Museo Internazionale e Biblioteca della Musica
Strada Maggiore, 34
Bologna (BO)
Mozzani Luigi
1869/ 1943
mandolino

legno,
legno di abete,
legno di ebano,
legno di salice,
legno di palissandro,
tibia di bue,
madreperla
mm 188 (la) 122 (p) 280 (lu)
lunghezza diapason: 280
sec. XX (1933 - 1933)
Le cetre in senso generico sono cordofoni semplici. Le altre categorie dei cordofoni sono tutte in qualche maniera composite. Una di queste categorie è formata dai liuti in senso generico, i quali, oltre la cassa, hanno per lo meno un manico. Le corde si trovano a breve distanza dalla cassa e dal manico e corrono parallele a questi. Strumenti appartenenti a questa categoria sono ad esempio il violino, la chitarra, il mandolino napoletano.
Sul manico le corde possono essere raccorciate anche senza una tastiera speciale, ma in tal caso è difficile raccorciarle oltre il manico sulla tavola armonica della cassa. In certi casi le corde vengono raccorciate anche oltre il manico, sulla tavola armonica della cassa. In questi casi è sovrapposta al manico una tastiera che si estende sopra la tavola della cassa. Si pensi alle chitarre e ai mandolini dal secolo XIX in poi, alle cetere, e a quasi tutti gli strumenti ad archetto (le pochettes, le lire da braccio e da gamba, le viole da gamba, le viole d'amore e le viole da braccio, tra cui è noto soprattutto il violino). Un caso intermedio è da registrare ad esempio in molti liuti anche senza tastiera speciale. Tali strumenti possono avere alcuni tasti fissi (si veda sotto) oltre il manico sulla tavola armonica.
Dove devono essere raccorciate le corde sul manico o sulla tastiera per ottenere determinate note? In certi casi non c'è sul manico o sulla tastiera alcuna indicazione di dove raccorciare, ed è la pratica del suonatore che gli fa mettere le dita nelle posizioni giuste. Tali casi sono ad esempio la viola d'amore e il violino. In altri casi le posizioni in cui le corde devono essere raccorciate per la produzione di determinate note sono indicati sul manico o sulla tastiera per mezzo di tasti. Questi possono essere di minugia e in tal caso legati attorno al manico o alla tastiera. Allora si chiamano legacci, che incontriamo ad esempio nei liuti, nella maggior parte dei mandolini del vecchio tipo, nelle chitarre prima della seconda metà del secolo XVIII, nelle lire da gamba, nelle viole da gamba. I tasti possono anche essere d'un materiale poco elastico (metallo, legno, avorio), e allora essere inseriti nel manico o nella tastiera, come nelle chitarre più recenti, nelle chitarre battenti, nei mandolini napoletani, nelle cetere.
La tastiera è un elemento che s'incontra anche nelle cetre in senso generico (monocordi, cetre in senso specifico), ma in tali casi si tratta sempre dell'adozione d'un elemento di per sé tipico per i liuti in senso generico.
Sino al tardo Medioevo non è sempre possibile distinguere nettamente tra strumenti a corde pizzicate, e strumenti a corde strofinate. A partire dal secolo XVI si sviluppano tipi specifici nel quadro delle due categorie. Pertanto facciamo qui la distinzione netta tra:
1. liuti in senso generico a corde pizzicate;
2. liuti in senso generico a corde strofinate.
Nella categoria dei liuti in senso generico a corde pizzicate sono da distinguere per lo meno nove tipi. In questa sede trascuriamo gli strumenti assai rari che ad ogni modo non sono rappresentati in questa collezione (la pandora, il penorcon, l'orpharion, il colascione) e ci limitiamo a trattare i gruppi seguenti:
- liuti in senso specifico;
- mandolini del vecchio tipo,
- chitarre e le chitarre battenti;
- mandolini napoletani;
- cetere.
I mandolini del vecchio tipo nell'ultimo stadio della loro esistenza non differiscono molto dai liuti in senso specifico. Dall'origine sino al secolo XVII i due tipi differiscono in numerosi dettagli.
Il mandolino del vecchio tipo ha la sua origine, come il liuto in senso specifico, nei territori di cultura islamica. L'antenato è uno strumento arabo assai piccolo con quattro corde, chiamato qopûz, introdotto in Ispagna già con le prime invasioni arabe nel sesto secolo, quindi già prima del liuto in senso specifico. Già all'inizio del secolo XIV lo strumento è noto in Germania sotto il nome kobus, ma nel Medioevo il nome normale nell'Europa occidentale e centrale - anche in Italia - è chitarra o chitarrino, un'espressione che quindi non significa la chitarra moderna. Johannes Tincroris nel trattato De usu et inventione musicae (Napoli, circa 1484) dice esplicitamente che la ghiterra o ghiterna ha forma tonda, di tartaruga (formam testudineam).
La ghiterna aveva inizialmente una cassa piriforme scavata, fatta in un pezzo col manico senza legacci, un cavigliere in forma di falce con piroli laterali, una tavola di conifera senza rosetta, e corde attaccate all'estremità inferiore della cassa. Lo strumento era sempre pizzicato con un plettro. Per quanto sia possibile stabilire il numero delle corde, esso ammonta generalmente a quattro. E' probabile che a partire dal secolo XV il principio degli ordini doppi sia stato adottato a volte dal liuto in senso specifico. Una ghiterna di Hans Ott, Norimberga, circa 1450, nelle collezioni sul Wartburg presso Eisenach (Turingia) dimostra che già nel '400 sono noti strumenti di questo tipo con cinque ordini doppi (5 x 2 corde).
Leonello d'Este, duca di Ferrara dal 1441 al 1450, suonava il "chitarrino", ed ebbe ai suoi servigi Leonardo del Chitarino e Pietro Bono de Burzellis, anche detto "del Chitarino".
La storia della ghiterna è in seguito quella dell'adozione di elementi del liuto. Già la ghiterna di Hans Ott ha una rosetta nella tavola, dal '400 in poi elemento essenziale anche di questo tipo di strumento. Altri elementi del liuto adottati dalla ghiterna nel tardo Medioevo sono poi l'attacco delle corde al ponticello e l'uso di legacci. E inoltre interessante che Johannes Tinctoris, già citato, intorno al 1484 menziona per l'Italia un'accordatura simile a quella del liuto, con la quale viene introdotto un altro elemento di assimilazione a quest'ultimo. L'accordatura sarebbe quella con gli intervalli quarta - terza maggiore - quarta, ad esempio Re3 - Sol3 - Si3 - Mi4. Fuori dell'Italia questa accordatura "liutistica" non era ancora applicata.
Nel secolo XVI e nel primo terzo del XVII l'assimilazione della ghiterna al liuto continua. La transizione della cassa in una linea curva tra cassa e manico, che suggerisce la fattura di cassa e manico in un solo pezzo di legno e la scavatura della cassa, s'incontra ancora sino alla prima metà del '600. Intanto, però, già dal secolo XVI sono conservati strumenti di questo tipo con un manico separato, con un angolo tra cassa e manico, e con un guscio che consta di dòghe, come nel liuto. Il numero delle corde può variare tra quattro corde semplici e quattro o anche cinque ordini doppi. L'accordatura fuori dell'Italia non ha ancora niente a che fare con quella del liuto: generalmente s'incontrano accordature in quinte e quarte come ad esempio Do3 - So13 - Do4 - So14. Del materiale delle corde non si sa niente per il Medioevo. Sembra, però, che dal '500 in poi le corde fossero generalmente di minugia, in ogni caso in Italia. Forse il materiale delle corde è anche un elemento di assimilazione al liuto. In Francia e in Germania sono documentate a volte corde di metallo.
Un elemento in cui la ghiterna e il liuto differiscono sino all'inizio del secolo XIX consiste nelle proporzioni della cassa. Ci sono strumenti medi con una cassa larga approssimativamente 0,5 volte la lunghezza (si veda inv. 1809, scheda nctn 00000057), strumenti stretti con una cassa con una larghezza di meno di 0,5 volte la lunghezza, e strumenti tozzi con una larghezza tra 2/3 e 4/5 della lunghezza (presente scheda).
Un altro elemento di differenza tra la ghiterna e il liuto consiste nel fatto che sino al 1630 all'incirca, la ghiterna era pizzicata con un plettro. S'intende che c'è una differenza sonora tra il pizzicare con un plettro e con le dita, benché il divario fosse più limitato che oggi. Non erano ancora usati i plettri duri di tartaruga di oggi, introdotti non prima del secolo XIX. Sino a quest'ultima epoca i plettri erano di materiale più morbido: di penna d'uccello (corvo, struzzo) o di corteccia di ciliegio.
Intorno al 1630 lo strumento si avvicinò ancora di più al liuto. Il numero delle corde o degli ordini doppi adesso ammonta spesso a sei. (Sino al 1800 all'incirca s'incontrano ancora strumenti di questo tipo con sei corde singole!) Sparisce poi, anche fuori dell'Italia, l'accordatura in quinte e quarte e viene adottata dappertutto un'accordatura analoga a quella del liuto, in quarte con una terza maggiore. In vari paesi s'incontrano diverse varianti; in Italia l'accordatura più frequente è (Sol2 - Si2) - Mi3 - La3 - Re4 - Sol4. Infine, dopo il 1630, lo strumento è generalmente pizzicato senza plettro, direttamente con le dita, benché alcuni strumenti risalenti sino alla fine del secolo XVIII abbiano sulla tavola un piatto protettore, il che suggerisce l'uso d'un plettro.
Ci sono ancora differenze tra questo tipo di strumento e il liuto. In primo luogo, lo strumento sino al secolo XVIII ha sempre un formato piccolo, corrispondente più o meno a quello del liuto soprano. In secondo luogo, le proporzioni della cassa sono più variabili di quelle del liuto: fino al secolo XIX s'incontrano strumenti con casse strette, medie e tozze. Il formato della cassa è un elemento di differenza che per lo meno nei paesi di lingua tedesca va pure scomparendo nel secolo XVIII: allora a nord delle Alpi vengono costruiti anche strumenti col formato del liuto con otto ordini doppi, chiamati mandora.
In terzo luogo questo strumento ha un numero più ridotto di ordini del liuto: il numero non supera i sei, e non viene applicato a questo tipo il secondo cavigliere del liuto. L'elemento più tenace di questo tipo è, però, il cavigliere che ha generalmente la forma di falce, comunque grosso modo non prende la forma piegata indietro del liuto.
Un dettaglio interessante è che a volte lo strumento può avere invece d'un tale cavigliere la paletta piatta con piroli posteriori della chitarra.. Tale paletta veniva già usata nel secolo XVII, e anche Stradivari ideò una variante dello strumento con la paletta piatta. Questa forma è, però, piuttosto rara, ma può avere avuto influenza sulla nascita del mandolino napoletano.
Lo strumento, di cui abbiamo parlato qui, è anche meno standardizzato del liuto. Già verso la fine del secolo XVII s'incontrano strumenti con manici con tasti inseriti di metallo o di avorio invece di legacci. Nel caso di tasti di metallo si potrebbe pensare anche a corde di metallo. Approssimativamente dal 1750 in poi manca a volte la rosetta, e lo strumento ha un foro rotondo di risonanza, forse per influsso di certi mandolini napoletani. Infine, nel secolo XIX ci sono strumenti con la tastiera continuata sopra la tavola sino al foro di risonanza, come nei mandolini napoletani e nelle chitarre coeve.
Dal secolo XVII lo strumento in questione aveva vari nomi: mandora, mandore, Mandörchen, pandora, pandurina, mandola, mandolino. S'intende che questo mandolino differisce in vari dettagli dal mandolino napoletano creato posteriormente: non ha il guscio molto profondo, ha generalmente un cavigliere in forma di falce con piroli laterali, può avere più di quattro ordini, accordati in quarte, eventualmente con una terza maggiore, ha corde attaccate al ponticello, e soprattutto ha corde il più delle volte di minugia, pizzicate direttamente con le dita. (Strumenti con corde di metallo pizzicate con un plettro sono piuttosto rari.) E' questo tipo di mandolino, e non il mandolino napoletano moderno con corde sempre di metallo, pizzicate con un plettro duro di tartaruga, che intendevano compositori come Vivaldi nella Juditha triumphans e nei concerti per mandolino, vari compositori di opere viennesi del '700, ed Händel nell'Alexander Balus (1748).
Il mandolino del vecchio tipo è sopravvissuto come mandolino milanese o mandolino lombardo. Una variante ideata intorno al 1800 è il mandolino cremonese o bresciano con quattro corde di minugia con l'accordo del mandolino napoletano (Sol2 - Re3 - La3 - Mi4) e pizzicato con un plettro. L'accordatura in quarte con una terza maggiore - un'ottava sopra quella della chitarra, quindi Mi2 - La2 - Re3 - So13 - Si3 - Mi4, sopravvive nel mandolino genovese, già documentato intorno al 1770, che, a prescindere dai sei ordini doppi, è identico al mandolino napoletano.
Luigi Mozzani, autore dello strumento in esame, nacque a Faenza il 9 Marzo 1869 in una famiglia di origine anconetana di modestissime condizioni economiche, tanto che al compimento della prima classe delle elementari fu costretto a seguire il padre nel lavoro di calzolaio. Abbandonata a nove anni questa attività, lavorò presso un barbiere, suonatore di clarinetto, che risvegliò in lui l'interesse per la musica. Imparò a suonare la tromba presso un fornaio e divenne clarinettista nella banda musicale di Faenza, ma abbandonò assai presto per motivi di salute.
Riuscito a farsi prestare una vecchia chitarra, la riparò e ne cominciò lo studio; intanto per guadagnarsi da vivere, non trovando occupazione come clarinettista, dovette acquistare e studiare l'oboe. A circa ventidue anni d'età riuscì ad iscriversi al Liceo Musicale di Bologna; fu promosso a pieni voti e potè quindi essere scritturato dal Teatro San Carlo di Napoli come primo oboe. Abbandonò poi la professione anche a causa di una sfortunata tournée in America in una orchestra diretta da Arturo Toscanini che si concluse con il suo scioglimento. Luigi Mozzani si unì allora ad un trio di suonatori di banjo, iniziando così le carriere di concertistica e di insegnante di chitarra, fino a pubblicare nel 1896 i tre volumi degli Studies for Guitar. Verso la fine del secolo, dopo una fortunata tournèe di concerti in Europa, a Parigi cominciò ad occuparsi di costruzione di chitarre. A Bologna poi continuò l'attività di liutaio in collaborazione con due costruttori napoletani di mandolini e forse con l'aiuto del costruttore di chitarre, Utili di Castelbolognese. Tra il 1904 e il 1909, Mozzani riprese a suonare all'estero, specialmente in Austria, dove venne a contatto con la "chitarra-lyra", strumento del quale iniziò uno studio costruttivo in relazione alla tecnica di esecuzione. Nel 1909 prese a risiedere a Cento, in via Gennari, dove conobbe Alfonsina Tassinari, che divenne sua moglie. Avvalendosi anche della collaborazione dei liutai Natale Carletto e Orsolo Gotti intensificò lo studio e la produzione di vari modelli di chitarra, alternando il lavoro di liutaio a quello di chitarrista e di didatta. In sua assenza, la direzione del laboratorio era affidata alla moglie; visti i continui successi tecnici e commerciali, il laboratorio fu ampliato e trasferito nei locali di un ex orfanotrofio sulla via Provenzale, sempre a Cento. Tra il 1915 e il 1924 progettò tutti i tipi di strumenti necessari per costituire un'orchestra a plettro. Nel 1929 ottenne dal Comune di Bologna di poter aprire un laboratorio-scuola denominato "Liuteria Italiana Luigi Mozzani", con sede in via Castiglione 36, a cui si accedeva attraverso un concorso. Alcuni tra i precedenti collaboratori furono assunti come istruttori: Primo Montanari, per la costruzione di chitarre; Claudio Gamberini per altri strumenti a pizzico; Carlo Melloni per gli strumenti ad arco; Luigi Bagnoli per l'insegnamento strumentale e Luigi Govoni come coadiutore. Gli insegnati erano stipendiati dal Comune di Bologna, che assegnò loro pure una abitazione. Nel 1933 il Comune decise di chiudere la scuola per motivi anche politici. Mozzani continuò in un proprio laboratorio in via Barberia 12 la costruzione di strumenti, specialmente chitarre, con la collaborazione di Claudio Gamberini e di Rino Federici; i rapporti commerciali si estendevano in varie parti del mondo, ma il più grande successo di Mozzani fu la richiesta personale di Andres Segovia di potersi scegliere una chitarra.
Pur avendo diradato l'attività concertistica, Mozzani continuò fino al 1939 a suonare in pubblico e nel '39 incise tre dischi con varie musiche, anche sue. Ma non aveva mai abbandonato l'idea della scuola di liuteria, e finalmente, con l'interessamento delle autorità locali, gli riuscì di aprirne una a Rovereto, in provincia di Trento.
Dopo la sua morte, avvenuta il 12 agosto 1943, la scuola continuò, sotto la direzione della moglie e del maestro Federici, una certa attività fino al 1947, anno in cui il Comune di Rovereto decise di chiuderla definitivamente. La maggior parte del materiale fu venduto o disperso; in seguito gli eredi stipularono un accordo con una casa musicale, autorizzando la costruzione di strumenti Mozzani.
Il maestro, oltre che un didatta disinteressato, fu un compositore di musiche per chitarra abbastanza fortunato. Le sue pubblicazioni sono tuttora in commercio. Restano inoltre numerosi scritti inediti, utili per la comprensione dei metodi costruttivi degli strumenti che egli adottava, sperimentando varie forme e strutture.
La sua figura di artista, costruttore e docente viene considerata come una somma di atteggiamenti e competenze che raramente un concertista, un liutaio e un insegnante possono possedere singolarmente. L'ambizione a produrre, oltre che riusciti strumenti a pizzico di ogni forma e tipo, gli strumenti tradizionali della liuteria italiana - violino, viola e violoncello - lo portò ad addentrarsi in un campo in cui non riuscì ad eccellere. Tuttavia resta di lui, anche in questo settore, il ricordo di un maestro intelligente nell'insegnamento ed esigente nell'opera di realizzazione. La discontinuità di pregio degli strumenti attribuiti alla sua scuola dipende probabilmente dal diverso livello di capacità dei suoi collaboratori. Resta comunque indiscutibile che, in un periodo in cui alla chitarra si richiesero nuove prestazioni, Mozzani fu tra i più attivi nell'interpretare le nuove esigenze, fondendo l'esperienza dell'esecutore con quella del costruttore.