Museo d'Arte della Città
Via di Roma, 13
Ravenna (RA)
Thorvaldsen Bertel
1770/ 1884
scultura

marmo/ scultura
cm. 95 (a)
sec. XIX (1821 - 1822)
n. 26
Il santo è raffigurato in una posa assorta e in abito vescovile.

L'opera fu commissionata all'artista dall'Arcivescovo di Ravenna Antonio Codronchi (1748-1826) nel 1821 e collocata nel suo appartamento presso l'Arcivescovado. Alla sua morte tutti gli arredi dell'abitazione divennero, per lascito testamentario, proprietà dell'Ospedale di Santa Maria delle Croci. Essi però non cambiarono ubicazione, in quanto Codronchi aveva disposto che rimanessero a titolo di legato ai suoi successori, in cambio di una somma di ottanta scudi annui a favore dell'ospedale. Nel 1867 l'arcivescovo Enrico Orfei riacquistò tutti gli arredi del Codronchi e eccezione del Busto di Thorvaldsen. Questo, per volontà di Cesare Rasponi, presidente della Congregazione di Carità che amministrava l'ospedale e dell'Accademia di Belle Arti, nel settembre dello stesso anno fu affidato, come deposito temporaneo, all'Accademia di Belle Arti, dove fu esposto al fianco dei gessi di alcune delle più celebri realizzazioni di Thorvaldsen quali il "Ganimede", l'"Autoritratto", le "Tre Grazie" e il "Mercurio" donati dallìautore stesso all'Accademia di Belle Arti di Ravenna, coe risulta da due lettere di Alessandro Cappi datate 1830 e 1834.
Secondo il registro di spese dell'artista, iniziò a lavorare al busto di Sant'Apollinare nella primavera del 1821, giungendo alla trasposizione marmorea già nel dicembre dello stesso anno, per poi finire il lvoro nell'aprile 1922.
Bertel Thorvaldsen, scultore danese nato a Copenhagen nel 1770, trascorre la maggior parte della sua vita a Roma. arrivato nel 1797, al termine degli studi accademici, vi soggiornò fino al 1838, affermandosi come uno dei principali interpreti della scultura neoclassica. Ai tempi della commissione ravennate egli era a capo di uno studio affermato e coadiuvato da una schiera di collaboratori, uno dei quali, Pietro Tenerani, in una lettera datata 1868 a monsignor David Farabulini, afferma di essersi occupato "intieramente del modello non solamente, ma anche negli ultimi ritocchi del marmo" (Farabulini D., Storia della vita e del culto di Sant'Apollinare, vol. I, p. 528). Marcella Culatti a questo proposito nota come l'impiego di manodopera altamente qualificata nello studio dello scultore non intacchi "in alcun modo il concetto di autografia e originalità [...] Non si può pertanto escludere che il modello cui allude Tenerani sia la prima forma in gesso di un bozzetto del maestro, e non il riferimento a una sua ideazione autonoma".
Per quanto riguarda il nome inciso sul Busto: "A. Thorvaldsen", si deve intendere, per la A. puntata, l'iniziale del nome con cui lo scultore volle farsi chiamare sin dal suo arrivo a Roma: Alberto.