loc. Croara
San Lazzaro di Savena
giacimento preistorico
deposito paleontologico e archeologico
Paleolitico superiore
Il sito, ubicato sul fronte occidentale di Monte Castello (256 m s.l.m.), nel cuore del Parco regionale dei Gessi Bolognesi e Calanchi dell'Abbadessa, prende il nome dalla tecnica in uso per l’estrazione del gesso (taglio con filo elicoidale). Il primo studio, condotto alla metà degli anni ‘60 del secolo scorso su un grande riempimento carsico verticale (inghiottitoio) intercettato dai lavori di cava, ha preso in considerazione gli aspetti sedimentari, palinologici e paleontologici di una serie stratigrafica in seguito andata in massima parte distrutta.
I nuovi scavi intrapresi a partire dal 2006 con il coordinamento del Museo della Preistoria "L. Donini" nella porzione basale residua della struttura carsica hanno permesso di stabilire che abbondanti resti faunistici di grandi-piccoli mammiferi, volatili, pollini e un esiguo numero di reperti litici si sono sedimentati entro un sistema di cavità carsiche sub-orizzontali a galleria di ridotte dimensioni, riempite durante una fase climatica fredda dell’ultima espansione glaciale.
La documentazione recuperata copre un arco temporale compreso fra 25000 e 17500 cal BP. La fase più antica del deposito (US 99: 25005-23842 cal BP) corrisponde a un’acme fredda dell’Ultimo Massimo Glaciale.
Il sito costituisce uno dei più importanti giacimenti italiani di questo periodo per la presenza del più cospicuo lotto conosciuto in Italia di resti di animali estinti durante LGM, in particolare di Bison priscus, e in virtù del fatto che studi sul DNA antico su resti di Canis lupus hanno indicato questo luogo come uno dei più antichi scenari europei della domesticazione del lupo e della sua trasformazione in cane.


I contenuti pollinici indicano una presenza diffusa delle praterie fredde e aride dominate da una mega-fauna a bisonte delle steppe, e da predatori ecomorfi specializzati come il lupo. L’associazione a piccoli mammiferi è caratterizzata da bassa biodiversità, con prevalenza di Microtus arvalis e, in sottordine, di Arvicola amphibius, specie quest’ultima che fa presumere l’esistenza di specchi d’acqua nelle vicinanze del sito.
Le tracce antropiche sono costituite da scarti di lavorazione della pietra e da frammenti ossei con tracce presumibilmente di macellazione, fra cui una tibia destra di Bison priscus recante due incisioni lineari parallele prodotte da uno strumento litico all’altezza dell’inserzione del muscolo popliteo.

In una visione più ampia, questo deposito rappresenta ciò che resta di un sistema insediativo complesso nel quale la micro-area gessosa e le zone limitrofe si ponevano ai margini di importanti macro-ecosistemi, generati dall’antistante grande pianura adriatica, e più a NE dai bordi terrazzati appenninici ricchi di risorse petrografiche. Gruppi umani - già del genere Sapiens - dotati di grande mobilità e adattabilità condividevano questo vastissimo distretto territoriale adeguandosi, di volta in volta, oltre che alle caratteristiche fisiche dei luoghi, a quelle geo-ambientali. L’associazione di reperti litici con resti di ungulati di steppa-prateria è il chiaro indizio di attività connesse con lo sfruttamento di microsistemi ambientali “chiusi” (paleo-vallecole allagate poste nei pressi di cavità carsiche) favorevoli alla caccia delle mega-faune sia da parte dell’uomo che dei predatori di taglia medio-grande come il lupo.