Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
ambito ravennate
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 65 (la) 81.5 (a)
sec. XVIII (1765 - 1765)
n. 302100
Il prelato è rappresentato a mezzo busto con il volto impostato frontalmente. Indossa al collo una croce pettorale sopra la mozzetta grigia foderata di porpora. Il braccio sinistro è ripiegato e la mano è aperta, con il dorso proteso verso lo spettatore.

E' ipotizzabile che il ritratto in esame si possa identificare con quello dell'abate Zellingher di cui scrive Bernicoli (Schede Bernicoli conservate presso l'Archivio Storico Comunale di Ravenna, n. 9
Dell' Inventano quadri scelti, 11 marzo 1876 n. 2167 al 1792/1878. Tit. XX.3.4. al 9718 del 1905. E nell'Archivio Storico sulla scaletta): "Zellingher abate Filippo / tela 0.85 X 075 / di Marco Dirindella (sic) / Scuola bolognese sec. XVIII". Le misure però differiscono leggermente e comunque in mancanza di ulteriori riscontri non è possibile per ora accertare tale identità perché, la tela è stata restaurata e foderata e il telaio sostituito con uno nuovo, dunque sono spariti i numeri inventariali e ogni altro contrassegno o vergatura che avrebbero potuto consentire l'identificazione del personaggio.
L'autore di questo dipinto, potrebbe essersi ispirato, per il modello di figura e per la composizione, ai lavori di Carlo Maratta, come il Ritratto di Clemente IX. Di rilievo, comunque, risulta essere soprattutto l'impostazione frontale del volto, che proietta lateralmente un'ombra sottile ma assai marcata. Nondimeno si sottolinea l'uso brillante dei colori e la cura dei dettagli dell'abito. Particolare risulta essere la resa del gesto della mano sinistra protesa in avanti, che pare stridere con il resto della composizione che invece risponde alla quiete della messa in posa del personaggio. Viroli (1993), tuttavia, suggerisce per il gesto della mano una lettura diversa: potrebbe derivare da quello, più usuale in ritratti del genere, di un personaggio che rechi un libro tenendo l'indice inserito tra le pagine. Va però notato che il gesto è in qualche modo in relazione con lo sguardo di profonda espressività dell'effigiato. Permanendo l'incertezza sull'identità dell'autore, va notato che l'opera è molto vicina al ritratto postumo del sacerdote Prospero Giovanni Severo Grossi (1694-1765) conservato nella canonica del Duomo di Ravenna, nel quale sempre Viroli (1991 p. 240) aveva creduto di riconoscere la mano del ravennate Andrea Barbiani.