tela/ pittura a olio
sec. XVIII (1790 - 1799)
Il dipinto è pervenuto alla pinacoteca faentina, insieme a "La vestale Emilia" e "Rea Silvia e la principessa Anto". Dovevano cosituire un'unica serie, ispirata alle vicende crudeli di alcune protagoniste della storia romana. Rosemblum (1967) ha colto l'importanza e il successo che, soprattutto alla fine del Settecento, "bloodcurdiling legends" di questo genere trovavano fra gli artisti francesi. Anche in Italia, il tema conobbe una grande fortuna da Cades (Roma, Palazzo Altieri) a Giani (Faenza, Palazzo Milzetti, sala di Numa Pompilio), a Giuseppe Bossi, a Camuccini ".. per quel tanto di drammatico, misterioso e fatale che vi si concedeva alla sensibilità preromantica, a cui Giani partecipava certo più profondamente rispetto agli altri artisti citati". Sullo stesso tema delle vestali, altri disegni di Giani si conservano al Gabinetto Nazionale della Farnesina (vol. 2602, F. N. 8672, F. N. 8789, F. N. 8805 e un'altra serie nell'album Inv. n. 13257) e al Museum of Art di Providence, Rhode Island ("Le Vestali mostrano il testamento di Augusto a Tiberio e al Senato). Il soggetto di questo dipinto non è chiaro, forse si riferisce a Cecilia, figlia (non moglie) di Lucio Cecilio Metello Dalmatico, la quale divenne la quarta moglie di Silla nell'81 avanti l'era volgare. Racconta Plutarco, che Silla divorziò da lei morente, per timore che il suo trionfo venisse contaminato. A questo episodio di drammatica solitudine e abbandono potrebbe riferirsi il dipinto.