Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
ambito romagnolo (?)
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 65 (d)
sec. XVIII (1775 - 1799)
n. 302175
L'abate camaldolese Eusebio Prioli è raffigurato a mezza figura, leggermente rivolto verso sinistra. Indossa la mozzetta bianca dei camaldolesi, con cappuccio ridotto, chiusa al petto da bottoni.

Il dipinto in esame appartiene ad una serie di dodici ritratti di monaci dell'Ordine camaldolese collocati nella Sala delle Scienze della Biblioteca Classense (per le vicende relative alla sala cfr. campo OSS di questa scheda). Tali ritratti, salvo rari casi (come quello del Ritratto del monaco camaldolese Mariangelo Fiacchi cfr. scheda n. 00000094), sono di qualità non eccelsa, forse redatti da ignoti autori locali ad oggi non identificabili. Comunque, sotto il profilo iconografico, questi medaglioni risultano di rilievo assoluto, così "fuori tempo in quell'esibito decorum peraltro richiesto dalla tradizione canonica del ritratto aulico e commemorativo" (Viroli 1993). La tela è inserita in una cornice in stucco sulla quale sono applicati i caratteri che costituiscono l'iscrizione identificativa.
L'effigiato, figlio del patrizio veneto Pietro di Benedetto, indossò la tonaca monastica nel 1502 nel monastero di San Michele di Murano presso Venezia. Dedito allo studio della filosofia e delle Muse, resse, nel 1524, il monastero di Santa Maria delle Carceri. Dal 1526-1528 fu abate presso il monastero di San Michele e nel 1529 fu trasferito come vescovo nella chiesa di Vegia (oggi Vezzo) in Dalmazia. Pare sia morto per aver ingerito cibo avvelenato.
Esimio conoscitore delle scienze, oltreché illustre letterato, fu stimato anche per la bontà che lo contraddistinse nel corso della sua vita. Scrisse un carme in metrica latina intitolato De mundi miseria. Nel 1525 compose un'orazione in morte di Pietro Delfino. Pare sia anche stato autore di una dispersa Storia monastica camaldolese. Per ulteriori note biografiche cfr. Annales camaldulenses (vol. VIII, p. 61) e Centifolium camaldulense di M. Ziegelbaur (Venetiis 1750, p. 20).