Museo Internazionale e Biblioteca della Musica
Strada Maggiore, 34
Bologna (BO)
Palanca Carlo
1688 ca./ 1783
oboe

legno di bosso,
corno,
ottone,
acciaio
mm
Misure: lu. totale coi tre pezzi di ricambio 554/ 560,5/ 567.,
Altre misure approssimative: lu. dei pezzi superiori 207/213,5/219//lu. dei tenoni dei pezzi superiori 20/ 20/ 20,5//lu. del pezzo inferiore 206//lu. del tenone del pezzo inferiore 25//lu. della campana 141//distanza tra l'ingresso e I 136/139/144//II 165
sec. XVIII (1750 - 1750)
n. 1800
In tre pezzi, con tre pezzi superiori di ricambio. L'ingresso dei tre pezzi di ricambio è rinforzato da una parte esternamente cilindrica con due anelli, un rigonfiamento, e un altro anello, tutti ricavati dal legno del tubo. Le estremità superiori del pezzo inferiore e della campana sono tornite a rigonfiamento. Verso l'estremità inferiore del pezzo inferiore due anelli sono ricavati dal legno del tubo per il supporto delle chiavi. La campana ha due fori di risonanza e un risalto verso l'interno all'uscita. C'è un anello di corno intorno all'estremità superiore del pezzo inferiore. Un anello di corno intorno all'uscita fu posto nel restauro del 1989. I fori III e IV sono duplicati. Nel pezzo di ricambio più lungo il foro II originale è stato chiuso con un tassello, ed è stato praticato un nuovo foro II, ovviamente per migliorare l'intonazione.
Due chiavi (Mib e Do) di ottone. I piattini sono ottagonali (rettangolari con angoli smussati), piatti e provvisti d'una guarnizione di cuoio. Il piattino di Mib è fatto in un pezzo con la leva. La paletta di Do è a farfalla, quella di Mib è a ghianda con due spine. Le chiavi hanno supporti negli anelli. Le molle di acciaio non sono attaccate alle palette.

Sono da distinguere due tipi di strumenti ad ancia doppia, entrambi in origine sempre con un tubo diritto. Il primo tipo ha la cameratura cilindrica. A questo tipo appartengono l'aulòs dell'antichità greca, la tibia di quella romana; tale strumento è raffigurato anche nell'arte etrusca, ma il nome etrusco è sconosciuto. Tali strumenti venivano suonati sempre raddoppiati (un unico suonatore suonava due strumenti). L'ancia era spesso doppia, ma a volte era applicata un'ancia semplice battente. Questo tipo ha la sua origine nel bacino orientale del Mediterraneo, essendo usato anche dagli Egizi e dai Fenici. Tali strumenti, benché ormai senza raddoppiamento, sono usati nel Caucaso, in Cina (kuantzu) e in Giappone (hiciriki). A prescindere dal Caucaso, questo tipo è ormai estinto in Europa.
Il secondo tipo di strumento ad ancia doppia ha la cameratura conica. Il tubo è di legno, ma la campana può essere metallica. Era già noto nel Medio Oriente nei primi secoli dell'era volgare e fu poi diffuso dagli Arabi. Così raggiunse verso est la Persia (zurnâ), l'india, il Tibet, la Cina, la Mongolia, la Birmania, i paesi dell'Asia sudorientale, e diverse isole dell'Indonesia (Giava, Madura, Bali, Lombok, Celebes); e verso ovest la regione della penisola balcanica, e la regione maghrebina, da dove si diffuse verso il sud sino agli Haussa e i Peul.
Lo strumento fu introdotto nell'Europa occidentale dagli Arabi attraverso la Sicilia e il continente italiano: vi è attestato nell'iconografia già nel secolo XII. Dall'Italia si diffuse verso il Nord, e ancora nel secolo XIV veniva chiamato in Germania walsch rôr (tubo romanico, o italiano). Tali
cialamelli, come s'è già detto, potevano avere nel Medioevo italiano grandi campane metalliche, ma in genere avevano - e hanno ancora - campane lignee. Questo vale ancora per il successore dello strumento medievale nella musica popolare italiana: il piffero, generalmente suonato insieme con la zampogna.
Dalla fine del secolo XV sino alla metà del secolo XVII gli strumenti ad ancia doppia ebbero uno sviluppo senza pari. In primo luogo vennero ideate molte varianti, in parte in Italia (bassanelli, sordoni, doppioni, dolzaine), in parte al nord delle Alpi (fagotti, cortaldi, cialamelli con cappelletto, cromorni, schryari). Le differenze tra queste varianti consistono in vari elementi: la conicità (o il grado di conicità) o cilindricità della cameratura; la sua eventuale piegatura (sordoni, doppioni. fagotti, cortaldi), e l'uso d'un cappelletto (cialamelli a cappelletto, doppioni, dolzaine, cromorni, schryari) o meno.
In secondo luogo, quasi ognuna di queste varianti fu estesa a formare una famiglia con un numero di membri tra tre (bassanelli, schryari) e sei. I cialamelli normali e i fagotti si svilupparono sino a formare famiglie con sei formati e sei fondamentali diversi.
Questa predilezione per le ance doppie e per il timbro stridente prodotto da esse scomparve quasi di colpo intorno alla metà del secolo XVII. Strumenti ad ancia doppia con un cappelletto hanno lo svantaggio che con essi è impossibile produrre armonici, sicché l'ambito rimane sempre ristretto, generalmente a una nona. Scomparvero intorno al 1650, dunque, tutti i tipi di strumenti con cappelletto. Scomparvero anche molti tipi di strumenti ad ancia doppia senza cappelletto, benché qualcuno (specie il cortaldo) rimanesse in uso, però con cambiamenti di forma e di tecnica, sino all'inizio del '700. Di tutta la ricchezza rinascimentale rimasero solo il cialamello soprano su Re2 o Do3, e il "fagotto corista" o fagotto basso su Do1. Entrambi questi strumenti hanno una cameratura conica e vengono suonati senza cappelletto. Intorno al 1650 l'ambito del cialamello soprano era d'una duodecima (ottava e quinta), mentre il "fagotto corista" si estendeva per due ottave e mezza (decimanona). In linea di principio il cialamello e il "fagotto corista" sono ricavati - come i flauti dolci e traversi e tutti gli altri strumenti ad ancia doppia con l'eccezione del bassanello - da un unico pezzo di legno. Tra cialamello e "fagotto corista" ci sono tre differenze principali. In primo luogo, benché entrambi gli strumenti abbiano una cameratura conica, la conicità è ben più spiccata nel cialamello, che ha inoltre una campana con un forte allargamento. In secondo luogo, il cialamello ha sempre un tubo diritto, mentre il tubo del fagotto ha una piegatura: dall'esse il tubo procede verso il basso, poi in fondo alla culatta si svolge in su sino al foro d'uscita che si trova ben più in alto dell'esse. In terzo luogo, l'ambito del fagotto ha un'estensione notevole verso i bassi. Semplificando un poco, si può dire che il cialamello soprano produce con la copertura dei fori I-VI il Re3, e che ha poi un foro per il mignolo o una chiave aperta d'estensione, pure per il mignolo, per Do3. Il "fagotto corista" invece produce con la copertura dei fori I-VI il Sol1, mentre ha fori e chiavi d'estensione, con cui viene raggiunto verso i bassi il Do1.
Un fenomeno speciale nel fagotto rinascimentale è che a volte il foro d'uscita è coperto da una graticola di legno o di metallo per addolcire il suono. Tutto sommato, tale graticola non s 'incontra più dopo il 1700. Un'eccezione, però, è l'oboe tenore 2813/2814 (scheda 42 catalogo van der Meer) sempre della collezione del Museo della Musica che la possiede ancora.
La costruzione dei cialamelli, come quella dei flauti, subì cambiamenti radicali in Francia con l'attività d'un membro o di vari membri della famiglia Hotteterre negli anni '70 del Seicento. Lo strumento che ne risultò è chiamato oboe. Che questo strumento fosse ideato in Francia, spiega anche l'etimologia del nome. Lo strumento, fatto normalmente in legno, aveva allora - e ha ancora, benché in misura decrescente nel corso dei secoli - un timbro stridente, alto e venne chiamato hautbois, legno alto, nel senso di una sonorità penetrante. Ora, nel francese del '600 il dittongo Oi era pronunciato non, come oggi, uà, ma oè, il che spiega la traslitterazione italiana oboè. Più tardi, in Italia l'accento fu spostato e il nome divenne òboe.
Già nel 1666 un Giovanni della Rue di nazionalità francese suonava l'oboe all'Accademia Filarmonica di Bologna, e Bartolomeo Bismantova di Ferrara scrisse la sua Regola generale per suonare l'oboè nel 1688-89.
L'oboe ha un tubo normalmente diritto, una cameratura conica ed è composto di tre pezzi: il pezzo superiore con l'ingresso e con i fori I-III, un pezzo inferiore con i fori IV-VI e le tre o due chiavi, su cui torneremo più avanti, e la campana con un allargamento forte della cameratura, e, prima dell'applicazione della chiave Si2, con due fori di risonanza opposti. Negli oboi, sino ai primi decenni del secolo XIX, il bordo della campana ha un risalto verso l'interno, sicché la cameratura raggiunge il punto più largo al di sopra dell'uscita, e poi si restringe leggermente.
Ci sono tenoni alle estremità inferiori del pezzo superiore e di quello inferiore; le mortase corrispondenti si trovano alle estremità superiori del pezzo inferiore e della campana. S'intende che anche qui le mortase sono i punti più deboli nella costruzione. Per rafforzare il tubo intorno alle mortase, venivano applicate a volte delle ghiere metalliche, ma generalmente il tubo era tornito a rigonfiamento in questi punti.
Il cialamello, essendo fatto normalmente in un unico pezzo, non aveva tali punti deboli alle giunture, ma un punto debole c'era anche qui: l'ingresso, dove viene inserito il cannello con l'ancia doppia. Nel cialamello l'ingresso è sempre rinforzato con l'espansione del tubo in forma di vaso. Anche l'ingresso dell'oboe deve avere un rinforzo all'ingresso. A volte si applicava qui una ghiera, ma generalmente nei secoli XVII e XVIII c'è un rinforzo tornito dal legno del tubo intorno all'ingresso. Spesso si seguono (dall'ingresso in giù): una parte esternamente cilindrica con uno o due anelli, un rigonfiamento, un anello. Certi costruttori olandesi alquanto conservatori (Richard Haka, Coenraet Rijkel, Abraham van Aardenburg, Jan Steenbergen, Hendrik e Frederik Richters) ritengono il vaso del cialamello al di sopra del rigonfiamento dell'oboe, ma questo è un fenomeno locale. Solo in Inghilterra (Kusder, T. Collier) si costruiscono oboi senza rinforzo dell'ingresso, e quasi senza rigonfiamenti alle estremità superiori del pezzo inferiore e della campana.
Tali rigonfiamenti sono forti sino alla metà del secolo XVIII, dopo di che diventano sempre più deboli. Verso la fine del '700 e all'inizio del seguente in Italia, Andrea Fornari (1753-1841) a Venezia assunse l'ingresso con rinforzo in forma di vaso del cialamello, ed è interessante notare che
egli modellava anche i rinforzi alle estremità superiori del pezzo inferiore e della campana in forma di vaso. Con ogni probabilità, si fa sentire qui l'estetica del classicismo che tendeva a evitare troppe curve. Nella prima metà del secolo XIX i rigonfiamenti vanno scomparendo, e gli oboi dal 1850 hanno solo un rinforzo molto leggero in forma di vaso intorno all'ingresso.
I rigonfiamenti alle estremità superiori dei tre pezzi, come pure l'uscita del tubo, possono essere ornati con montature di materiale animale (avorio, corno), mentre nel secolo XIX vengono usate con sempre maggior frequenza ghiere metalliche, almeno quando il tubo è di legno. (Gli oboi d'avorio sono ancora più rari dei flauti di questo materiale.) Il punto più stretto della cameratura si trova subito dopo l'ingresso. Al di sopra di questo punto più stretto l'ingresso è alquanto allargato per procurare posto per il cannello - generalmente di ottone - con l'ancia doppia.
L'oboe è, come s'è già detto, un ammodernamento del cialamello soprano. Con la nascita dell'oboe spariscono - con l'eccezione della Germania e dei Paesi Bassi - gli altri ,membri della famiglia dei cialamelli. Solo in Germania e nei Paesi Bassi si suonano ancora nella seconda metà del secolo XVII cialamelli leggermente modificati in tre formati. Già nell'ultimo decennio del secolo XVII, però, sono ideati anche oboi più grandi, che hanno quindi fondamentali più bassi. Questi oboi speciali, dimostrano alcune differenze tecniche con gli oboi normali, ma ne seguono in linea di principio lo sviluppo, benché i perfezionamenti tecnici fossero a volte applicati agli oboi grandi un poco "in ritardo" in confronto agli oboi normali.
Anche qui, il corista, a volte differente da città in città, tra chiesa e corte, presenta problemi. Per aumentare le possibilità di adattamento a vari coristi, nella seconda metà del secolo XVIII e nella prima del XIX erano costruiti oboi con pezzi superiori di ricambio di varie lunghezze. Il numero dei pezzi di ricambio può variare tra due e quattro. L'oboe ha sei fori per le dita. Aprendo i fori uno dopo l'altro si produce la scala di Re maggiore, tramite la produzione degli armonici estendentesi per un ambito di due ottave. Nel secolo XIX e con l'oboe moderno si raggiunge negli acuti ancora una terza o persino una quinta di più. I suoni cromatici, come s'è già detto, sono realizzati tramite chiusura parziale dei fori e tramite diteggiature a forcella.
L'oboe, sino alla prima metà del secolo XIX, presenta qualche facilitazione per la chiusura parziale. Con i fori I-III chiusi, si producono Sol3 e Sol4 con I e II chiusi, suonano La3 e La4. Soldiesis3 e Soldiesis4 si producono con la chiusura parziale del foro III. Per facilitare questa, il foro III è a volte duplicato: chiudendo i due fori III il suonatore realizza Sol, chiudendo solo uno dei fori III invece Soldiesis.
Un altro problema è quello del Fadiesis3 e Fadiesis4. In linea di principio si producono Fadiesis3 e Fadiesis4 chiudendo i fori I-IV. I suoni così prodotti hanno però la tendenza ad essere troppo bassi. Per rialzarli alquanto, si apre allo stesso tempo la chiave Mib (si veda sotto), ma anche così il risultato dell'intonazione spesso non soddisfa. S'intende che si potrebbe dare al foro V una posizione più alta, ma allora sorgerebbe un altro problema. Fa3 e Fa4 si producono con una diteggiatura a forcella, chiudendo i fori I-IV e VI, e lasciando aperto il foro V. Tali Fa hanno, però, già un'intonazione alta con la posizione in cui è il foro V. Con lo spostamento del foro V più in alto, i Fa diventerebbero insopportabilmente stonati. La soluzione è collocare il foro V assai in basso, sicché i Fa diventino sopportabili, poi, per suonare il Fadiesis, aprire non solo i fori V e VIe la chiave Mib, ma anche aprire parzialmente il foro IV. Per facilitare questa apertura parziale, anche il foro IV è a volte duplicato.
Per la ragione già esposta nelle schede relative ai flauti traversi, l'oboe ha sempre una chiave chiusa per il mignolo per Mib3 (o Rediesis3). Il cialamello aveva poi un settimo foro per l'estensione dell'ambito verso i bassi d'un tono. Nei cialamelli più grandi, e a volte anche in quelli soprani, il settimo foro aveva una chiave aperta per il mignolo. Nell'oboe c'è sempre una tale chiave aperta d'estensione per il mignolo, con la cui chiusura si produce Do3. Questa chiave d'estensione si trova sempre al centro del tubo. Per rendere possibile l'azionamento col mignolo destro oppure con quello sinistro, la paletta della chiave per Do3 è a farfalla.
La disposizione della chiave per Do al centro del tubo crea una complicazione per la chiave chiusa Mib, pure azionata col mignolo. Questa ultima chiave non può trovarsi al centro del tubo, già occupato dalla chiave Do. D'altro canto, anche la chiave Mib deve essere raggiungibile dal mignolo destro e da quello sinistro. La soluzione del problema consiste nella montatura di due chiavi per Mib, una a destra, l'altra a sinistra della chiave centrale per Do. Così, l'oboe barocco ha normalmente tre chiavi: una aperta per Do, due chiuse per Mib.
Il primo sviluppo dell'oboe consiste in una diminuzione del numero delle chiavi. Nella seconda metà del secolo XVIII i suonatori d'oboe - come quelli di clarinetto e di fagotto - usavano sempre più frequentemente la posizione della mano sinistra in alto e di quella destra in basso. Così, nel corso della seconda metà del '700 veniva abolita la chiave sinistra per Mib, e anche la paletta a farfalla della chiave Do. Dal 1750 l'oboe normale ha due chiavi per il mignolo destro: una aperta per Do e una chiusa per Mib sul lato destro del tubo. Tali oboi a due chiavi erano ancora in uso nel primo trentennio del secolo XIX.
Dopo, come abbiamo visto nei flauti, furono aggiunte altre chiavi chiuse per la produzione delle note crmatiche, ma nel caso dell'oboe solo dagli ultimi anni del secolo XVIII in poi. Tali chiavi sono:
Dodiesis2 (mignolo destro);
Fa3 (chiave traversa per l'anulare destro);
Fadiesis3 si veda sotto;
Soldiesis3 (generalmente una chiave traversa per il mignolo sinistro);
Sib3 (a volte per il pollice sinistro, ma generalmente con una leva relativamente lunga per l'indice destro);
portavoce (una chiave chiusa poco sotto l'ingresso, coprente un foro con un piatto metallico perforato, e azionata generalmente col pollice sinistro, per facilitare gli armonici da MI4 in su).
La chiave Fadiesis merita un breve commento. Come s'è già detto, la posizione del foro V sul tubo è troppo bassa per produrre un Fa con un'intonazione sopportabile, vista la necessità di produrre il Fa con una diteggiatura a forcella. Ma anche dopo l'applicazione della chiave Fa la diteggiatura a forcella non venne subito abbandonata, perché in certi casi - ad esempio suonando semplicemente Mi-Fa-Sol in tonalità comuni come Do e Fa maggiore o Re minore - risulta più facile applicare tale diteggiatura. Perciò, il foro era lasciato - in parte sino ad oggi - dove era già, e per correggere l'intonazione di Fa si aggiungeva una chiave chiusa con cui, quando è aperta con l'anulare destro, si può correggere tale intonazione. Infatti si tratta qui d'una chiave di risonanza.
Sono possibili ancora altre chiavi chiuse ma, dato che lo strumenti con tali chiavi non sono rappresentati in questa collezione, rimandiamo il lettore alla letteratura specializzata.
Abbiamo già detto che l'aumento del numero delle chiavi non è sempre accompagnato dalla rinuncia a diteggiature a forcella e chiusure parziali. Perciò, anche dopo l'introduzione della chiave per Soldiesis, il foro III resta a volte raddoppiato.
Vengono anche aggiunte chiavi aperte che servono per estendere l'ambito verso i bassi. Il caso più noto è la chiave per Si2: con l'introduzione di questa chiave si rinuncia ai fori di risonanza, a uno dei quali à applicata la chiave Si2. Quindi, l'applicazione di questa chiave non implica - come nel caso dei flauti traversi - l'allungamento del tubo. La chiave per Si2 ha sempre una leva lunga ed è azionata prima col pollice, poi col mignolo sinistro.
Anche nel caso degli oboi prescindiamo dalla descrizione dello sviluppo tecnico delle chiavi, i cui dettagli sono menzionati nelle descrizioni dei singoli strumenti.
Negli anni tra il 1840 e il 1880 l'oboe venne standardizzato in gran parte a Parigi, soprattutto col lavoro di Guillaume Triebert, di nascita tedesca, e di suo figlio Frédéric. In questa collezione non sono rappresentati oboi in cui si applicano il sistema francese o sistemi affini, sicché per questa materia rimandiamo il lettore a opere specializzate.
Carlo Palanca nacque intorno al 1688, figlio di Lorenzo, a Palanca in Val Sesia. Fu assunto come suonatore di "bassa d'hautbois", cioè di fagotto, nella cappella reale di Torino nel 1719, dove conobbe l'oboista Alessandro Besozzi. Nel 1770 fu pensionato. Dettò il suo testamento il 19 gennaio 1783. Morì il 23 dicembre dello stesso anno.
Fu attivo anche come costruttore di flauti dolci, flauti traversi a una chiave, oboi a due chiavi e fagotti a quattro chiavi. Si conoscono commissioni di flauti traversi e dolci del 1748 e del 1755 (per la cappella reale di Torino) e di oboi nel 1773 (Lisbona). Quest'ultima commissione non fu eseguita con soddisfazione del committente, il che è spiegabile col fatto che il Palanca aveva allora già più di settant'anni (Bernardini 1985).
La snellezza dello strumento e la leggerezza dei rigonfiamenti suggeriscono che lo strumento sia stato costruito negli ultimi anni dell'attività di Palanca.
La data di produzione di questo oboe non dovrebbe distare molto da quella del flauto nctn 00000011.