Museo d'Arte della Città
Via di Roma, 13
Ravenna (RA)
Carrari Baldassarre
1460 ca./ 1516
Altra Attribuzione: Nicolò Rondinelli
dipinto

tavola/ pittura
cm. 138 (la) 180 (a)
sec. XVI (1510 - 1516)
La tavola raffigura la Madonna in trono con il Bambino in braccio, ai lati una Santa martire e San Sebastiano. Appare frammentaria ai due lati e forse anche in alto. Attualmente l'opera è composta di quattro assi verticali, una quinta, a destra, era già perduta nel 1902, al momento della consegna alle Gallerie dell'Accademia.

Gli studi promossi dal Museo d’Arte della Città di Ravenna, in occasione dell’intervento di restauro, hanno riaperto la discussione sull’attribuzione. L’ipotesi formulata da Stefano Tumidei nell’ambito delle ricerche condotte da Manuela Malaigia per la tesi di laurea, ripresa poi da Alberta Fabbri in seguito alla prematura scomparsa dello studioso, si basa sul raffronto con la pala di Longana, Sant’Apollinare in trono fra i santi Sebastiano e Rocco, un’opera licenziata da Baldassarre Carrari (Forlì, 1460 circa – Ravenna?, 1516) per la parrocchiale di Longana nel 1515. Si tratta di un’opera ultima, e di alta qualità, che compendia la cultura artistica del pittore forlivese. La civiltà prospettica di Melozzo e Palmezzano, con il quale il pittore ha condiviso gli anni formativi, si coniugano con l’atmosfera lagunare mutuata da Nicolò Rondinelli, con il quale Carrari entra in contatto a seguito del suo trasferimento a Ravenna agli inizi del Cinquecento, reso necessario dal successo di Palmezzano nelle commesse su Forlì. Nella pala di Cervia i tratti addolciti del volto della Madonna, impreziosito dal volteggiare delle pieghe del velo, sono da leggersi in relazione al contatto con i modi di Rondinelli, sia pur nella persistenza di aspetti della civiltà prospettica che si precisano nel trono. La bizzarria delle grottesche, infatti, trova conferma nella pala di Longana, dove la base del trono è popolato dagli stessi ibridi antropomorfi.

La relazione della Soprintendenza speciale per il Polo Museale Veneziano sottolinea come in passato il supporto abbia subito massicci attacchi da parte di insetti xilofagi. Per precauzione, prima della riconsegna al Museo d'arte della Città di Ravenna, è stata stesa una mano di Permetar. Nonostante la devastazione effettuata dai tarli il legno si presenta solido, non spugnoso: forse è stato consolidato mediante impregnazione di una resina sintetica (es. Paraloid B 72).
Del restauro eseguito nel 1962 da Antonio Lazzarin non esiste documentazione sui procedimenti e materiali usati e men che meno documentazione fotografica. All'intervento di Lazzarin dovrebbero riferirsi gli interventi di risanamento del retro del supporto: rinforzo con cunei lignei lungo le linee di fessurazione; chiusura con inserti lignei delle lacune del legno passanti anche sul recto del dipinto; posa di tre traverse scorrevoli collocate in senso trasversale alle fibre del legno originale. Il risanamento, secondo la relazione della Soprintendenza, sembra di buona qualità e ancora perfettamente funzionante. Giulio Cantalamessa (in quegli anni direttore delle Gallerie) rilevava nel 1901, dopo aver visto l'opera: " V'è una Madonna in trono col putto, tra una santa martire e S. Sebastiano. Ma la santa è ridipinta tutta ad imitazione di una figura di Iacopo Tintoretto, ch'è nel Palazzo Ducale di Venezia; si vedono vagamente sotto alle tinte le tracce di un'altra figura, ch'era affatto diversa. Il resto è genuino, ma logoro alquanto e mal tenuto; né mancano scrostature, che offendono il fondo e, in parte, certe bizzarre grottesche che adornano la predella del trono. Si aggiunga che le tavole componenti la pittura sono molto disgregate".
La situazione delineata dal Cantalamessa è sostanzialmente la stessa che ci è documentata nella foto pubblicata da Sandra Moschini Marconi (Gallerie dell'Accademia di Venezia. Opere d'arte dei secoli XIV e XV, Roma 1955). Non esistendo, come abbiamo detto, alcuna documentazione del restauro del 1962, non è possibile sapere se un qualche intervento è stato effettuato sulla pellicola pittorica. Eppure un qualche intervento deve essere stato fatto, quantomeno in ambito conservativo: limitate riadesioni dei sollevamenti del colore e di qualche velatura portata sul gesso delle zone di preparazione rimaste scoperte. Nessuna pulitura della superficie pittorica è stata tentata allora né in seguito, a parte un piccolo e leggero saggio rilevabile nel lato sinistro del dipinto.
Già nell'Ospedale di Cervia e acquistata nel 1901 per L. 300 dall'Accademia di Belle Arti di Ravenna, la tavola fu depositata, nel 1902, presso le Gallerie dell'Accademia di Venezia, in cambio di una "Ultima Cena" di Matteo Ingoli.