Dozza

Rocca Sforzesca
Dozza

Dozza Imolese, veduta aerea del castello. Foto di Nazario Spadoni. Fototeca IBC, 1993
piazzale Rocca
Dozza (BO)
tel 0542 678240, 0542 679094
Sulle prime colline a est di Bologna, tra Imola e Castel San Pietro, Dozza domina un’altura prospiciente la via Emilia nella valle del torrente Sellustra, affluente del Sillaro.

Tra Bologna e Imola
Sorta forse su un vicus romano, e parte della fascia di territori esarcali a lungo contesa dai longobardi a Ravenna, Dozza fu data in età carolingia alla Chiesa imolese.
Il possesso di Dozza venne conteso per secoli tra Imola e Bologna per la sua posizione strategica, a controllo della via Emilia verso la Romagna e a cavallo tra due percorsi diretti al Mugello, il primo da Bologna per Firenze lungo la Futa e il secondo che da Imola e Castel del Rio conduceva alla conca dove sarebbe sorta Firenzuola.
Nel 1086 il sito venne difeso con mura e una torre dal Comune di Bologna, che stava allora cercando di consolidare il proprio controllo sull'estensione orientale del contado; nel 1147 il castrum Dutie fu confermato alla Chiesa imolese che nella seconda metà del secolo, dopo la distruzione della cattedrale di San Cassiano operata dagli Imolesi, vi trasferì per circa trent’anni la sede vescovile.
Lo scontro tra papato e impero acuì i contrasti tra la ghibellina Imola e la guelfa Bologna, che a turno occuparono Dozza distruggendone le difese. Nel 1198 il castello era tornato ai Bolognesi, causando la fuga a Imola degli abitanti di parte ghibellina, venendo saccheggiato poco dopo dalle truppe imperiali. Nel 1248 Dozza venne rioccupata da Bologna, che volle riparare i danni inferti al sistema difensivo dalle truppe del legato papale Ottaviano Ubaldini promuovendo la costruzione di una nuova rocca, ulteriormente protetta da una rocchetta posta all’ingresso del borgo. Nuove opere di fortificazione - compreso l'imponente torrione detto ‘dei Bolognesi’- furono avviate nel 1310 per iniziativa del commissario alla guerra Romeo Pepoli, che deteneva allora poteri semi-signorili sulla città felsinea.

La rocca dei Riario Sforza
Domata la rivolta dei signori ghibellini, nella seconda metà del Trecento - quasi un secolo dopo il riconoscimento imperiale dei diritti del papa sull'area – la Chiesa poté finalmente istituire in Romagna il proprio pieno governo.
Assegnata a Imola, Dozza fu sottoposta prima al vicariato della famiglia Alidosi, confermato nel 1412, e trent’anni dopo a quello dei faentini Manfredi. A partire dal 1473 la signoria di Imola, seguita da quella di Forlì, passò a Girolamo Riario, nipote di Sisto IV, e dopo la sua morte violenta alla moglie Caterina, figlia di Galeazzo Maria Sforza.
Negli ultimi due decenni del secolo i Riario Sforza promossero un ampio programma di ammodernamento delle fortificazioni dei loro territori, che interessò le stesse rocche di Imola e Forlì, finalizzato ad adeguare strutture ormai obsolete alle nuove tecniche belliche introdotte dalle armi da fuoco.
Anche la rocca di Dozza venne sottoposta a imponenti lavori, affidati all’ingegnere militare Giorgio Marchesi da Settignano, che comportarono tra l’altro l’erezione di nuove mura di cinta e del torrione maggiore. Grazie a tali interventi, nel 1499, sotto il governo di Caterina, la rocca poté sostenere per più di un mese l’assalto delle truppe di Cesare Borgia, il figlio di papa Alessandro che con una campagna militare lampo cercava di costituirsi uno stato personale in Romagna.

Una residenza signorile per i Campeggi e i Malvezzi
Sconfitte le ambizioni del Borgia, e quelle veneziane, all’inizio del Cinquecento Dozza tornò con le altre terre romagnole alla Chiesa, che sotto il nuovo papa Giulio II vi instaurò un dominio diretto, cancellando il sistema dei vicariati signorili.
A partire dalla seconda metà del secolo la maggiore stabilità politica esaurì progressivamente le funzioni militari delle rocche dell’area, spesso date in feudo a famiglie fedeli alla Chiesa come riconoscimento dei loro servigi. Dozza venne così assegnata nel 1528 ai bolognesi Malvezzi - titolari di molti beni nella pianura tra Budrio, Castel San Pietro e Imola – che avevano appoggiato il ritorno a Bologna di Giulio II dopo la cacciata dei loro antichi alleati Bentivoglio.
Poco tempo dopo però il papa diede la rocca al cardinale Lorenzo Campeggi, membro di un’altra eminente famiglia felsinea, a compenso delle importanti missioni diplomatiche da questi attivate presso le corti europee che gli avevano garantito la stima dell’imperatore e di Enrico VIII, in particolare con la prudente gestione dell’arbitrato sulla legittimità del matrimonio tra quest’ultimo e Caterina d’Aragona.
Ai Campeggi, definitivamente infeudati nel 1562 e divenuti prima conti poi marchesi di Dozza, si deve la trasformazione della rocca in una residenza signorile, grazie a lavori di ampliamento e ristrutturazione dell’edificio affidati dalla famiglia al massaro della Comunità e conclusi nel 1594.
Estinto il casato nel 1728 con la morte dell'ultimo rappresentante, i suoi beni passarono al nipote Emilio Malvezzi, che aggiunse al proprio il cognome Campeggi assumendo i titoli di marchese di Dozza e conte di Toscanella.
I provvedimenti napoleonici di abrogazione dei feudi tolsero i titoli al figlio Giacomo, che riuscì però a conservare la rocca in proprietà privata, dimostrandone la natura allodiale come bene regolarmente acquistato dal cardinale Campeggi e restaurato a proprie spese dai suoi eredi.

Dall’Unità d’Italia al dopoguerra
Inserita con la restaurazione nella nuova Legazione ravennate, dopo l’Unità d’Italia Dozza venne aggregata alla circoscrizione bolognese, nel quadro della ridefinizione territoriale affidata a Luigi Carlo Farini.
I Malvezzi tennero la rocca fino al 1960, anno in cui l’edificio venne acquistato dal Comune, grazie anche al sostegno dell’amministrazione provinciale.
Nel 1999 venne avviato un lungo progetto di recupero e valorizzazione, finanziato da Comune e Regione, che ha portato all’apertura al pubblico del museo della Rocca, un percorso attraverso gli ambienti residenziali arredati con raccolte di armi, quadri, arazzi e mobili antichi. Altri spazi della rocca ospitano dal 2006 il Centro Studi e Documentazione della Biennale del Muro Dipinto, organizzata nel borgo dagli anni Sessanta, oltre alla donazione ‘Norma Mascellani’ e alle mostre organizzate dalla Fondazione Dozza Città d’Arte, mentre nelle antiche cantine ha sede l’Enoteca dell’Emilia Romagna votata alla promozione e valorizzazione del patrimonio vinicolo regionale.

VISITA
Al centro di un dolce panorama collinare, a quasi 200 metri di altezza, il borgo murato si snoda dalla porta d’accesso preceduta da un rivellino, con un fitto abitato disposto lungo tre strade parallele, fino al piazzale della rocca posta sul punto più elevato a sud.
L’edificio è circondato, lungo un perimetro di oltre 500 metri, da un ampio fossato oggi prosciugato, scavalcabile grazie a un ponte di fattura moderna. La massa compatta a pianta poligonale è preceduta sul lato del borgo da due possenti, diseguali, torrioni scarpati – il ‘torresino’ e il ‘torrione dei Bolognesi’ - mentre sul lato nord-ovest si trova un altro torrione quadrato; sui lati esterni corre una bassa fascia muraria, rinforzata da due bastioni romboidali.
L’interno conserva l’impronta degli interventi cinquecenteschi che trasformarono l’edificio in residenza signorile. Dal cortile interno a doppia loggia, con colonne dai capitelli decorati, le scale conducono al piano nobile arredato con mobili, splendidi arazzi e quadri. Tra questi spiccano quattro ritratti ovali di Felice Torelli nella sala dedicata ai Malvezzi, e in quella successiva una grande tela della famiglia Campeggi di Pier Francesco Cittadini; qui è anche la cappella privata con altare e confessionale barocchi.
Altri ambienti dedicati all’arte contemporanea presentano un’esposizione permanente di bozzetti e ‘strappi’ della Biennale del muro dipinto, con opere di Brindisi, Licata, Matta, Tabusso, Purificato e Saetti, oltre alla donazione ‘Norma Mascellani’.
Di grande impatto la cucina e le cantine che ospitano l'esposizione dei prodotti dell’Enoteca regionale.


Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Sillaro,
via Toscana della Futa,
via Selice o Montanara Imolese
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Comune di Bologna,
Alidosi,
Riario Sforza,
Malvezzi Campeggi
Arte e Architettura

Stili architettonici e decorativi nel castello:

Rinascimento e Manierismo
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

Le fortificazioni 'alla moderna'
Bibliografia
piazzale Rocca
Dozza (BO)
tel 0542 678240, 0542 679094
Sulle prime colline a est di Bologna, tra Imola e Castel San Pietro, Dozza domina un’altura prospiciente la via Emilia nella valle del torrente Sellustra, affluente del Sillaro.

.
Tra Bologna e Imola
Sorta forse su un vicus romano, e parte della fascia di territori esarcali a lungo contesa dai longobardi a Ravenna, Dozza fu data in età carolingia alla Chiesa imolese.
Il possesso di Dozza venne conteso per secoli tra Imola e Bologna per la sua posizione strategica, a controllo della via Emilia verso la Romagna e a cavallo tra due percorsi diretti al Mugello, il primo da Bologna per Firenze lungo la Futa e il secondo che da Imola e Castel del Rio conduceva alla conca dove sarebbe sorta Firenzuola.
Nel 1086 il sito venne difeso con mura e una torre dal Comune di Bologna, che stava allora cercando di consolidare il proprio controllo sull'estensione orientale del contado; nel 1147 il castrum Dutie fu confermato alla Chiesa imolese che nella seconda metà del secolo, dopo la distruzione della cattedrale di San Cassiano operata dagli Imolesi, vi trasferì per circa trent’anni la sede vescovile.
Lo scontro tra papato e impero acuì i contrasti tra la ghibellina Imola e la guelfa Bologna, che a turno occuparono Dozza distruggendone le difese. Nel 1198 il castello era tornato ai Bolognesi, causando la fuga a Imola degli abitanti di parte ghibellina, venendo saccheggiato poco dopo dalle truppe imperiali. Nel 1248 Dozza venne rioccupata da Bologna, che volle riparare i danni inferti al sistema difensivo dalle truppe del legato papale Ottaviano Ubaldini promuovendo la costruzione di una nuova rocca, ulteriormente protetta da una rocchetta posta all’ingresso del borgo. Nuove opere di fortificazione - compreso l'imponente torrione detto ‘dei Bolognesi’- furono avviate nel 1310 per iniziativa del commissario alla guerra Romeo Pepoli, che deteneva allora poteri semi-signorili sulla città felsinea.

La rocca dei Riario Sforza
Domata la rivolta dei signori ghibellini, nella seconda metà del Trecento - quasi un secolo dopo il riconoscimento imperiale dei diritti del papa sull'area – la Chiesa poté finalmente istituire in Romagna il proprio pieno governo.
Assegnata a Imola, Dozza fu sottoposta prima al vicariato della famiglia Alidosi, confermato nel 1412, e trent’anni dopo a quello dei faentini Manfredi. A partire dal 1473 la signoria di Imola, seguita da quella di Forlì, passò a Girolamo Riario, nipote di Sisto IV, e dopo la sua morte violenta alla moglie Caterina, figlia di Galeazzo Maria Sforza.
Negli ultimi due decenni del secolo i Riario Sforza promossero un ampio programma di ammodernamento delle fortificazioni dei loro territori, che interessò le stesse rocche di Imola e Forlì, finalizzato ad adeguare strutture ormai obsolete alle nuove tecniche belliche introdotte dalle armi da fuoco.
Anche la rocca di Dozza venne sottoposta a imponenti lavori, affidati all’ingegnere militare Giorgio Marchesi da Settignano, che comportarono tra l’altro l’erezione di nuove mura di cinta e del torrione maggiore. Grazie a tali interventi, nel 1499, sotto il governo di Caterina, la rocca poté sostenere per più di un mese l’assalto delle truppe di Cesare Borgia, il figlio di papa Alessandro che con una campagna militare lampo cercava di costituirsi uno stato personale in Romagna.

Una residenza signorile per i Campeggi e i Malvezzi
Sconfitte le ambizioni del Borgia, e quelle veneziane, all’inizio del Cinquecento Dozza tornò con le altre terre romagnole alla Chiesa, che sotto il nuovo papa Giulio II vi instaurò un dominio diretto, cancellando il sistema dei vicariati signorili.
A partire dalla seconda metà del secolo la maggiore stabilità politica esaurì progressivamente le funzioni militari delle rocche dell’area, spesso date in feudo a famiglie fedeli alla Chiesa come riconoscimento dei loro servigi. Dozza venne così assegnata nel 1528 ai bolognesi Malvezzi - titolari di molti beni nella pianura tra Budrio, Castel San Pietro e Imola – che avevano appoggiato il ritorno a Bologna di Giulio II dopo la cacciata dei loro antichi alleati Bentivoglio.
Poco tempo dopo però il papa diede la rocca al cardinale Lorenzo Campeggi, membro di un’altra eminente famiglia felsinea, a compenso delle importanti missioni diplomatiche da questi attivate presso le corti europee che gli avevano garantito la stima dell’imperatore e di Enrico VIII, in particolare con la prudente gestione dell’arbitrato sulla legittimità del matrimonio tra quest’ultimo e Caterina d’Aragona.
Ai Campeggi, definitivamente infeudati nel 1562 e divenuti prima conti poi marchesi di Dozza, si deve la trasformazione della rocca in una residenza signorile, grazie a lavori di ampliamento e ristrutturazione dell’edificio affidati dalla famiglia al massaro della Comunità e conclusi nel 1594.
Estinto il casato nel 1728 con la morte dell'ultimo rappresentante, i suoi beni passarono al nipote Emilio Malvezzi, che aggiunse al proprio il cognome Campeggi assumendo i titoli di marchese di Dozza e conte di Toscanella.
I provvedimenti napoleonici di abrogazione dei feudi tolsero i titoli al figlio Giacomo, che riuscì però a conservare la rocca in proprietà privata, dimostrandone la natura allodiale come bene regolarmente acquistato dal cardinale Campeggi e restaurato a proprie spese dai suoi eredi.

Dall’Unità d’Italia al dopoguerra
Inserita con la restaurazione nella nuova Legazione ravennate, dopo l’Unità d’Italia Dozza venne aggregata alla circoscrizione bolognese, nel quadro della ridefinizione territoriale affidata a Luigi Carlo Farini.
I Malvezzi tennero la rocca fino al 1960, anno in cui l’edificio venne acquistato dal Comune, grazie anche al sostegno dell’amministrazione provinciale.
Nel 1999 venne avviato un lungo progetto di recupero e valorizzazione, finanziato da Comune e Regione, che ha portato all’apertura al pubblico del museo della Rocca, un percorso attraverso gli ambienti residenziali arredati con raccolte di armi, quadri, arazzi e mobili antichi. Altri spazi della rocca ospitano dal 2006 il Centro Studi e Documentazione della Biennale del Muro Dipinto, organizzata nel borgo dagli anni Sessanta, oltre alla donazione ‘Norma Mascellani’ e alle mostre organizzate dalla Fondazione Dozza Città d’Arte, mentre nelle antiche cantine ha sede l’Enoteca dell’Emilia Romagna votata alla promozione e valorizzazione del patrimonio vinicolo regionale.

VISITA
Al centro di un dolce panorama collinare, a quasi 200 metri di altezza, il borgo murato si snoda dalla porta d’accesso preceduta da un rivellino, con un fitto abitato disposto lungo tre strade parallele, fino al piazzale della rocca posta sul punto più elevato a sud.
L’edificio è circondato, lungo un perimetro di oltre 500 metri, da un ampio fossato oggi prosciugato, scavalcabile grazie a un ponte di fattura moderna. La massa compatta a pianta poligonale è preceduta sul lato del borgo da due possenti, diseguali, torrioni scarpati – il ‘torresino’ e il ‘torrione dei Bolognesi’ - mentre sul lato nord-ovest si trova un altro torrione quadrato; sui lati esterni corre una bassa fascia muraria, rinforzata da due bastioni romboidali.
L’interno conserva l’impronta degli interventi cinquecenteschi che trasformarono l’edificio in residenza signorile. Dal cortile interno a doppia loggia, con colonne dai capitelli decorati, le scale conducono al piano nobile arredato con mobili, splendidi arazzi e quadri. Tra questi spiccano quattro ritratti ovali di Felice Torelli nella sala dedicata ai Malvezzi, e in quella successiva una grande tela della famiglia Campeggi di Pier Francesco Cittadini; qui è anche la cappella privata con altare e confessionale barocchi.
Altri ambienti dedicati all’arte contemporanea presentano un’esposizione permanente di bozzetti e ‘strappi’ della Biennale del muro dipinto, con opere di Brindisi, Licata, Matta, Tabusso, Purificato e Saetti, oltre alla donazione ‘Norma Mascellani’.
Di grande impatto la cucina e le cantine che ospitano l'esposizione dei prodotti dell’Enoteca regionale.


Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione, propri e di terze parti.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookie.