la distinzione oggetto-sfondo inizia a essere meno netta, la carcassa oggettuale va allargandosi e distillandosi. La sottrazione, oltre all’oggetto, inizia a riguardare anche i colori: dai rossi delle macellerie del 1948-1949, ai blu e verdoni delle cucine con mensole, dei tavoli e in seguito delle stirerie, si approda nel 1960 al bianco nero, scelta coerentemente portata avanti fino al 1965, anno in cui le pezze cromatiche, le campiture, sono praticamente nere e le rade brisures di luce - di un bigio sommesso - interrompono il percorso di un tunnel dentro cui è irreversibilmente entrato l’artista. Ora l’oggetto è riassorbito dallo sfondo, dall’oggetto si è passati al nulla, le morbide pennellate sono portatrici di un ph basso. È il percorso che nel contempo stanno portando avanti in ambito letterario Ungaretti e Montale, scrittore, quest’ultimo, che definirà la pittura di Romiti riconoscibile fra mille. E’ ora che l’artista smetta di dipingere perché considera di essersi avvicinato al grado zero del suo percorso poetico e al contempo di avere raggiunto il massimo grado a lui possibile di espressività. Incapace di rimanere lontano dalla pittura, vi si riaccosta in punta di piedi cercando di proseguire sui binari interrotti nel 1965. Ma il percorso creativo, già fondamentalmente terminato, giunge al capolinea nel 1975. Del 1976 è l’importante retrospettiva di Romiti a Bologna curata da Maurizio Calvesi. Dopo tale data, frustrato da una vita senza più scopo artistico, l’ordito delle sue tele va in frantumi, esprime confusione, violenza gestuale, una burrasca emotiva amara che si conclude intenzionalmente nel 2000 con la vita dell’artista. Nel 2006 la Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna ha organizzato una retrospettiva sull’artista, proponendo anche opere grafiche inedite.