Museo d'Arte Cinese ed Etnografico
Viale S. Martino, 8
Parma
avorio
cm 117 (a) 35,5 (la) 48 (l)
1573-1619
n. cn00618-624
Il modellino - realizzato per la devozione privata - è diviso in tre parti: un basamento a gradini (5 gradini, decorati con draghi e racemi; una fascia a lati tondi e altri 4 gradini); il tempietto propriamente detto ed il tetto. Al centro, dietro una porta a due ante apribili è collocato un Buddha, assiso su un fior di loto, posto su un trono ottagonale. Una mano mostra il segno dell'abhayamudra ("non abbiate paura"): è alzata e aperta con palmo rivolto all'esterno. L'altra mano poggia sulla gamba.Il tetto, a piastrelle, è costituito da grossi costoni tondeggianti ed un doppio frontespizio rettangolare sulla parte frontale. Il tempietto consta in tutto di 24 pannelli, visibili sull'esterno, divisi da colonne ornate di medaglioni con animali vari ed un bambino. L'interno è diviso in complessivi 22 pannelli (sei sulle due ante delle porte apribili e otto ciascuno sui due lati) con scene di luohan. Dallo stipite della porta pende una fine cortina con due apsara.

I luohan (arhāt in sanscrito) sono un gruppo di cinquecento esponenti eminenti del buddhismo hinayāna (del piccolo veicolo).Possono venir raffigurati in cicli iconografici che ne contemplano un sottoinsieme (di solito diciotto) sino a tutti e cinquecento, come nei cento pannelli dipinti da Zhou Jichang e Lin Tinggui (1178). Quelli illustrati sul tempietto sono il I (in atto di leggere), il VII (tiene in mano uno scacciamosche); il VIII (è guardato da un leone); il X (ha ricevuto da un dragone un messaggio celeste che un discepolo gli sta leggendo); l'XI (di profilo, sta guardando una tigre); il XIII (contempla dei fiori di loto posti in un vaso); Il XIV (sta ricevendo la visita del dio delle acque); il XV (sta ricevendo la visita di due dragoni). Due altri pannelli rappresentano Ahvagesha Maming, XII patriarca del buddismo occidentale, personaggio femminile e Hui Neng, patriarca della setta cinese Chan.Questo modellino di tempio proviene da Kobe (Giappone), dove fu acquistato, presso un antiquario, nel 1957 dal p. Cavalca Martino per 3 milioni di lire. L'intenzione era quella di rivenderlo in Italia e farci qualche guadagno per le opere della missione del Giappone. Fatto arrivare in Italia, sembrò un peccato venderlo e fu messo nel Museo, per iniziativa del Padre Generale, Giovanni Castelli, che dette al p. Cavalca cinque milioni di lire. Il pezzo, dalla Cina, era finito in Giappone dove, un certo Ikeda, come si evince da una iscrizione posta sul basamento, dovette procedere ad ampi restauri, aggiunte di pezzi mancanti ed adattamenti, che lo facessero assomigliare ad un tempietto giapponese (cfr. ARCHIVIO, "Museo: informazioni"; foglietto volante verde). L'analisi stilistica rivela le parti originali, cinesi, risalenti alla dinastia Ming e le aggiunte, giapponesi, risalenti al sec. XIX o XX.