tela/ pittura a olio
sec. XVII (1670 - 1690)
L’opera entrò a far parte della Pinacoteca in seguito al lascito della signora Livia Scavini, nipote del letterato Dionigi Strocchi. La vicenda critica è caratterizzata essenzialmente dall’ attribuzione a due artisti coevi che hanno svolto la loro attività pittorica a Venezia: tradizionalmente riconosciuta come opera di Andrea Celesti a partire dall’Ivanoff e confermata dalla letteratura critica successiva, lo stesso Golfieri accosta l’opera ad un’altra del Celesti, Gli Israeliti che sacrificavano agli idoli, trovando delle affinità soprattutto nella figura “…dell’uomo camuso col buffo copricapo a berretta.”; Voss invece sostiene che sia “opera indubitabile” di Antonio Zanchi “del quale ha tutte le caratteristiche”, rimarcando che, mentre il Celesti “…stende liquide le colate delle sue tinte a spiegare a volte intensità rembrandesche”, Zanchi “… mantiene una certa rigidità di linea, muovendo le sue masse con un certo equilibrio ritmico e fissando i suoi colori con una serena contenutezza”.