Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
ambito ravennate
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 82.5 (la) 110 (a)
altezza con cornice 119//larghezza con cornice 91,5
sec. XVII (1650 - 1699)
n. 302056
Gerolamo Fabri, seduto su una sedia con schienale in damasco rosso, reca su una sedia con nella mano sinistra un foglio di carta spiegazzato e nella destra, appoggiata al bracciolo, una penna. Sul tavolo ricoperto da un drappo rosso sono appoggiati due libri.

Il dipinto fa parte di una piccola raccolta dedicata a scrittori ed eruditi di Ravenna, in pratica dei medaglioni sostanzialmente simili per la seriosità dei personaggi e per analogia di atteggiamenti. E' ragionevole supporre che tali opere fossero sin dalle origini collocate presso il monastero Classense, notoriamente luogo di alta erudizione e sede di accademie altamente qualificate. Tuttavia l'assenza di fonti non ci permette di poterlo asserire con certezza. La consistenza numerica dei dipinti, che oggi si e ridotta ad un decina di pezzi, cominciò a diminuire dai primi anni dell'Ottocento, come si evince da alcuni documenti datati 1808 (Archivio Storico comunale, Atti Comunali, titolo XL. 8) dai quali risultano essere 19 i quadri. La serie, che assume toni blandamente celebrativi, ha soprattutto un valore documentario in quanto registra le valenze culturali e letterarie degli effigiati, inoltre ogni tela riporta, nei ristretti spazi disponibili, piccole citazioni relative alla bibliografia prodotta dai singoli eruditi. Nessuna opera reca firme e difficilmente si riesce a ricondurre ad un'unico artista la paternità, anche laddove siano presenti rilevanti analogie stilistiche. Da notare che per l'effige degli autori più antichi, in assenza di "eicones cephalicae" (Viroli, 1993), gli artisti sono ricorsi solo ad elementi di immaginazione, seppur legati all'età ed alle caratteristiche di ciascun personaggio. L'opera, pubblicata per la prima volta da Viroli nel 1993, è attribuibile ad artista minore di area ravennate operante nella seconda metà del Seicento. Secondo Viroli (1993) il ritratto denota una "evidente rozzezza quasi paesana, sebbene essa ne sia in più punti contraddetta da una adesione ai modi naturalistici di Benedetto Ferrari dal quale potrebbe derivare certa saporita caratterizzazione ritrattistica". I libri, il foglio spiegazzato tenuto in mano unitamente al volto un po' inespressivo investito di luce ed al blasone presente sul fondo conferiscono indubbiamente al personaggio una notevole rilevanza sociale. Fabri nacque a Ravenna nel 1627, dove si formò alle scienze e alla religione, e, a soli 20 anni, divenne membro della Congregazione di Propaganda Fide, chiamato dal Segretario dell'istituzione Francesco Ingoli. Alla morte di questi, due anni dopo, fu dichiarato Canonico Teologo della Metropolitana di Ravenna, su nomina del cardinale arcivescovo Luigi Capponi (1650), come si evince anche dall'incisione sul fondo del dipinto a sinistra. A seguito di una controversia intercorsa fra i Canonici della Metropolitana ed i monaci di Sant'Apollinare in Classe, per via della traslazione della salma del santo dalla Basilica alla chiesa di San Romualdo, fu inviato a Roma. Alternò nel corso degli anni i soggiorni nella città papale con quelli ravennati, ora per cercare documenti sulla storia patria, ora per svolgere funzioni di Vicario Generale del cardinale Marcello Santacroce, Vescovo di Tivoli, che lo utilizzò anche per la stesura degli Atti del Sinodo Diocesano che aveva promosso. Dedico alla sua città diverse opere storiche: le Sacre Memorie di Ravenna Antica (1664), L'Effemeride sacra, et Istorica di Ravenna antica (1675) e le Vite dei santi di Ravenna (1665) solo per citarne alcune. Lasciò un testamento col quale destinava tutti i suoi beni al Capitolo della Metropolitana con la clausola che si fondassero sei Mansionarie, dipendenti dal Capitolo nella scelta dei soggetti. Fu sepolto presso la demolita parrocchiale di San Michele in Africisco.
La tela è stata appena restaurata da Mariella Dell'Amore (2006).