Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
ambito romagnolo
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 90 (d)
sec. XVIII (1775 - 1799)
n. 302171
L'abate camaldolese Pietro Candido è ritratto a mezzo busto, leggermente rivolto verso destra.

Il dipinto in esame appartiene ad una serie di dodici ritratti di monaci dell'Ordine camaldolese collocati nella Sala delle Scienze della Biblioteca Classense (per le vicende relative alla sala cfr. campo OSS di questa scheda). Tali ritratti, salvo rari casi (come quello del Ritratto del monaco camaldolese Mariangelo Fiacchi cfr. scheda n. 00000094), sono di qualità non eccelsa, forse redatti da ignoti autori locali ad oggi non identificabili. Comunque, sotto il profilo iconografico, questi medaglioni risultano di rilievo assoluto, così "fuori tempo in quell'esibito decorum peraltro richiesto dalla tradizione canonica del ritratto aulico e commemorativo" (Viroli 1993). Sulla cornice circolare sono riportate le note biografiche che ne ricordano la figura. Il dipinto è opera di un artista legato a sorpassati modelli seicenteschi.
Il Candido, buon umanista ed erudito assai considerato ai suoi tempi, nacque a Portico di Romagna nelle prime decadi della seconda metà del secolo XV e fu ordinato monaco nell'eremo di Camaldoli nel 1481; l'anno successivo fu nominato cancelliere del generale dell'Ordine di Firenze Pietro Delfino (per note biografiche su quest'ultimo cfr. scheda nctn 00000035). Rimasto vacante nel 1483 il posto di abate di San Michele di Arezzo, Delfino mandò in sua sostituzione Pietro Candido che vi rimase fino a che, da lì a poco, non fu espulso con la forza delle armi, pare per ordine superiori di Lorenzo de' Medici che riusci ad insediarvi suo figlio Giovanni. Dopo essere passato per breve tempo alla Congregazione di Santa Giustina, tornò ai Camaldolesi, e per soddisfare il suo ardore per la lingua greca, convinse il Delfino a farsi inviare a Creta dove soggiornò dal 1491 al 1496 divenendo abile grecista. Nel 1498 si trasferì al monastero degli Angeli di Firenze al quale lasciò, dopo la sua morte, la preziosa biblioteca. Fa anche collaboratore di Aldo Manuzio per il quale curò l'edizione delle Dionisiache. In virtù delle sue attente revisioni dei testi greci, pare si facesse pagare profumatamente. Nel 1508 gli venne affidata la conduzione dell'abbazia di Santo Stefano Cintorio in Pisa. Morì nel 1513 nel monastero degli Angeli a Firenze.
Gran parte della produzione del Candido è andata dispersa, anche se gli esperti non escludono la possibilità di qualche ritrovamento. Delfino in una delle sue lettere ci ricorda gli scritti di Pietro Candido: una orazione nel 1483 sull'eucarestia, recitata all'atto della sua prima messa; una dedica, del 1499, allo stesso Delfino; il De vita Christi Homerocentra di Eudocia Augusta (nella Collectio Christianorum poetarum di Aldo Manuzio, 1501), che era stata tradotta dal greco in latino. Al Delfino è anche dedicata la traduzione in latino della Tavola di Cebete Tebano. Avrebbe quindi curato una versione latina del Tetraevangelio, alcune orazioni di San Giovanni Crisostomo; Descrisse inoltre le gesta di Alessandro Magno e postillò poi l'Etymologicum magnum, che anche lui attribuì erroneamente (come Poliziano), a Nica. Per l'edizione giuntina di Lucrezio (Lucretii Cari De rerum natura libri Vi, Florentiae 1512), che forniva un testo migliore rispetto ai precedenti tentativi di trascrizione di Lucrezio si valse, come espressamente afferma nella prefazione, della collaborazione di due grandi umanisti: Pontano e Marullo. Le emendazioni lucreziane del Marullo furono pubblicate nella stessa edizione. Per ulteriori notizie sulla vita e per il regesto completo della biografia sul Candido cfr. Orvieto 1974.