Museo Internazionale e Biblioteca della Musica
Strada Maggiore, 34
Bologna (BO)
ambito italiano
viola

legno di acero,
legno di conifera,
legno di pero/ verniciatura,
legno di noce/ verniciatura,
legno di faggio,
osso,
avorio,
minugia
mm
Lu. totale 743//lu. della cassa 378//distanza tra la giuntura col manico e il centro della rosetta 101//gli angoli superiori 108//gli angoli inferiori 198//le punte superiori dei fori di risonanza 137//gli occhielli dei fori di risonanza 204//le punte inf
sec. XVIII (1700 - 1799)
n. 1763
La cassa ha una sagoma con spalle spioventi e con angoli non sporgenti. La sagoma originale era simile, ma nel corso della vita dello strumento la parte inferiore della cassa è stata rimpicciolita. Il fondo è di acero in due pezzi, senza bombatura e senza piega nella parte superiore. Il fondo è rinforzato con una piastra come supporto per l'anima, e con due catene strette , una nella parte superiore dove si trova normalmente la piega nel fondo, e una nella parte inferiore. Piastra e catene sono di conifera. Le fasce sono di acero, quella della parte inferiore della cassa sotto gli angoli inferiori è stata rifatta in occasione del rimpicciolimento della parte inferiore della cassa. L'altezza delle fasce diminuisce dal bottone d'attacco all'estremità inferiore della cassa sino alla giuntura della cassa col manico. La tavola di conifera in due pezzi è bombata, con due fori di risonanza in forma di serpe, entrambi con un occhiello centrale interno. La rosetta di pero inserita con ogni probabilità non è originale, ma in origine c'era una rosetta. Non c'è aggetto della tavola e del fondo sopra le fasce.
Il manico e il cavigliere sono ricavati da un pezzo di acero, sovrapposto al blocco superiore della cassa. Il manico ha una sezione quasi semicircolare; non è dunque piatto, dal che si può dedurre che lo strumento non è mai stato suonato con legacci. Il cavigliere è aperto davanti e dietro, e termina con un riccio, come si trova nella maggior parte delle viole d'amore italiane. I dodici piroli di noce tinto nero con teste ovali, con un bottoncino in cima, sono assai grandi per una viola d'amore, e non sono originali. Non originali sono poi il capotasto superiore di osso, la tastiera e la cordiera, questa ultima molto convessa, le ultime due parti di pero tinto nero, e il ponticello di faggio. Alla cordiera sono attaccate le sei corde di minugia suonate con l'archetto. Il capotasto inferiore con sei tacche e il bottone reggicordiera sono di avorio. Le sei corde di risonanza erano attaccate a sei scadenti chiodini di ferro tra la tavola e il bottone reggicordiera. In occasione del restauro del 1991 furono inseriti qui tre perni di legno, a cui furono attaccate le corde di risonanza.
Lo strumento è verniciato marrone giallastro.

Le cetre in senso generico sono cordofoni semplici. Le altre categorie dei cordofoni sono tutte in qualche maniera composite. Una di queste categorie è formata dai liuti in senso generico, i quali, oltre la cassa, hanno per lo meno un manico. Le corde si trovano a breve distanza dalla cassa e dal manico e corrono parallele a questi. Strumenti appartenenti a questa categoria sono ad esempio il violino, la chitarra, il mandolino napoletano.
Sul manico le corde possono essere raccorciate anche senza una tastiera speciale, ma in tal caso è difficile raccorciarle oltre il manico sulla tavola armonica della cassa. In certi casi le corde vengono raccorciate anche oltre il manico, sulla tavola armonica della cassa. In questi casi è sovrapposta al manico una tastiera che si estende sopra la tavola della cassa. Si pensi alle chitarre e ai mandolini dal secolo XIX in poi, alle cetere, e a quasi tutti gli strumenti ad archetto (le pochettes, le lire da braccio e da gamba, le viole da gamba, le viole d'amore e le viole da braccio, tra cui è noto soprattutto il violino). Un caso intermedio è da registrare ad esempio in molti liuti anche senza tastiera speciale. Tali strumenti possono avere alcuni tasti fissi (si veda sotto) oltre il manico sulla tavola armonica.
Dove devono essere raccorciate le corde sul manico o sulla tastiera per ottenere determinate note? In certi casi non c'è sul manico o sulla tastiera alcuna indicazione di dove raccorciare, ed è la pratica del suonatore che gli fa mettere le dita nelle posizioni giuste. Tali casi sono ad esempio la viola d'amore e il violino. In altri casi le posizioni in cui le corde devono essere raccorciate per la produzione di determinate note sono indicati sul manico o sulla tastiera per mezzo di tasti. Questi possono essere di minugia e in tal caso legati attorno al manico o alla tastiera. Allora si chiamano legacci, che incontriamo ad esempio nei liuti, nella maggior parte dei mandolini del vecchio tipo, nelle chitarre prima della seconda metà del secolo XVIII, nelle lire da gamba, nelle viole da gamba. I tasti possono anche essere d'un materiale poco elastico (metallo, legno, avorio), e allora essere inseriti nel manico o nella tastiera, come nelle chitarre più recenti, nelle chitarre battenti, nei mandolini napoletani, nelle cetere.
La tastiera è un elemento che s'incontra anche nelle cetre in senso generico (monocordi, cetre in senso specifico), ma in tali casi si tratta sempre dell'adozione d'un elemento di per sé tipico per i liuti in senso generico.
Sino al tardo Medioevo non è sempre possibile distinguere nettamente tra strumenti a corde pizzicate, e strumenti a corde strofinate. A partire dal secolo XVI si sviluppano tipi specifici nel quadro delle due categorie. Pertanto facciamo qui la distinzione netta tra:
1. liuti in senso generico a corde pizzicate;
2. liuti in senso generico a corde strofinate.
Nel gruppo dei liuti in senso generico si sono sviluppati vari tipi di cordofoni fatti suonare con lo strofinamento. Ci sono due mezzi per generare una vibrazione e quindi un suono per mezzo dello strofinamento. Il primo metodo consiste nel fregare le corde con una treccia di peli, generalmente crini di cavallo, a cui viene applicata una resina, usualmente la colofonia. Con poche eccezioni i crini di cavallo sono tesi in un archetto. Il secondo metodo consiste nel fregare le corde con una ruota, a cui viene applicata pure una resina, anche qui usualmente la colofonia.
Mentre il pizzico e la percussione sono metodi antichi per generare la vibrazione e quindi il suono in una corda - talmente antichi che la loro origine non è databile -, lo strofinamento per mezzo d'un archetto è un metodo assai recente e approssimativamente databile. Non ci sono prove che l'archetto esistesse prima del secolo X dell'era volgare. La genesi dell'archetto è poi localizzabile nell'Asia centrale vicino alla via della seta nell'impero dei Qarakhanidi, dove vivono molte tribù nomadi con abbondanza di cavalli, dalle cui code si prendono i crini degli archetti. Di là, l'archetto si diffuse prima verso l'Occidente - già nel secolo X ci sono documenti in maggior parte icono grafici che testimoniano l'uso dell'archetto nell'impero bizantino, da dove esso si propagò per il resto dell'Europa -, poi verso sudovest - dove le regioni di cultura islamica adottarono e applicarono l'archetto, dopo di che queste regioni tramandarono l'archetto anche all'Europa -, infine verso l'oriente, dove si usano strumenti ad archetto, oltre che nell'Iran, in India, nel Tibet, in Mongolia, Cina, Corea, Giappone, nell'Asia sudorientale e in certe isole dell'Indonesia.
L'archetto fu quindi introdotto in Europa per due strade: dall'Asia centrale attraverso l'impero bizantino, e dalle regioni di cultura islamica. Non vogliamo appesantire troppo questo testo trattando la tipologia e lo sviluppo dell'archetto. Ci limitiamo a trattare gli strumenti fatti suonare mediante questo espediente.
Lo strumento più semplice, a cui è applicato l'archetto, è la tromba marina che è, in origine, nient'altro che un monocordo, a cui viene applicato l'archetto dal secolo XII, in un'epoca quindi, in cui altri strumenti ad archetto già fiorivano.
Gli strumenti ad archetto importati dagli Arabi hanno sempre piroli laterali. Tra questi il più importante è uno strumento adoperato ancora oggi nei paesi arabi del Maghreb, il rebâb, uno strumento con una cassa ricavata insieme col manico da un unico pezzo di legno, quindi senza separazione tra cassa e manico, cassa con leggere sciancrature per fornire posto al maneggiamento dell'archetto, cassa coperta di pelle, con un manico senza legacci, con un cavigliere piegato indietro con uno o due piroli laterali, e con una o due corde di minugia attaccate all'estremità inferiore della cassa. Da questo rebâb si sviluppò il ribecchino europeo, pure con una cassa ricavata insieme col manico da un unico pezzo di legno, quindi senza separazione tra cassa e manico, con un manico senza legacci, con piroli laterali e con corde attaccate all'estremità inferiore della cassa, generalmente tramite una cordiera. Le differenze tra questo strumento e quello arabo sono: la cassa ha la forma di pera senza sciancrature, è coperta di legno di conifera, il cavigliere ha la forma di falce, e il numero delle corde ammonta a due o tre. Sappiamo che con due corde l'accordatura era Do2 - Sol2. Il ribecchino divenne obsoleto nel secolo XVI, ma sopravvisse ancora più tardi - sino al secolo XIX - in uno strumento chiamato in Francia pochette, in Italia a volte sordino. In questa sede abbiamo scelto la denominazione francese, perché in italiano la parola sordino è usato anche per il clavicordo.
Gli strumenti importati in Europa tramite l'impero bizantino hanno sempre una paletta con piroli frontali o posteriori. Tra questi il più importante è uno strumento adoperato ancora oggi nella musica popolare della ex Jugoslavia, della Bulgaria, della Grecia, dell'Anatolia e della Georgia. Il nome greco è lira, nome d'uno strumento totalmente diverso - una lira in senso generico a pizzico - che è trasferito a uno strumento con manico, suonato con l'archetto.
In Europa lo strumento è designato normalmente come viola medievale. All'inizio ha una cassa ricavata insieme al manico da un unico pezzo di legno, quindi senza separazione tra cassa e manico, cassa coperta d'una tavola di legno, con un manico senza legacci, con una paletta con piroli frontali o posteriori, e con corde di minugia attaccate generalmente tramite una cordiera all'estremità inferiore della cassa. La cassa può avere la forma di bottiglia con la paletta come tappo, oppure di pera. Quest'ultima forma è quella più frequente della viola medievale. Inizialmente il numero delle corde ammonta a due o tre; nel caso di tre corde quella di mezzo è un bordone.
Tra i secoli XII e XV la viola medievale si sviluppò gradualmente. Il manico fu separato dalla cassa e fu incollato ad essa. Probabilmente già nel secolo XIV si costruivano strumenti non più scavati, ma composti di fondo, fasce e tavola. Perché il suonatore potesse maneggiare con più facilità l'archetto, la cassa fu sciancrata. La forma della cassa era tutt'altro che standardizzata: s'incontrano strumenti senza angoli nella forma della chitarra moderna, strumenti in forma di 8, e strumenti con quattro angoli circondanti la sciancratura come nel violino moderno. Il numero delle corde aumentò a poco a poco: già nel secolo XIII s'incontrano a volte strumenti con quattro o persino cinque corde. A quell'epoca incominicia nella musica europea una certa resistenza contro il bordone. Perciò un certo numero di viole non ha più bordone, altri strumenti lo hanno ancora, ma separato dalle altre corde e attaccato a un pirolo infisso vicino al bordo della paletta, sicché il bordone corre non sopra la tastiera, ma accanto. Così il bordone diventa una corda facoltativa. Intorno al 1280 il domenicano Hieronymus de Moravia, vivente a Parigi, dà tre accordature per la viola, di cui quella più interessante è a quattro corde senza bordone: Sol1 - Do2 - So!2 - Re3: quasi l'accordatura della viola tenore del '500, '600, e dell'inizio del '700.
In Asia tutti gli strumenti ad archetto sono suonati in posizione verticale, appoggiati sul ginocchio o a terra. L'archetto è sempre tenuto con il palmo della mano in avanti. Durante il tardo Medioevo furono introdotte in Europa due innovazioni. In primo luogo l'archetto veniva tenuto talvolta col dorso della mano in avanti. (Si pensi alla posizione della mano destra d'un suonatore del violoncello attuale.) In secondo luogo strumenti ad archetto non troppo grandi venivano spesso appoggiati contro la spalla o il petto, come il violino o la viola moderni.
La viola medievale ha due discendenti diretti nel secolo XVI e nella prima metà del XVI, entrambi conservanti il vecchio nome lira: la lira da braccio con cinque corde tastabili e ancora due bordoni laterali, strumento che, come indica il nome, viene appoggiato contro la spalla o il petto, e la lira da gamba, generalmente con dodici corde tastabili e tra due e quattro bordoni. Di vecchio stampo in tali strumenti sono sopratutto la paletta con piroli frontali e l'uso di bordoni. Dato che strumenti di questo tipo non sono rappresentati in questa collezione, sia sufficiente questa menzione.
Dal secolo XII sino all'inizio del XVI s'incontrano le più diverse mescolanze tra i tipi degli strumenti ad arco. A volte si trova persino un liuto ad archetto! La combinazione più importante fu quella tra il ribecchino e la viola medievale. E nota una serie notevole di raffigurazioni di viole medievali - che hanno sul ribecchino il vantaggio di un numero maggiore di corde (quattro o cinque) - con cavigliere curvato con piroli laterali del ribecchino, piroli più facilmente accordabili di quelli frontali. Tale combinazione è l'origine degli strumenti ad arco europei dal secolo XVI in poi: le viole da gamba dall'inizio del '500, le viole d'amore dal secolo XVII, e le viole da braccio apparse verso il 1530.
C'è infine un'osservazione assai interessante da fare. Ogni cultura - anche ogni cultura musicale - fa una scelta tra le possibilità illimitate offertele. Un esempio di tale scelta quasi esclusiva nella musica extraeuropea è quello di varie isole indonesiane che hanno orchestre (gamelan) composte maggiormente di idiofoni. Strumenti ad arco li troviamo nelle culture dell'Asia e del Maghreb africano, ma solo in quantità ridotta. Sembra invece che la musica europea del secolo XVI facesse una scelta esclusiva quasi come quella indonesiana: nella nostra musica gli strumenti ad arco rivestono un ruolo estremamente importante. Ancora nel nostro secolo tali strumenti formano il nucleo delle orchestre sinfonica e d'opera; e la forma più importante di musica da camera è sempre il quartetto d'archi. Tale preferenza per gli strumenti ad arco non è determinata dalla natura, dall'evoluzione biologica o sociologica, perché, se questo fosse il caso, troveremmo la stessa preferenza in altre culture evolute. La preferenza europea per gli strumenti ad arco è basata su una scelta più o meno cosciente, ma difficilmente spiegabile.
Le viole d'amore sono strumenti ideati nel territorio di lingua tedesca, malgrado il nome italiano, per la cui spiegazione esistono d'altronde varie ipotesi, nessuna delle quali soddisfa completamente. Ad ogni modo le fasce dei due tipi di viola d'amore, la cui altezza va da 40, sino a 65 mm, sono così basse che ne risulta che gli strumenti dei due tipi erano suonati appoggiati contro la spalla o il petto, come il violino. Dal diario di John Evelyn (1679) sino a Johann Philipp Eisel (Musicus autodidaktos, 1738) la viola d'amore è descritta come uno strumento con le misure approssimativamente d'un violino o d'una viola, con fasce basse, con cinque o sei, a volte sette corde, di cui la maggior parte è di metallo. Oggi le corde di metallo sugli strumenti ad arco sono considerate normali. Però, non si dimentichi che ancora negli anni 1 930-40 un violino era provvisto di corde di minugia, tranne la Mi4, che il più delle volte era di acciaio. Tanto di più l'uso di corde strofinate di metallo fu innovativo nei secoli XVII e XVIII, e la reazione dei vari autori fu disparata: consideravano tali corde dolci, aspre o argentine.
Per questo tipo di viola d'amore ci sono varie accordature che consistono sempre in una triade arpeggiata. Quella più comune è: Sol2 - Do3 - Mi(b)3 - So13 - Do4. Questo tipo fu costruito soprattutto nella Germania settentrionale (Joachim Tielke ad Amburgo, Paul Albrecht a Danzica), occasionalmente anche nel meridione del territorio di lingua tedesca e in Italia.
Frattanto era stata introdotta un'altra innovazione: l'uso di corde di risonanza. Uno strumento con corde di risonanza ha due piani di corde: un piano superiore con corde generalmente di minugia che sono strofinate, e un piano inferiore con corde di metallo che hanno la funzione di rafforzare con la loro risonanza il suono delle corde strofinate. Le corde di risonanza sono attaccate, come quelle strofinate, a piroli nel cavigliere, che deve essere assai allungato malgrado il formato piccolo dei piroli. Le corde di risonanza corrono poi in un'incavatura nel manico dietro la tastiera, attraverso il ponticello, e sono attaccate a uncini nella cordiera oppure a chiodini o vitine all'estremità inferiore della cassa.
L'origine delle corde di risonanza è ancora oscura. E possibile che siano state adottate per strumenti in uso in India, dove sono applicate a certi strumenti ad arco (esraj e sarinda) e a pizzico (sarod). E un fatto che vengono già applicate a viole da gamba in Inghilterra dall'inizio del secolo XVII sino a un periodo di poco precedente il 1661, quando John Playford (Musick's Recreation on the Viol, Lyra Way) c'informa che in quell'anno tali corde in viole da gamba sono obsolete. In seguito, le corde di risonanza furono applicate soprattutto agli strumenti seguenti:
- baritono o viola di bardone nella regione meridionale del territorio di lingua tedesca nei secoli XVII e XVIII;
- viola d'amore dalla fine del secolo XVII;
- hardingfele norvegese dalla fine del secolo XVII;
- nyckelharpa svedese dal secolo XVIII;
- trompette marine organisée (tromba marina con corde di risonanza) in Francia nel secolo XVIII;
- pochette d'amour (sordino con corde di risonanza) in Francia nel secolo XVIII.
La viola d'amore classica ha sei o sette corde strofinate di minugia, e lo stesso numero di corde di risonanza di metallo. Ci sono varie accordature, che anche qui consistono generalmente in triadi arpeggiate. Quella più comune è: Re2 - (Fadiesis2) - La2 - Re3 - Fa - La3 - Re4.
Questo tipo di viola d'amore ha la sua origine verso la fine del secolo XVII nel meridione del territorio di lingua tedesca, probabilmente a Salisburgo, dove l'ideatore fu verosimilmente Johann Paul Schorn. All'inizio del secolo XVIII la viola d'amore classica si diffuse a Vienna, in Boemia, in Sassonia, poi negli anni 1710 in Italia. Dopo la fine del secolo XVIII l'uso della viola d'amore classica diminuì, ma lo strumento non cadde mai in disuso, come testimonia l'applicazione in composizioni di Giacomo Meyerbeer, Jules Massenet, Giacomo Puccini, Wilhelm Kienzl, Hans Pfitzner, Paul Hindemith, Frank Martin e altri.
I due tipi di viola d'amore hanno una cassa del tipo della viola da gamba barocca - spalle spioventi; angoli non sporgenti; fondo piatto, eventualmente con una piega verso il manico, con due catene, una sulla piega e una nella parte inferiore, e una piastra centrale come supporto per l' anima; senza aggetto del fondo e della tavola sopra le fasce -, ma, come s'è già detto, con fasce basse, e con fori di risonanza in forma di serpe, di fiamma, o di uncino, eventualmente con occhielli inferiori o centrali. In molti casi c'è una rosetta in prossimità della tastiera. La tavola è sempre bombata, ci sono zocchetti superiore, inferiore e negli angoli e controfasce, catena longitudinale sotto la tavola e anima. Il manico è sovrapposto allo zocchetto superiore, ha generalmente una sezione semicircolare che impedisce l'uso di legacci, e termina con una testa umana o animale, spesso di putto o di "amorino", frequentemente con ali o con una benda sopra gli occhi, ma negli strumenti italiani generalmente con un riccio. Lo strumento ha una tastiera, un ponticello e una cordiera speciali, adattati a sei o sette corde; la cordiera è normalmente attaccata con una corda di minugia a un bottone reggicordiera nello zocchetto inferiore.
Esistono viole d'amore speciali, chiamate da Leopold Mozart (Violinschule, 1756) englisches Violett. In tedesco la parola "englisch" può avere due significati, "inglese" o "angelico". A causa della testa di putto o di "amorino" che spesso forma la terminazione del cavigliere negli strumenti d'oltralpe, Leopold Mozart applica la parola nel senso di "angelico". In italiano si usa generalmente la traduzione sbagliata violetta inglese.
Secondo Leopold Mozart la violetta inglese ha un numero di corde di risonanza che ammonta a due volte quello delle corde strofinate. In pratica s'incontrano strumenti di questo tipo con altri numeri di corde di risonanza che devono, però, sempre superare quello delle corde strofinate. Così, il 1762 di questa collezione (scheda nctn 00000069) ha sette corde strofinate e dodici corde di risonanza. Le corde strofinate hanno la stessa accordatura di quella della viola d'amore normale; sull'accordatura delle corde di risonanza non si hanno notizie. Nella maggior parte dei casi la cassa della violetta inglese ha una sagoma speciale con curvature e tagli nelle tre parti. Tutte le violette inglesi provengono dalla parte meridionale del territorio di lingua tedesca, e dalla Boemia.