Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
Martinetti Antonio
notizie prima metà sec. XVIII
scultura

stucco
cm.
altezza escluso basamento 240 ca.
sec. XVIII (1708 - 1708)
Guido d'Arezzo, rappresentato a figura intera, solleva la mano destra con la palma rivolta all'alto, come a dirigere un'orchestra o un coro, e con la sinistra esibisce il foglio di uno spartito con sopra segnata in oro una scala musicale e una mano con la palma aperta vista frontalmente, probabilmente allusiva alla Mano guidoniana o Mano armonica. Su una cartella in stucco in alto è un'iscrizione.

Nella Biblioteca Classense si conserva l'atto di impegno da parte dello scultore Antonio Martinetti (Mob. 3. 5. G2/15) che qui si riporta per esteso: "Al nome di Dio Addì 8 marzo 1708. Con la presente scrittura da valere, e aver forza di pubblico e giurato [...] si fà noto, che il Sig.r Ant° Martinetti di Fran.co Luganese, stuccatore del continuo habitante in Ravenna promette e si obliga in f.a Cam.a Ap.a fare conforme all'arte sua le infrascritte operationi nel vano della Libraria nova della Rma Abb.a di Classi di Rav.a, cioè:
Quattro statue grandi poco più del naturale nelli quattro angoli di d.ta libraria, che devono rappresentare le quattro virtù, o altre scienze secondo il gusto del P.R.mo Ahbate; tenendo in mano dette statue gli fr[...] allusivi ad esse.
Due Angeli grandi vestiti, e poggiati sopra il frontispicio della porta della parte di dentro, tenendo in mano una cartella grande al proposito, per scriverli dentro alcune memorie in lettera.
Quattordici Puttini nudi, due di q.ti sop.a il quadro grande, che si vedrà in faccia nell'entrare, tenendo pur essi in mano una cartella: otto per li quattro tondi, che devon farsi sopra il Cornicione, tenendo essi tondi [...] con un panno, altri quattro per le due cartelle sopra le cornici, come sul disegno.
Quattro Cartilloni grandi al proposito in proportione del med.° disegno attaccati alla volta di essa libraria.
Quattro Scudi ne' quattro angoli sopra le quattro statue.
Due modiglioni sulle due Pilastrate del sopradetto quadro della pittura, come nel disegno approvato dal P. Cignani.
Quattordici [...] per quanto s'aspetta all'intaglio, come in disegno, ed à proporzione del med° fra una finestra e l'altra.
Dieci finestre, per quanto s'aspetta all'intaglio secondo li disegni approvati dal dto P. Cignani.
Quali operazioni suddette promette il prefato Sig. Antonio principiare nel mese di aprile prossimo 1708 et haverle terminate perfettamente conforme all'arte per tutto il mese di ottobre sosseg.te 1708 [...].
Con patto, che sia in arbitrio del P.Rm° Abb.e ordinare la mutatione di qualche cosa non rilivante in esse operationi, purché non le accresca...".
Nel luglio 1707, innalzando i muri della sala primitiva, si cominciò, su disegno del padre Giuseppe Antonio Soratini, a costruire l'aula magna, decorandola appunto con stucchi di Antonio Martinetti luganese e con pitture a fresco e a olio di Francesco Mancini. Le scansie, a doppio ordine, furono lavorate e intagliate dal padre Fausto Pellicciotti di Lucca. Antonio Martinetti, il luganese fattosi ravennate, iniziava qui anche con la sua famiglia una scuola di abili stuccatori. Di lui traccia un breve profilo biografico il Martinetti Cardoni (1873, p. 28): "Rinomato scultore di Lugano, visse nel decimo ottavo secolo. Essendo stato a lavorare in diverse città di Lombardia, venne nelle Romagne, e fece statue tanto a Faenza, come a Lugo e a Forlì per diverse chiese: e così piacquero le sue opere, che n'ebbe lode non comune. Passò poscia a Ravenna, ed in essa parecchie opere condusse; sicché fece pensiero di scegliere questa metropoli a sua stabile dimora. Mantenne buona e durevole amistà coi Barbiani, coi Cignani, coi Graziani e con altri artefici Romagnoli. In Ravenna le sue statue si ammirano nelle chiesa di santa Maria dei Suffragi, di santa Maria Maggiore, di S. Romualdo, di S. Apollinare Nuovo e di S. Giovanni Evangelista: anche nella Classense libreria e in altri luoghi si veggono suoi lavori. Colto in avanzata età di un subito male, mentre che nella chiesa di S. Agnese faceva alcuni gessi, fu trasportato a casa; e in breve rese lo spirito a Dio. Ebbe dottrina, invenzione, sollecitudine nell'operare; e spesso condusse cose commendevoli: tuttavolta vivendo in tempi poco seguaci delle classiche discipline, dette non di rado nella maniera grossolana. Fu padre al protomedico della Romagna Gasparo Desiderio, il quale lasciò di se fama duratura per le cose da lui pubblicate a stampa".
Assieme alle due statue della chiesa di San Romualdo, queste figure che decorano i quattro angoli dell'"aula magna" (cfr. schede nctn. 00000167, 00000168, 00000169), insieme agli altri stucchi della stessa sala non sono la sola traccia dell'attività ravennate dello "stuccatore" Martinetti. Questi infatti lasciò in Ravenna numerose opere, fra cui "otto statue di stucco, innicchiate intorno" e "altri stucchi" nella chiesa di Santa Maria del Suffragio (cfr. Ricci 1923, p. 16). Ricci ricorda suoi stucchi anche in Palazzo Focaccia già Rota "grande e pesante edificio del secolo XVII" (Ricci 1923, p. 27) e nella chiesa di San Francesco di Paola. Del Martinetti sono anche gli stucchi nella cappella della Beata Vergine del Sudore in Cattedrale. Inoltre nella chiesa di Santa Maria Maggiore, le due cappelle del transetto furono decorate da Martinetti, e così pure la quarta cappella a destra nella chiesa di San Giovanni Battista. Infine, nella basilica di Sant'Apollinare Nuovo, nella navata sinistra la cappella detta di Sant'Antonio, "costrutta e decorata nel 1690 e riparata nel 1718 e nel 1906" (Ricci 1923, p. 121) è decorata anch'essa di stucchi del Martinetti.
Eugenio Riccòmini (Vaghezza e furore. La scultura del Settecento in Emilia e Romagna, 1977, p. 26), che alla scultura del Settecento in Emilia e Romagna ha dedicato, a più riprese e con appassionata esattezza, studi pionieristici, ha lasciato delle note che rappresentano un primo tentativo di approccio all'opera di questo notevole stuccatore: "A Ravenna si segnala il lombardo Antonio Martinetti, autore di parecchie statue nelle chiese cittadine, e della decorazione della libreria del convento di Classe (condotta fra il 1708 e il 1711), uno degli ultimi e più eleganti capitoli della vicenda degli stuccatori lombardi nella nostra regione".
Il musicista Guido d'Arezzo visse tra il 990 e il 1050. È ormai ammesso che egli sia nato ad Arezzo (e non in Francia o in Inghilterra o altrove). Secondo quanto egli stesso narrò di sé in due sue lettere indirizzate a un frate Michele e al vescovo Teobaldo, pare che la vita di Guido possa suddividersi in tre epoche: nella prima, la sua gioventù si svolse nel monastero di Pomposa, presso Ferrara, da dove l'invidia e la gelosia di confratelli lo obbligano ad allontanarsi; nella seconda egli effettua grandi viaggi che, dopo lunga assenza, lo riconducono in Arezzo; nell'ultimo periodo, trascorso prima in Arezzo, poi in Roma, la sua fama di didatta si diffonde per tutta Italia. Giovanni XIX lo chiama a sé e vuole da lui apprendere la maniera, da lui ritrovata, di solfeggiare e di leggere all'improvviso la musica. Minacciato e forse già tormentato dalla malaria, Guido abbandona Roma, forse col proposito di far ritorno a Pomposa; ma da allora ogni traccia di lui si perde. Non è possibile precisare in quale città e in quale anno egli sia morto. L'importanza dell'opera di Guido (che venne, col tempo, esagerata sino al punto da far ritenere quell'opera origine e base di gran parte del movimento musicale moderno) consiste, soprattutto, nel fatto che i vari tentativi praticati, prima dell'epoca guidoniana, allo scopo di dare ordine, chiarezza e precisione all'insegnamento della musica e all'interpretazione della notazione neumatica, furono da lui coordinati e completati in modo tale da dare ai cantori la possibilità di leggere e d'intonare all'improvviso, con esattezza, qualunque nuovo canto, senza l'aiuto del monocordo e senza la guida della mano del maestro. Questo risultato chiudeva un'epoca di tentativi e tentennamenti e, nel contempo, dava all'insegnamento della musica un indirizzo chiaro e semplice (cfr. Gasperini 1933, p. 253). La dottrina di Guido è esposta in parecchie opere sue, o a lui attribuite, pubblicate nelle raccolte di scritti musicali medievali di M. Gerbert e H. de Coussemaker. La più importante è il Micrologus Guidonis id est brevis senno in musica (ed. critica a cura del padre Amelli, Roma 1904). Di Guido d'Arezzo hanno trattato i dotti scrittori degli Annali camaldolesi, cioè i Padri Mittarelli e Costadoni (Ann. camald., t. 2, p. 42, ecc.) e, tra gli altri, Girolamo Tiraboschi nella Storia della Letteratura Italiana (vol. I, Milano 1833, pp. 542-545).