Palagi Pelagio
1775/ 1860
Altra Attribuzione: Rosaspina Antonio
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 143 (la) 217 (a)
sec. XIX (1828 - 1830)
n. H 1750
Forma rettangolare, leggibilità verticale.

Il dipinto è rimasto esposto dal 1936 al 1988 nelle Sale delle Collezioni Comunali d'Arte come opera di Antonio Rosaspina. L'errore è dovuto a Guido Zucchini, nel Catalogo delle Collezioni Comunali d'Arte, pubblicato nel 1936. Scoperta da C. Poppi nel 1988 la vera paternità palagiana dell'opera, è stata recentemente studiata da F. Mazzocca, che ha suggerito un confronto tra il presente dipinto, datandolo intorno al 1820, e il noto quadro di Hayez "Venere che scherza con due colombe (Ritratto della ballerina Carlotta Chabert), eseguito nel 1830 per il conte trentino Girolamo Malfatti; ed indicazioni offerte dalla lettura del carteggio di Palagi suggeriscono uno spostamento tra il 1828 e il 1830, permettendo, inoltre, di avanzare l'ipotesi che entrambe le opere avessero lo stesso committente. I documenti conservati a Bologna, Biblioteca dell'Archiginnasio (Mss. Palagi, cart. 10 nn. 121-122) sembrano indicare che il presente dipinto sia stato eseguito da Palagi su commissione di Malfatti come pendant della Venere hayeziana, circa negli stessi anni dell'esecuzione di quest'ultima. Le misure quasi uguali delle tele e la stretta somiglianza, sia nelle fattezze corporee che nel viso, delle figure femminili descritte nelle due opere sono ulteriori elementi a conferma della possibilità che la ballerina Carlotta Chabert sia stata modella sia per la Diana palagiana che per la Venere di Hayez. Che il soggetto mitologico sia stato in questo caso per Palagi un semplice pretesto per l'esecuzione di un ritratto dalle forti valenze erotiche è dimostrato dalla genericità degli attributi, che di solito contraddistinguono le rappresentazioni della dea.
Il confronto con la Venere hayeziana evidenzia in Palagi la volontà di non sacrificare alla resa naturalistica l'utilizzo di schemi compositivi classici, ma nello stesso tempo sottolinea il legame stilistico che i due artisti mantenevano con la tradizione pittorica dei loro rispettivi luoghi d'origine. D'obbligo è infatti per la Diana palagiana il riferimento alle diverse versioni della Diana e Atteone di Francesco Albani, anche se i colori acidi e freddi di questo dipinto riconducono ancora una volta a Domenichino. In rapporto al dipinto, in particolare alla figura del cane, è il disegno n.859 conservato nel Gabinetto Disegni e Stampe della Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna. (cfr. C. Poppi, in Pelagio Palagi, 1996, pp.177-179).