[huaco]
Perù, cultura Chimú
terracotta modellatura a stampo/ assemblaggio/ levigatura/ ingobbiatura/ cottura

alt. max cm 21,8; diam. max cm 12,6; diam. min. cm 9; alt. corpo globulare cm 14,8; alt. staffa cm 5,7; collo: alt. cm 3,3; diam. inf. cm 2,3; diam. sup. cm 2,1; spessore all’orlo mm 3.
n. 1343
«Eseguito a stampo e cotto in forno riducente. Collo, ansa a staffa e la base e il piedistallo sono lavorati a mano libera.
Vaso cerimoniale di forma globulare con base a piedistallo ed ansa a staffa tubolare, simmetrica e munita di collo cilindrico. La porzione globulare del recipiente è decorata a rilievo per mezzo di stampo, da una serie di piccolissime prominenze irregolari. Raffigura probabilmente il guscio di una conchiglia, più precisamente di uno Spondylus princeps. Alla base del collo, su un lato, è visibile una protuberanza arrotondata. Lo Spondylus era sacro sia nell’Amazzonia che nel Perù, dove il suo culto era connesso con la fertilità femminile e della pioggia» (Caterina Rossi).


cerimoniale


«Non è stato trovato alcun documento che possa fornire elementi sicuri né riguardo alla fonte commerciale che procurò al Palagi stesso detta collezione di huacos, né sulla data, o date, in cui fu raccolta o ricevuta in dono, anche a causa della dispersione che ha subito il carteggio palagiano nel tempo. […] Esaminando però le attività artistiche del Palagi e tenendo presente che tanta importanza aveva, nella pittura dell’800, la ricerca storica e di costume, si può affermare che, fra il 1822 e il 1829 il Palagi, impegnato a portare a termine il grande quadro di Cristoforo Colombo reduce dalle Americhe […] visse un periodo di particolare interesse americanistico [...] Tale ipotesi prende però una certa consistenza, pur rimanendo sempre tale, se osservata alla luce delle uniche cinque lettere del banchiere Francesco Peloso, committente del quadro di Cristoforo Colombo, indirizzate al Palagi e ritrovate nel suo carteggio: in queste si apprende come il Peloso fosse solito inviargli vasi «… per il Vs. sublime studio d’antichità» (lettera del 2 luglio 1827, cartone IV), e procurargli merci rare (lettera del 9 luglio 1827, ibidem) con lo scopo di sollecitare il lungo parto del quadro rappresentante Cristoforo Colombo. Pur nella indeterminatezza di queste lettere, si potrebbe suppore che tra i sunnominati vasi vi fossero anche gli huacos peruviani. Certo che questa è soltanto una supposizione che ci suggerisce una probabile via di provenienza e tentativamente anche un periodo di acquisizione degli huacos, via e periodo che sarebbero da approfondire […] La collezione degli huacos palagiani, pur nella nebulosità della via e tempo di acquisizione, è sorprendente se considerata nell’epoca in cui venne raccolta: essa ci dimostra che il Palagi fu il primo, o tra i primi in Italia, ad essere sensibile a quel movimento culturale volto agli scavi, al collezionismo e agli studi dell’America precolombiana che oltralpe iniziava la sua fioritura verso la fine del sec. XVIII e l’inizio del sec. XIX».
Laura Laurencich Minelli, La collezione precolombiana, in Pelagio Palagi artista e collezionista, Bologna: Grafis edizioni d’arte, 1976 pp. 405-406.

La prima descrizione della raccolta di ceramiche americane appartenuta a Pelagio Palagi giunta in possesso dell’amministrazione di Bologna compare nella Guida al Museo Civico compilata da Luigi Frati nel 1882 (v. bibliografia), ove si legge: «Ceramica antica del Perù, e moderna d'altre regioni dell'America. La maggior parte delle Stoviglie peruviane presenta una patina nera estremamente fina, ed altre più o meno rossastra. Le forme dei vasi sono tratte da piante e da animali indigeni. Ve ne sono a due recipienti comunicanti insieme mediante un condotto, detti Silvadores, e Vasi fischianti, perché costrutti a modo da mandar suono ad ogni movimento del vaso, nel quale si trovi un po' di liquido». In questa fase gli oggetti erano conservati nei palchetti superiori della vetrina F della Sala XIII, dedicata alla ceramica. Presumibilmente, si tratta della stessa sala descritta nella Guida al Museo Civico di Pericle Ducati edita nel 1923 (v. bibliografia), benché sia indicata in questo caso come Sala XIV, con tutta probabilità per un accrescimento dei locali a disposizione delle collezioni. Qui si legge: «Numerosa, interessante raccolta di ceramiche peruviane antiche della civiltà degli Incas (sec. XV e XVI). Vi sono rappresentate ceramiche di due tipi, cioè del tipo di Nazca a fondo rosso scuro con disegno per lo più nero, e del tipo più recente di Chimu ad argilla inverniciata nero-lucente, si da rammentare (176) i buccheri etruschi. Questo secondo tipo, rappresentato da una serie più numerosa, ha vasi di forme globulari o geometriche (cubi ecc.) fitomorfe (zucche, meloni, ecc.), zoomorfe ed antropomorfe; spesso si hanno vasi appaiati, comunicanti tra di loro, sì da produrre un determinato suono nel versare il liquido (sono i vasi che gli Spagnuoli chiamarono silvadores)».

«La ceramica Chimú è legata all'antica tradizione della costa settentrionale pur denotando influenze meridionali derivate attraverso l'antico predominio Wari. Essa è prevalentemente di color nero uniforme, e, in minor misura, presenta pure color rosso uniforme. Il color nero è dovuto a cottura in forno riducente (forno chiuso), il color rosso in forno ossidante (forno aperto). [...] La ceramica era polita e levigata prima della cottura con risultati di lucentezza che si possono spesso ammirare ancor oggi. [...] I Chimú si servivano di stampi per ottenere le varie forme che caratterizzano la loro produzione fittile. Fra i vasi cerimoniali, legati al culto dei morti, ricordo le forme più diffuse, come la globulare con un manico centrale a staffa, di antichissima tradizione nella costa peruviana settentrionale. (I Chimú introdussero l'innovazione della staffa a sezione quadrata, ovvero, quando mantennero il tipo di staffa classico a sezione circolare, vi apportarono spesso la novità dell'applicazione zoomorfa - scimmia o uccello - su uno dei congiungimenti della staffa). Altra forma di vaso diffusa era quella riproducente a tutto tondo una figura antropomorfa o zoomorfa, coronata in genere da un manico laterale a staffa (anch'esso di antica tradizione settentrionale che presenta spesso le innovazioni, proprie dello stile Chimú sopra descritte, a proposito del manico centrale a staffa). Diffusi i vasi doppi e i cui due colli sono uniti da un manico a ponte spesso piatto, quest'ultimo di influenza meridionale. Tra i vasi doppi, caratteristici i vasi fischianti, anch'essi di antica tradizione nella ceramica della costa settentrionale, che ebbero però la loro massima fioritura durante il regno Chimú».
Laura Laurencich Minelli, La collezione precolombiana, in Pelagio Palagi artista e collezionista, pp. 407-408.