Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
Rossi Mariano
1731/ 1807
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 300 (la) 300 (a)
sec. XVIII (1779 - 1779)
n. 302184
La Gloria seduta su trono di nubi sulla sommità del dipinto, con al fianco un puttino che mostra un serpente in forma circolare, volge lo sguardo alla Virtù che ascende verso di lei, accompagnata dalla Fama che suona la tromba e da un putto con clessidra recata in mano. Nell'angolo inferiore, a destra, il Padre Eterno cerca con la mano alzata di fermare la Virtù che ascende, però un fanciullo gli sottrae la falce della Morte. In alto, il tempio dell'Eternità dal quale si irradiano raggi dorati, è indicato dalla Gloria per sottolinearne la meta sublime.

Il dipinto, collocato fin dall'origine nel soffitto della Sala delle Scienze della Classense, rappresenta l'allegoria della Fama che chiama la Virtù al tempio della Gloria, inserito in un cielo fitto di nubi. E' opera di Mariano Rossi, pittore siciliano nato a Sciacca nel 1731 e morto a Roma nel 1807, che realizzò l'opera nella città papale nel 1779 (pagata in dicembre da padre Enrico Sanclemente con scudi 250). Giancarlo Sestieri, ha pubblicato nel 1980 un bozzetto preparatorio di quest'opera, collocato presso la collezione Di Mino a Roma, senza tuttavia associarlo alla tela ravennate, forse perché, evidentemente gli era sconosciuta. A questo studioso, peraltro, si deve il primo vero inquadramento storico-artistico del Rossi, dopo alcuni isolati contributi fra i quali si annovera il lavoro critico operato da A.M. Clark nel 1970. Sestieri nel considerare l'attività del Rossi sottolinea l'ambiguità nella quale questi si imbatte nell'affrontare la svolta neoclassica: è ora sorprendente ora deludente. Artista sicuramente molto dotato passa da momenti di assoluta modernità a fasi di mediocre estetismo, come quando sviluppa alle estreme conseguenze le potenzialità tecniche del Barocco, ma al contempo si concede la possibilità di operare in piena autonomia, mostrandosi esclusivamente artefice dotato di ottime qualità esecutive. Nella tela ravennate in esame, Rossi raggiunge risultati lusinghieri conferendo a Ravenna un maestoso esempio di pittura romana settecentesca: bene riesce a coniugare la rappresentazione scenica sì densa di personaggi con la natura colta e sofisticata della Biblioteca Classense.
La Gloria è seduta su un trono di nubi sulla sommità del dipinto, con al fianco un puttino che mostra un serpente in forma circolare che ha la coda in bocca (simbolo dell'eternità), volge lo sguardo alla Virtù che ascende verso di lei, accompagnata dalla Fama che suona la tromba e da un putto con clessidra recata in mano. Nell'angolo inferiore, a destra, il Padre Eterno cerca con la mano alzata di fermare la Virtù che ascende, però un fanciullo gli sottrae la falce della Morte. In alto, il tempio dell'Eternità dal quale si irradiano raggi dorati, è indicato dalla Gloria per sottolinearne la meta sublime. Espressione del Barocchetto romano, l'opera pare annunciare il Neoclassicismo: nel contenere classicamente l'illusionismo prospettico, nel sintetizzare le masse, nel condurre sottilmente il gioco delle luci e delle ombre. Mirabili sono anche gli scorci, su tutti quello del Padre Eterno molto ardito ed i ghirigori che delineano la barba di questi che costituiscono una peculiarità dell'artista che rappresenta così tutti i vecchi delle sue opere. Il dipinto fu realizzato dopo che Rossi ebbe completato l'imponente affresco nel salone d'ingresso della Galleria Borghese dove è rappresentata la scena di "Marco Furio Camillo che libera Roma da Brenno" (1776-1779; cfr. Scaturro 19587; De Rinaldis 1939; Della Pergola 1950; il citato Sestieri 1980).