Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
ambito ravennate
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 83 (la) 109 (a)
sec. XVII (1675 - 1699)
n. 302055
Gerolamo Rossi è ritratto con la mano sinistra indicante un libro chiuso posato sul tavolo sul quale poggia un altro libro aperto. Nella mano destra regge un paio di guanti. In alto a destra è lo stemma di famiglia

Il dipinto fa parte di una piccola raccolta dedicata a scrittori ed eruditi di Ravenna, in pratica dei medaglioni sostanzialmente simili per la seriosità dei personaggi e per analogia di atteggiamenti. E' ragionevole supporre che tali opere fossero sin dalle origini collocate presso il monastero Classense, notoriamente luogo di alta erudizione e sede di accademie altamente qualificate. Tuttavia l'assenza di fonti non ci permette di poterlo asserire con certezza. La consistenza numerica dei dipinti, che oggi si e ridotta ad un decina di pezzi, cominciò a diminuire dai primi anni dell'Ottocento, come si evince da alcuni documenti datati 1808 (Archivio Storico comunale, Atti Comunali, titolo XL. 8) dai quali risultano essere 19 i quadri. La serie, che assume toni blandamente celebrativi, ha soprattutto un valore documentario in quanto registra le valenze culturali e letterarie degli effigiati, inoltre ogni tela riporta, nei ristretti spazi disponibili, piccole citazioni relative alla bibliografia prodotta dai singoli eruditi. Nessuna opera reca firme e difficilmente si riesce a ricondurre ad un'unico artista la paternità, anche laddove siano presenti rilevanti analogie stilistiche. Da notare che per l'effige degli autori più antichi, in assenza di "eicones cephalicae" (Viroli, 1993), gli artisti sono ricorsi solo ad elementi di immaginazione, seppur legati all'età ed alle caratteristiche di ciascun personaggio. La tela presenta un fondo scuro dalla profondità incalcolabile - rispondeva ad uno dei canoni in voga durante la Controriforma - dal quale emerge la figura di Gerolamo Rosso come investita in viso e sulle mani da una sorgente luminosa. L'ovale presenta alcune contiguità con l'opera di G.B. Barbiani, soprattutto per quanto concerne la forma delle mani; per analogie stilistiche, si può anche supporre che il suo artefice sia lo stesso che ha ritratto Vincenzo Carrari (scheda nctn: 00000043). Ciò nonostante Viroli (1993) non ritiene di poterlo attribuire anche perché cronologicamente distante (più tardo) rispetto alle produzioni di Barbiani, al quale, anche per taluni finissimi particolari, si sarebbe tentati di ricondurlo. Da quest'opera è stata tratta anche una incisione siglata "Barbiani dis. Parmiani inc." che appare sulla Vita di Gerolamo Rossi scritta da Filippo Mordani e pubblicata a cura di A. Hercolani nelle Biografie e ritratti di XXIV uomini illustri romagnoli (Forlì, vol. I, 1834). Lo stesso Mordani (p. 120) cade in errore quando crede che l'incisione sia frutto di una copia dal ritratto di Rossi di Luca Longhi (presso la Pinacoteca di Ravenna) che è palesemente diverso nella posa. Nato a Ravenna nel 1539 da Francesco e Isabella Lodovicchia, fu presto dedito agli studi letterari tanto che a soli 15 anni recitò un'orazione latina nella Chiesa Metropolitana in onore del cardinale Ranuccio Farnese, neo Arcivescovo di Ravenna. Il cardinale, per incoraggiarlo a proseguire con sempre maggior profitto gli studi, lo iscrisse a Bologna nel Collegio Ancarano dove però non mise piede per via delle sollecitudini che ricevette dallo zio Giambattista Rossi, che divenne per i suoi meriti dottrinali Generale dell'Ordine dei Carmelitani. Si sposò ventottenne con Laura Bifolci, da cui ebbe molti figli, si laureò in medicina e in virtù di ciò fu chiamato da papa Clemente VIII a Roma, nel 1604, come assistente personale. Dopo una breve permanenza, per via delle dimissioni per motivi di salute del papa, fece ritorno a Ravenna. Rossi più che per meriti medici passo alla storia per la sua prolifica attività di letterato: scrisse ben trentotto opere, fra le quali va ricordata la mastodontica Storia di Ravenna, raccolta in dieci libri e molto celebrata. Fra i tanti biografi che scrissero di lui (Giorgio Viviano Marchesi, 1727; Girolamo Tiraboschi, 1833; Filippo Mordani, 1834 e 1879; Primo Uccellini, 1855) va senz'altro sottolineata la figura di Antonfelice Mattei, che nella prefazione alla sua "Vita", scritta in latino, definisce Rossi persona dotta, affabile, modesta, integerrima, prudente, religiosa e distante da qualsiasi forma di cupidigia. Morì a Ravenna nel 1607, con esequie onorevoli e fu sepolto presso la chiesa di San Giovanni Battista (Ginanni 1769). La tela è stata appena restaurata da Mariella Dell'Amore (2006).