Calendasco

Castello di Calendasco
Calendasco

Castello di Calendasco
via Castello
Calendasco (PC)
tel 0523 772722
Nella bassa pianura piacentina a nord ovest del capoluogo, il territorio di Calendasco è incuneato fra i vicinissimi, tortuosi meandri del Po, che qui si insinuano in profondità in Lombardia, e il corso del Trebbia, prossimo a immettersi nel grande fiume.

Età romana e alto medioevo
Abitata fin dalla preistoria, in epoca romana l’area rivestì notevole importanza grazie alla presenza, in località Boscone Cusani, di un porto fluviale sul Po al servizio di Placentia, e della consolare Placentia-Ticinum che univa Piacenza a Pavia seguendo forse il tracciato di una più antica pista.
Nel punto in cui la consolare si apprestava a superare il Po era sorta una mansio, detta ‘ad Padum’. Sul suo sito, in posizione relativamente sopraelevata a difesa dagli straripamenti, crebbe poi Calendasco, forse fondato dai Longobardi e citato già a metà dell’VIII secolo.
In epoca altomedievale il porto fluviale mantenne importanza e privilegi, confermati nel 715 dal re Liutprando - e più tardi da Carlo Magno.
Allo stesso secolo VIII risalirebbe la fondazione, a Cotrebbia detta poi Vecchia, di un’abbazia della Resurrezione, che nell’anno 874 venne rifondata e dedicata a San Pietro in occasione della sua associazione al monastero piacentino di San Sisto.

Uno snodo della Francigena
Feudo del Vescovo di Piacenza fin dai primi anni del nuovo millennio, Calendasco mantenne un ruolo di rilievo per tutto il Medioevo.
Fu allora che - citato come tappa XXXVIII del celebre itinerario che nel 990 aveva condotto il vescovo Sigerico da Roma a Canterbury, con attraversamento del Po a Sopravivo - rappresentò uno degli snodi principali della via Francigena.
La persistente importanza del suo porto in questa epoca traspare dall’obbligo di versamento della gabella per le imbarcazioni in sosta o in transito sul Po, dirette a Venezia o a Pavia, attestato da un accordo del 1181 tra Piacentini e Ferraresi teso a regolare la navigazione sul fiume.
Tutto politico-diplomatico fu poi il ruolo giocato dall’abbazia, ora benedettina, di Cotrebbia, dove nel 1155 vennero ospitati i cardinali incaricati dal papa di trattare con Federico Barbarossa, che tre anni dopo avrebbe tenuto nei pressi la seconda Dieta di Roncaglia.
Tra XI e XII secolo furono edificati a Calendasco, a fianco della più antica chiesa di santa Maria, l'ospitale dei pellegrini diretti al porto del Po, fondato sulle strutture di un antico xenodochio longobardo e in seguito gestito con il romitorio dai terziari francescani, e un recetto – al contempo centro di raccolta di prodotti agricoli e riparo dei contadini in caso di attacco.
Da quest'ultimo si svilupperà poi il castello, fondato in data non nota ma citato per la prima volta in un documento del 1187 con il quale il papa ne confermava il possesso al monastero di San Salvatore in Quartazzola.
La fondazione nel 1290 di Castel San Giovanni lungo la Postumia, in direzione di Pavia, ridusse progressivamente il ruolo economico di Calendasco, tagliato fuori dai traffici che si svolgevano tra questo centro e Piacenza.
Il castello mantenne però ancora a lungo un ruolo strategico: appartenente nel XIII secolo ai Pallastrelli e poi agli Scotti, distrutto del 1346 dai ghibellini di Piacenza, venne di nuovo preso e ricostruito dalla fazione guelfa nel 1372, fungendo da base militare dei gruppi che si opponevano all’espansione dei Visconti nell’area piacentina.

Tra Quattro e Cinquecento: dagli Arcelli ai Confalonieri
Nel 1412 Filippo Maria Visconti investì della contea della val Tidone il suo alleato Filippo Arcelli, concedendogli numerose terre, tra cui Castel San Giovanni e Borgonovo.
Il castello di Calendasco, con quello vicino di Santimento, divenne avamposto del castello di Somaglia sulla sponda opposta del Po, parte della rete realizzata nel secolo precedente da Bernabò Visconti, in posizione strategica per il controllo dell’area lodigiana.
Dopo la repentina caduta in disgrazia di Filippo Arcelli, accusato di tradimento, Calendasco venne assegnato ai Confalonieri, antica famiglia piacentina già legata alla parte vescovile, che nel 1393 aveva ottenuto da Gian Galeazzo Visconti l'investitura feudale delle terre da essa detenute nel contado, e che nel corso del Quattrocento riuscì ad accrescere ulteriormente i propri possedimenti grazie ai legami matrimoniali stretti con i Dal Verme.
Ai Confalonieri si deve l’ampliamento del castello, messo sotto assedio da Ludovico il Moro nel 1482, e la valorizzazione dei suoi caratteri di residenza signorile.
Due gravi eventi segnarono la fine del controllo dei Confalonieri su Calendasco.
Il ruolo di primo piano avuto da Gianluigi Confalonieri nella congiura di nobili piacentini che nel 1547 portò all’assassinio di Pier Luigi Farnese, figlio di papa Paolo III e primo duca di Parma e Piacenza, si tradusse nel trasferimento del suo ramo famigliare a Milano – ma solo quarant’anni dopo gli eventi, e senza danni patrimoniali – e nel lungo ostracismo che Piacenza oppose al culto del santo di famiglia, Corrado.
Questi eventi, e un fatto di sangue avvenuto nel castello nel 1572, portarono infine alla confisca e al trasferimento ai parenti Sanseverino di metà del feudo Confalonieri, che a fine secolo venne venduto a Gian Battista Zanardi Landi.
La parte rimasta ai Confalonieri fu da loro ceduta ai conti Benzoni, tornando alla Camera Ducale dopo l’estinzione di quest’ultima famiglia nel 1674.

Fra Sette e Novecento: un castello a metà
Ultimo feudatario di Calendasco fu il conte Fabio Perletti, ambasciatore farnesiano alla corte imperiale, investito nel 1690 da Ranuccio II Farnese per il decisivo ruolo da lui esercitato nell’annessione di Bardi e Compiano al Ducato. Al feudo non venne però associato il possesso del castello, tanto che la famiglia Perletti avrebbe vissuto a Calendasco fino all’inizio del secolo XX, con i parenti Anguissola, in un grande palazzo situato nella piazza del paese.
Il castello seguì intanto il suo destino diviso in due: la metà dei Zanardi Landi venne venduta nel 1719 al conte Pier Francesco Scotti per passare successivamente ad altri privati, mentre l'altra porzione, ora della Congregazione del Santo Rosario, fu ceduta alla famiglia Rizzi. Nel 1913 il giurista Giuseppe Scopesi della Capanna – entratone in possesso per matrimonio - cedette quest'ultima ad un ente caritativo, che la passò infine al Comune.

Dal degrado alla valorizzazione
Nel corso del XX secolo il castello ebbe le destinazioni più diverse, che portarono ad un significativo degrado delle strutture. Durante la seconda guerra mondiale le sue sale ospitarono numerosi sfollati, e poi un maglificio, qui impiantato per dare lavoro a molte famiglie del posto in una difficile fase economica.
A partire dal 2021 il Comune ha avviato un importante programma di restauro, riqualificazione e valorizzazione del castello, finanziato attraverso fondi comunitari, regionali e comunali.
I primi lavori hanno interessato il ponte d'ingresso, la facciata principale, l'androne con volta a ombrello e il salone al piano terra, portando alla luce la pavimentazione originale in cotto di alcuni ambienti, un camino nascosto nel salone e alcuni locali posti alla base di una torre.
Ulteriori interventi comprendono l’adeguamento sismico e il restauro strutturale del castello, con l’insediamento nell’edificio delle scuderie di un polo didattico per lo studio dei castelli del territorio e l’attivazione di attività culturali per la cittadinanza.

VISITA
Ai margini del nucleo storico del paese, di fianco alla chiesa e in prossimità dei campi, si erge l’imponente sturuttura trapeziodale in mattoni rossi, che al tempo della sua costruzione furono qui trasportati dalle antiche fornaci situate in località Arena e nei pressi del Po al Mezzano.
Il castello conserva la struttura trecentesca, con i denti di sega e il coronamento di finestrelle ad archi ribassati, insieme al tracciato del profondo fossato e al maestoso ingresso con pusterla, un tempo dotato di ponte levatoio, dominato dalla grande torre cilindrica.
Ancora leggibile è la distinzione tra i corpi della rocca e del recetto, separati dal fossato; di lato si trova l’edificio rustico che ospitava le scuderie per i cavalli e la stalla dei buoi.
Il castello è dotato di tre accessi; quello principale, il cui androne con volta a crociera è decorato con affreschi cinquecenteschi, conduce a un cortile interno a doppio loggiato.
Il recetto conserva alcuni affreschi con lo stemma dei Confalonieri, presente anche sui cassonati lignei di una sala al piano nobile.
Nelle vicinanze sono ancora visibili le tracce di un ampio tratto della centuriazione romana e parte dell'antica consolare.


Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

delta e valle Po,
valle Trebbia,
via Placentia-Ticinum,
via Romea Francigena | Cisa
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Diocesi di Piacenza,
Scotti,
Arcelli,
Confalonieri,
Landi
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

Fascismo Guerra Resistenza
via Castello
Calendasco (PC)
tel 0523 772722
Nella bassa pianura piacentina a nord ovest del capoluogo, il territorio di Calendasco è incuneato fra i vicinissimi, tortuosi meandri del Po, che qui si insinuano in profondità in Lombardia, e il corso del Trebbia, prossimo a immettersi nel grande fiume.

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Età romana e alto medioevo
Abitata fin dalla preistoria, in epoca romana l’area rivestì notevole importanza grazie alla presenza, in località Boscone Cusani, di un porto fluviale sul Po al servizio di Placentia, e della consolare Placentia-Ticinum che univa Piacenza a Pavia seguendo forse il tracciato di una più antica pista.
Nel punto in cui la consolare si apprestava a superare il Po era sorta una mansio, detta ‘ad Padum’. Sul suo sito, in posizione relativamente sopraelevata a difesa dagli straripamenti, crebbe poi Calendasco, forse fondato dai Longobardi e citato già a metà dell’VIII secolo.
In epoca altomedievale il porto fluviale mantenne importanza e privilegi, confermati nel 715 dal re Liutprando - e più tardi da Carlo Magno.
Allo stesso secolo VIII risalirebbe la fondazione, a Cotrebbia detta poi Vecchia, di un’abbazia della Resurrezione, che nell’anno 874 venne rifondata e dedicata a San Pietro in occasione della sua associazione al monastero piacentino di San Sisto.

Uno snodo della Francigena
Feudo del Vescovo di Piacenza fin dai primi anni del nuovo millennio, Calendasco mantenne un ruolo di rilievo per tutto il Medioevo.
Fu allora che - citato come tappa XXXVIII del celebre itinerario che nel 990 aveva condotto il vescovo Sigerico da Roma a Canterbury, con attraversamento del Po a Sopravivo - rappresentò uno degli snodi principali della via Francigena.
La persistente importanza del suo porto in questa epoca traspare dall’obbligo di versamento della gabella per le imbarcazioni in sosta o in transito sul Po, dirette a Venezia o a Pavia, attestato da un accordo del 1181 tra Piacentini e Ferraresi teso a regolare la navigazione sul fiume.
Tutto politico-diplomatico fu poi il ruolo giocato dall’abbazia, ora benedettina, di Cotrebbia, dove nel 1155 vennero ospitati i cardinali incaricati dal papa di trattare con Federico Barbarossa, che tre anni dopo avrebbe tenuto nei pressi la seconda Dieta di Roncaglia.
Tra XI e XII secolo furono edificati a Calendasco, a fianco della più antica chiesa di santa Maria, l'ospitale dei pellegrini diretti al porto del Po, fondato sulle strutture di un antico xenodochio longobardo e in seguito gestito con il romitorio dai terziari francescani, e un recetto – al contempo centro di raccolta di prodotti agricoli e riparo dei contadini in caso di attacco.
Da quest'ultimo si svilupperà poi il castello, fondato in data non nota ma citato per la prima volta in un documento del 1187 con il quale il papa ne confermava il possesso al monastero di San Salvatore in Quartazzola.
La fondazione nel 1290 di Castel San Giovanni lungo la Postumia, in direzione di Pavia, ridusse progressivamente il ruolo economico di Calendasco, tagliato fuori dai traffici che si svolgevano tra questo centro e Piacenza.
Il castello mantenne però ancora a lungo un ruolo strategico: appartenente nel XIII secolo ai Pallastrelli e poi agli Scotti, distrutto del 1346 dai ghibellini di Piacenza, venne di nuovo preso e ricostruito dalla fazione guelfa nel 1372, fungendo da base militare dei gruppi che si opponevano all’espansione dei Visconti nell’area piacentina.

Tra Quattro e Cinquecento: dagli Arcelli ai Confalonieri
Nel 1412 Filippo Maria Visconti investì della contea della val Tidone il suo alleato Filippo Arcelli, concedendogli numerose terre, tra cui Castel San Giovanni e Borgonovo.
Il castello di Calendasco, con quello vicino di Santimento, divenne avamposto del castello di Somaglia sulla sponda opposta del Po, parte della rete realizzata nel secolo precedente da Bernabò Visconti, in posizione strategica per il controllo dell’area lodigiana.
Dopo la repentina caduta in disgrazia di Filippo Arcelli, accusato di tradimento, Calendasco venne assegnato ai Confalonieri, antica famiglia piacentina già legata alla parte vescovile, che nel 1393 aveva ottenuto da Gian Galeazzo Visconti l'investitura feudale delle terre da essa detenute nel contado, e che nel corso del Quattrocento riuscì ad accrescere ulteriormente i propri possedimenti grazie ai legami matrimoniali stretti con i Dal Verme.
Ai Confalonieri si deve l’ampliamento del castello, messo sotto assedio da Ludovico il Moro nel 1482, e la valorizzazione dei suoi caratteri di residenza signorile.
Due gravi eventi segnarono la fine del controllo dei Confalonieri su Calendasco.
Il ruolo di primo piano avuto da Gianluigi Confalonieri nella congiura di nobili piacentini che nel 1547 portò all’assassinio di Pier Luigi Farnese, figlio di papa Paolo III e primo duca di Parma e Piacenza, si tradusse nel trasferimento del suo ramo famigliare a Milano – ma solo quarant’anni dopo gli eventi, e senza danni patrimoniali – e nel lungo ostracismo che Piacenza oppose al culto del santo di famiglia, Corrado.
Questi eventi, e un fatto di sangue avvenuto nel castello nel 1572, portarono infine alla confisca e al trasferimento ai parenti Sanseverino di metà del feudo Confalonieri, che a fine secolo venne venduto a Gian Battista Zanardi Landi.
La parte rimasta ai Confalonieri fu da loro ceduta ai conti Benzoni, tornando alla Camera Ducale dopo l’estinzione di quest’ultima famiglia nel 1674.

Fra Sette e Novecento: un castello a metà
Ultimo feudatario di Calendasco fu il conte Fabio Perletti, ambasciatore farnesiano alla corte imperiale, investito nel 1690 da Ranuccio II Farnese per il decisivo ruolo da lui esercitato nell’annessione di Bardi e Compiano al Ducato. Al feudo non venne però associato il possesso del castello, tanto che la famiglia Perletti avrebbe vissuto a Calendasco fino all’inizio del secolo XX, con i parenti Anguissola, in un grande palazzo situato nella piazza del paese.
Il castello seguì intanto il suo destino diviso in due: la metà dei Zanardi Landi venne venduta nel 1719 al conte Pier Francesco Scotti per passare successivamente ad altri privati, mentre l'altra porzione, ora della Congregazione del Santo Rosario, fu ceduta alla famiglia Rizzi. Nel 1913 il giurista Giuseppe Scopesi della Capanna – entratone in possesso per matrimonio - cedette quest'ultima ad un ente caritativo, che la passò infine al Comune.

Dal degrado alla valorizzazione
Nel corso del XX secolo il castello ebbe le destinazioni più diverse, che portarono ad un significativo degrado delle strutture. Durante la seconda guerra mondiale le sue sale ospitarono numerosi sfollati, e poi un maglificio, qui impiantato per dare lavoro a molte famiglie del posto in una difficile fase economica.
A partire dal 2021 il Comune ha avviato un importante programma di restauro, riqualificazione e valorizzazione del castello, finanziato attraverso fondi comunitari, regionali e comunali.
I primi lavori hanno interessato il ponte d'ingresso, la facciata principale, l'androne con volta a ombrello e il salone al piano terra, portando alla luce la pavimentazione originale in cotto di alcuni ambienti, un camino nascosto nel salone e alcuni locali posti alla base di una torre.
Ulteriori interventi comprendono l’adeguamento sismico e il restauro strutturale del castello, con l’insediamento nell’edificio delle scuderie di un polo didattico per lo studio dei castelli del territorio e l’attivazione di attività culturali per la cittadinanza.

VISITA
Ai margini del nucleo storico del paese, di fianco alla chiesa e in prossimità dei campi, si erge l’imponente sturuttura trapeziodale in mattoni rossi, che al tempo della sua costruzione furono qui trasportati dalle antiche fornaci situate in località Arena e nei pressi del Po al Mezzano.
Il castello conserva la struttura trecentesca, con i denti di sega e il coronamento di finestrelle ad archi ribassati, insieme al tracciato del profondo fossato e al maestoso ingresso con pusterla, un tempo dotato di ponte levatoio, dominato dalla grande torre cilindrica.
Ancora leggibile è la distinzione tra i corpi della rocca e del recetto, separati dal fossato; di lato si trova l’edificio rustico che ospitava le scuderie per i cavalli e la stalla dei buoi.
Il castello è dotato di tre accessi; quello principale, il cui androne con volta a crociera è decorato con affreschi cinquecenteschi, conduce a un cortile interno a doppio loggiato.
Il recetto conserva alcuni affreschi con lo stemma dei Confalonieri, presente anche sui cassonati lignei di una sala al piano nobile.
Nelle vicinanze sono ancora visibili le tracce di un ampio tratto della centuriazione romana e parte dell'antica consolare.


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