Biblioteca Classense
via Baccarini, 3
Ravenna (RA)
ambito ravennate
Altra Attribuzione: Mancini Francesco (?)
dipinto

tela/ pittura a olio
cm. 90 (la) 127 (a)
sec. XVIII (1711 - 1715)
n. 302147
Ritratto del monaco camaldolese Giulio Cesare Carena.

L'opera fa parte del corpus di dieci ritratti di illustri camaldolesi che decorano l'aula magna della biblioteca voluta da Pietro Canneti. Se è noto che i lavori in muratura ebbero inizio nel 1707 e furono terminati l'anno successivo (cfr. Biblioteca Classense, Mob. 3.5.G2. 13; Ravaldini 1977, p. 5, Fabbri 1981a, pp. 77-78, nota 168), per le decorazioni pittoriche, al di là delle informazioni riguardanti la commissione dei lavori a Francesco Mancini, restano dei punti oscuri per via delle scarse notizie riguardanti i pittori Giacomo Miniani, bolognese e Martino Della Valle, forlivese che dipinsero almeno otto dei dieci ovali (Muratori, 1931, p. 4); gli altri due sono certamente di Mancini. A fronte di ciò, oltreché per l'impossibilità di guardare da vicino i dipinti che sono collocati molto in alto e che sono abbastanza rovinati, non è possibile distinguere le diverse mani che hanno eseguito i ritratti, per cui Viroli ritiene di lasciare gli autori nell'anonimato. L'unico attribuibile con sicurezza a Mancini è il "Ritratto di Piero Quirino" (cfr. scheda nctn. 00000036).
Viroli parrebbe tentato ad assegnare il dipinto in esame a Mancini, per via dei caratteri stilistici che concordano con l'elevata ritrattistica dell'artista, tuttavia non va fino in fondo per via delle pessime condizioni dell'opera e della notevole distanza di questa dall'osservatore.
Nel dipinto è effigiato il monaco camaldolese Giulio Cesare Carena, come si evince dall'iscrizione posta in alto sulla cornice. Dai preziosi Annales camaldulenses (VIII tomo, c. 499) e da una biografia dedicatagli da Giacomo Laderchi apprendiamo che era nato a Cremona da una nobile famiglia. Uomo coltissimo, che indossò la cocolla presso il monastero Classense nel 1655, eccelse in svariate discipline senza essere mai presuntuoso. Scrisse di ottica e redasse il trattato De coelo, oltre ad ammirare e seguire la dottrina di San Tommaso d'Aquino. Nell'occuparsi di teologia dogmatica scrisse l'opera De Potestate Prelatorum. Fu a Roma nel convento di San Gregorio ad clivum scauri, poi a Ravenna per introdurre la teologia e ricoprire la carica di esaminatore sinodale. Nonostante la grande mitezza è ricordato come persona particolarmente irascibile. Nell'ultima parte della sua vita fu trasferito presso il monastero San Severo, in Puglia, da Innocenzo X, ma presto ripartì per Ravenna dove assunse l'insegnamento di Teologia. Tornando da un viaggio a Roma, morì presso Rimini nel 1693. A Ravenna gli furono riservate solenni esequie.