Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
Barbiani Giovanni Battista
1593/ 1656-58 post
dipinto murale

intonaco/ pittura a fresco
cm.
sec. XVII (1632 - 1632)
Nella pittura della cupola si distinguono due fasce concentriche: l'interna rappresenta una gloria di angeli in un fondo di luce dorata; l'esterna, sopra un fondo di cielo turchino, l'Immacolata fra un coro di angeli, a cui fanno seguito gli Apostoli. E' nota la particolare devozione dei Camaldolesi per la Regina degli angeli e dei santi. Fra la zona esterna e quella interna corre un cerchio di nubi da cui si affacciano angeli musicanti; nella parte interna, verso il centro, una corona di teste di serafini fra raggi che piovono dall'alto: otto angioletti sorreggono la cornice della lanterna. La Vergine, che presenta il viso ovaleggiante tipico delle Madonne del Barbiani, è raffigurata con i piedi posati sulla falce di luna; ha lo scettro in mano, una corona di stelle intorno al capo, e appare in una movenza come di minuetto, accentuata dal gesto col quale sostiene un lembo dell'ampia veste.
La teoria degli apostoli occupa poco più della metà del fascione verso levante. Ai due estremi, verso il nord San Paolo, colto in una mossa enfatica, regge un grande spadone; dalla parte opposta San Pietro, in un goffo atteggiamento, tiene con una cordicella due immense chiavi recate da un angioletto. Un altro angioletto regge la croce decussata a cui si appoggia Sant'Andrea. San Giovanni, giovane dai riccioli biondi, ha il calice da cui sbuca il simbolico serpentello, e l'aquila ai piedi. San Bartolomeo, che viene subito dopo, coperto in parte da un gran manto e ignudo nel resto del corpo, sembrerebbe un Diogene se non brandisse il coltello con una posa quasi aggressiva. Seguono Matteo, seduto con il libro in mano; accanto e dietro lui Simone e Giuda con gli strumenti del loro martirio: la sega e l'alabarda. Dietro Simone si presentano Giacomo minore con il bastone, poi una figura di apostolo in piedi, con un libro in mano, che potrebbe essere Matteo. Tommaso, a mezzo busto, emerge fra le nubi con l'angelo che porta la squadra; alle sue spalle è Filippo con la croce; quindi Giacomo maggiore con il libro in mano e il bastone da pellegrino al quale sono legati nastri sventolanti.

La chiesa ravennate dei Camaldolesi, dedicata al loro fondatore, non era ancora terminata nelle sue strutture quando a Giovanni Battista Barbiani, che già aveva lavorato per il monastero di Classe, fu dato l'incarico di decorare la grande cupola.
Risulta dai pagamenti effettuati dai monaci che il disegno per la pittura del Barbiani fu fatto dal "Signore Francesco Peparelli Architetto in Roma". Veramente il Peparelli è ricordato come architetto, e autore di vari progetti per edifici sacri, sepolcrali e profani in Roma (fra i quali il palazzo dei Santacroce), e non figura, per quanto è dato sapere, mai come pittore. Resta il fatto che per il suo lavoro il Peparelli ricevette un compenso dai monaci di Classe, mentre poi il lavoro del Barbiani nella cupola non ha nulla che riveli i caratteri di un altro artefice. Qualunque sia la portata dell'opera del Peparelli, schizzo o abbozzo o altro, non sussiste alcun dubbio che Barbiani abbia saputo realizzare il lavoro a modo suo, come del resto si deduce anche dalla scarsa entità della somma pagata al Peparelli, scudi 8 e baiocchi 40, a confronto dei 150 scudi dati al Barbiani (Archivio di Stato Ravenna, Corporazioni Religiose Soppresse, n. 425, Entrata, et Uscita del Venerabile Monasterio di Classi di Ravenna, cc. 217 r., 222 r., 224 v., 226 r., 228 r.) senza la spesa del materiale (n. 425, cc. 217 r. e 218 r.). Ma vi è di più: come si ricava da uno dei documenti che si conservano all'Archivio di Stato di Ravenna (Classe, n. 425, c. 223 v.), i cartoni il Barbiani li eseguì da sé. Pare quindi lecito supporre che la parte del Peparelli si riducesse a semplici disegni sommarii, quasi a un'idea generale, e che il Barbiani in sostanza facesse opera pressoché integralmente originale, come ha ben intuito Luisa Faenzi (1926). Perché poi i Camaldolesi si rivolgessero al Peparelli, al quale troviamo compensati i disegni "per le mani del nostro Don Michele Romano" (Classe, n. 425, c. 216 v.), è cosa che non possiamo stabilire, anche per la mancanza di notizie biografiche intorno a quel "monaco architetto" che viceversa nei documenti è laicamente citato come "Signor Peparelli".
Giovanni Battista Barbiani cominciò a lavorare nel marzo del 1632, nel quale mese furono, anche per mano dell'architetto Luca Danesi che aveva frattanto condotto a buon punto la fabbrica della chiesa, acquistati i colori e le terre (Classe, n. 425, c. 217 r.), e fu fatta l'impalcatura per il pittore (Classe, n. 425, c. 218 r.); e aveva già terminato fra gli ultimi giorni di agosto e i primi di settembre, perché il 3 settembre gli fu saldato il conto del suo avere: nella prima metà di ottobre già si era finito di indorare "la Cornice, et Nicchi [pennacchi] della Cuppola (sic)" (Classe, n. 425, c. 230 r.). Giovanni Battista Barbiani, autore di numerose opere da cavalletto, si cimentava allora per la prima volta con l'affresco, affrontando la superficie curvilinea di una cupola e tentando di risolvere complessi problemi prospettici.
Come già aveva notato Luisa Faenzi, le figure del collegio degli apostoli sono dunque quattordici: considerando che Paolo non faceva parte del gruppo degli apostoli, resta una figura in soprannumero, della quale si può escludere che rappresenti il santo titolare. A questa mancanza pose rimedio il famoso dipinto del Guercino, ora in Pinacoteca, che fu collocato nella cappella del Santo il 4 febbraio 1642, cinque anni dopo la consacrazione della chiesa, e il grande affresco del coro rappresentante la Visione di San Romualdo. Nell'affresco della cupola classense predominano nelle vesti i toni gialli, con i quali non si armonizzano bene le note violacee, rossicce e verdi. L'opera è vasta e popolosa, ma in tutta la zona esterna si coglie una ricerca sforzata di pose drammatiche e di magnificenza formale. Ogni figura è isolata rispetto alle altre come se posasse; ne risulta un complesso di parti slegate l'una rispetto alle altre, di gesti teatrali, tanto più discordante in una città assuefatta ad apprezzare nelle sue basiliche le calme ordinanze ritmiche dei mosaici. Più omogenea invece, e più squisitamente concepita anche sotto l'aspetto cromatico, la parte che comprende i cori angelici. E' evidente come, in certi punti, Giovanni Battista si sia avvalso di aiuti.