Artisti, artigiani, architetti, produttori

Quargnento (AL) , 1881 - Milano (MI) , 1966
pittore

Carrà nasce nel 1881 a Quargnento, Alessandria, da una famiglia di artigiani. A dodici anni inizia a lavorare come decocatore a Valenza Po e poi, nel 1895, a Milano presso la ditta di Angelo Comolli.
Nel frattempo frequenta le scuole serali di disegno, prima a Valenza poi a Brera. Segantini e Previati, ma soprattutto il primo, sono gli artisti che lo impressionarono maggiormente. In occasione dell'Esposizione universale del 1900 si reca a Parigi, dove esegue lavori di decorazione per alcuni padiglioni dell'Esposizione Universale. Sono di questo periodo le sue prime conoscenze letterarie (Baudelaire, De Musset, Rostand, Racine) e pittoriche: al Louvre lo entusiasmano Delacroix, Gèricault, Manet; al Petit-Palais i dipinti di Bourbet; al Luxembourg Renoir, Cézanne, Pissarro, Sisley, Monet, Gauguin. Nell'estate di quello stesso anno conosce a Londra le pitture di Constable e Turner.
Fra il 1902 e 1906 Carrà, ritornato a Milano, riprende la sua attività di decoratore a Bellinzona, a Busto Arsizio e a Ombriano nella villa dei conti Sanseverino. Quando, durante lo sciopero generale del 1904, fu ucciso l'anarchico Galli e durante il suo funerale nacque una mischia di inaudita violenza, Carrà, trovatosi lì per caso, ne fu fortemente impressionato, e tornato a casa schizzò il disegno da cui prese spunto più tardi per il dipinto "I funerali dell'anarchico", esposto nelle mostre futuriste del 1912.
Nel 1906, grazie a due premi artistici e al piccolo sussidio di uno zio paterno, si iscrisse finalmente all'Accademia di Brera, divenendo allievo di Cesare Tallone e seguendovi i corsi fino al 1909. Ne rimase deluso non trovandovi né «il contatto complesso che ogni istituto deve avere con la cultura viva del proprio tempo», né un vero insegnamento, se non parziale e inadeguato. Seguono anni di incertezze, di lavori vari e di incontri, fra i quali è da ricordare quello con Filippo Corridoni, con il quale stringe una cordiale amicizia.
In quel periodo si incontrava tutte le sere al Caffè del Centro con Boccioni e Russolo per parlare d'arte. Nel febbraio del 1910 Carrà, Boccioni e Russolo con Marinetti (che nel 1909 aveva lanciato, su Le Figaro, il primo manifesto futurista) decidono di "lanciare un Manifesto ai giovani artisti italiani per invitarli a scuotersi dal letargo che soffocava ogni più legittima aspirazione". La collaborazione di Carrà al movimento dura sei anni, dal 1910 al 1915. Carrà inizia la sua collaborazione alla nuova rivista Lacerba, nata dalla fusione della Voce con i futuristi, con un articolo pubblicato il 15 marzo 1913. Scrive poi il libro "Guerrapittura" del 1915. Dopo il manifesto, seguirono le famose serate futuriste, chiassose, bizzarre e talvolta violente, ma inevitabili per uscire dagli schemi ormai superati di una cultura borghese che soffocava soprattutto i giovani vogliosi di novità. Le prime mostre futuriste organizzate nel 1912 a Parigi, Londra e Berlino non solo raccolsero successo e ampi consensi anche fra gli intellettuali più noti di allora, ma riportarono nel giro internazionale della pittura nuova anche quella italiana. Le opere più rappresentative del periodo futurista di Carrà sono: "La stazione di Milano" (1910-11), "I funerali dell'anarchico Galli" (1910-11), "Luci notturne" (1910-11), "Donna al balcone" (1912), "La Galleria di Milano" (1912), "Trascendenze plastiche" (1912), "Manifestazione interventista" (1914). Fu infine proprio Carrà a far entrare nel gruppo futurista l'architetto Sant'Elia, compilatore nel 1914 del Manifesto futurista per l'architettura.
Un terzo viaggio a Parigi compiuto nel 1914 gli permette di incontrare e stringere legami di amicizia con Apollinaire, Modigliani, Picasso.
Alla fine del 1915 Carrà lascia il futurismo, dopo che già era maturata in lui una posizione culturale in senso moderno, evidente negli scritti su Giotto e Paolo Uccello costruttore, pubblicati sulla nuova "Voce" diretta da De Robertis. Lo fece con profondo dolore, non per motivi personali ma solo per «divergenze e incompatibilità di idee», spinto dal forte desiderio di «identificare la mia cultura con la storia e specialmente con la storia dell'arte italiana». Nel frattempo la guerra coinvolgeva Carrà, prima con una intensa attività interventista, durante la quale conosce anche Cesare Battisti, e finalmente nel 1917 con la chiamata alle armi.
Parte soldato, ma l'esperienza è dolorosa e negativa: dopo una permanenza a Pieve di Cento, dovette essere ricoverato in un nevrocomio fuori Ferrara per le sue precarie condizioni di salute. Qui ha però la possibilità di dipingere intensamente: "Solitudine", "La camera incantata", "Madre e figlio", "La musa metafisica"; parallelamente svolge un'attività letteraria di collaborazione alle riviste di quel tempo, tutti lavori ormai improntati ai concetti della metafisica. È una stagione breve, che accoglie poche opere: L'"Ovale delle apparizioni", "Natura morta metafisica", "La figlia dell'ovest", "Le figlie di Loth". Dal 1919 inizia per il pittore un periodo di calmo e tenace lavoro, grazie anche al matrimonio con Ines Minoja e la collaborazione alla rivista d'arte "Valori plastici" di Roma, che prosegue fino al 1921 e al "Popolo d'Italia" di Milano, dal 1922, in maniera assidua e continuativa fino al 1938, a L'"Ambrosiano" di Milano.
Il 1922 segna la data di una presa di posizionne importante: quella «di non accompagnarmi più ad altri, di essere soltanto me stesso». Da quel momento la sua pittura diventa scarna, semplificata all'essenza - preannunciata già dal "Pinosul mare" del 1921, e improntata al ritorno alla natura. Ormai il pittore si sente sereno, nel pieno delle sue possibilità e dopo tante sofferenze anela al contatto con la natura e il vero. "Cinquale", "Cavalli", "Estate", "Ritorno dai campi", "Autoritratto" sono alcune delle numerose opere. Nel 1923 è a Camogli, in Liguria. Dal 1926 passa diversi mesi a Forte dei Marmi, in Versilia, dove rimane folgorato dai paesaggi luminosi e solitari, le spiagge deserte, i monti sul mare, i capanni abbandonati.
Nel 1933 Carrà sottoscrive il "Manifesto della pittura murale" di Sironi ed esegue affreschi per la Triennale di Milano del 1933 andato distrutto e per il Palazzo di Giustizia nel 1938. Nel 1941 è nominato professore di pittura all'Accademia di Brera. Negli anni del dopoguerra Carrà modifica gradualmente i paesaggi e le marine di Forte dei Marmi con superfici smorzate, pennellate meno compatte e un'accentuata luminosità. Nel 1962 quattro anni prima della sua morte, al Palazzo Reale di Milano è allestita una mostra antologica della sua opera.
Muore nel capoluogo lombardo il 13 aprile 1966.

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