Museo del Tibet
Loc. Votigno di Canossa
Canossa
Tibet
fibra vegetale/ cotone pittura
cm 120 (a) 64 (la)
sec. XX
Thangka raffigurante Bhaishajyaguru Vaiduryaprabha, il Buddha della Medicina. Splendida la montatura, a tre fasce concentriche, in seta cinese, con decorazioni a medaglioni costituiti dal carattere cinese shou [longevità].

religiosa
Sotto un firmamento in cui sole e luna sono compresenti, sopra un paesaggio montano, con cime sempre meno scoscese man mano che ci si avvicina al primo piano, discende il Buddha della Medicina, circondato da otto Buddha e due attendenti. Il Buddha più arretrato, che nella resa prospettica risulta quello superiore, è seguito da un quadruplice nappo.Gli otto Buddha atteggiano le mani in tre mudrā differenti: della "messa in moto della legge", della "chiamata a testimonianza della Terra", del "non aver paura".Un offerente, nella parte inferiore del dipinto, offre doni all'epifania divina.

Donata dal Dalai Lama in occasione della sua visita alla Casa del Tibet il 25 ottobre 1999.Il thangkaIl thangka (in tibetano 'than' - 'ka' significa "dipinto piatto") è un rotolo verticale, dipinto (bris-than) o tessuto (gos-than), da appendere in contesti religiosi, come la sala della venerazione in un monastero buddhista, o in residenze private, o ancora presso altari di famiglia. Può anche essere portato in processione dai lama. Esistono anche thangka orizzontali, influenzati dal format del rotolo orizzontale cinese. L'aristocrazia usava tenere in serbo diversi thangka come beni di famiglia da passare in eredità. Anche i laici commissionavano thangka a fini religiosi o per commemorare un matrimonio, un genetliaco, il capodanno. Il dipinto funge da supporto da meditazione: il maestro ad esempio chiede all'allievo di visualizzarsi come una figura specifica in un ambiente specifico. Il thangka funziona quindi come diagramma di riferimento per i dettagli della postura, dell'attitudine, del colore, dell'abbigliamento. Sostituisce, in maniera immediata, una fonte letteraria che riporti i medesimi dettagli. Lo sfondo può essere dorato, rosso, nero, a contorni stampati e poi ritoccati a mano, oppure a vari colori.Per la realizzazione di un thangka, una pezza di cotone viene tesa da un'intelaiatura lignea e poi trattata sul verso e sul recto con una pasta gessosa (a base di colla e di ossido di zinco). La superficie viene poi polita con una pietra o una conchiglia. L'artista traccia otto linee d'orientamento (una centrale perpendicolare, due diagonali, una orizzontale e quattro esterne). I personaggi vengono abbozzati con carbone o grafite secondo precisi principi iconometrici, debitamente canonizzati dai manuali iconografici. Vengono resi secondo la prospettiva dimensionale, per cui al personaggio più importante sono riservate dimensioni maggiori nonché la posizione centrale.La tavolozza prevede sette colori "padre" (blu scuro, verde, vermiglio, arancio chiaro, marrone, giallo e indaco). Il colore "madre" è il bianco. Le sfumature sono così "i colori figli".La stesura del colore procede dalla periferia al centro.Le ombre portate sono ignorate dall'arte tibetano.Per staccare le figure dal fondo, l'artista può ripassare i contorni con l'indaco e pigmenti a base di gommalacca.Ultima, arriva la "cerimonia dell'apertura dell'occhio": in una notte di luna piena, l'Artista stempera il bianco degli occhi con arancioni e rosso negli angoli, sottolinea le ciglia, infine con pochi e rapidi tratti appone la pupilla ai personaggi. Le due tipologie di iride più comuni sono "ad arco" e "a granello". Le aree dorate vengono lucidate con uno strumento a punta di onice. Finalmente, le corde che tengono il thangka in tensione vengono recise. La pezza di cotone viene incastonata in una montatura di seta cinese. Due bastoni in cima e ai piedi facilitano l'arrotolamento.Quando il thangka è issato sull'altare per la contemplazione e l'adorazione, il panno che lo copre a mo' di sipario viene alzato.L'arte del thangka non è limitata al Tibet, ma si estende ai popoli toccata dal Buddhismo tibetano, come i Tamang, gli Sherpas, i Thakali, gli Yolmo, i Manangey e i Newar.Bhaishajyaguru Vaiduryaprabha Bhaishajyaguru Vaiduryaprabha, il Buddha della medicina, è la figura di riferimento della tradizione medica tibetana, quintessenziata nei quattro "Tantra della medicina".Bhaishajyaguru Vaiduryaprabha, "il Maestro guaritore dalla Luminosità Lapislazzuli", ha una ciotola delle elemosine ricolma di nettare medicinale e di frutta. La sua mano destra regge uno stelo di mirabolano (Terminalia chebula), vera e propria panacea: secondo la medicina tibetana, basata sulle proprietà delle erbe, può curare 404 gruppi di malattie.Vaiduryaprabha è spesso raffigurato accompagnato da sette altri Buddha, tra cui Śākyamuni. Abita un paradiso orientale, "Il Puro lapislazzuli", attorniato dai due bodhisattva Suryaprabha e Chandraprabha, "Luminosità omnipervadente solare" e "luminosità omnipervadente lunare". Nel palazzo dai colori dell'arcobaleno di Vaiduryaprabha crescono piante curative "a natura calda", come il peperoncino. Attorno al palazzo spunta un'intera foresta di mirabolano e si ergono montagne dove attecchiscono piante medicinali "di natura fredda". Nelle credenze tibetane, una malattia di natura fredda si debella con una medicina a natura calda, e viceversa. Il colore lapislazzuli fu associato al Buddha della medicina per una serie di fattori: innanzitutto si tratta di una pietra tenuta in grandissimo conto nei lapidari asiatici. Facile alla politura, può essere portata a un alto grado di riflessione; rappresenta ciò che è puro, ciò che è raro. Funge da amuleto terapeutico per chi lo indossa. In pratiche contemplative, il blu scuro ha effetti curativi. La figura dell'offerente e le due cataste di materiali nella parte inferiore dell'opera si riferiscono probabilmente a un aneddoto della vita del Buddha: Śakyamuni chiese cosa fosse in definitiva una medicina. Propose ai discepoli di procedere per esclusione: "Portatemi tutto quanto non fosse una medicina". Di fronte all'ammasso di oggetti disparati che gli ascoltatori si affrettarono a riportare, il Buddha rispose: "Tutto può essere medicina: dipende come lo si usa".Stupisce, nell'iconografia del dipinto, la presenza di otto Buddha anziché sette; e la mancanza del pigmento blu per il personaggio principale.I mudrāOgni cultura usa un insieme di gesti codificati, incomprensibili ad altri.L'arte indiana, non diversamente da altre culture figurative, usa gesti particolari per fare riferimento rapidamente a un intero episodio. Questi "gesti standard" si chiamano mudrā, letteralmente "marchi per il bestiame". L'arte buddhista, originatasi in India, usa alcuni di questi: grazie alla posizione di una mano, lo spettatore può capire di fronte a quale momento della vita dell'Illuminato si trovi.